Guerra in Europa - Kosovo - Parte 2


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Crimini, incriminazioni e banditi

(Testo già parzialmente pubblicato sul forum della Repubblica)

Il presidente jugoslavo Milosevic è stato formalmente incriminato dal tribunale internazionale per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia. Non ho nulla da eccepire sul fatto in sé, se lo merita senz'altro. Ho però molto da eccepire sul momento scelto per quest'atto formale, esattamente quando il tentativo di mediazione russo sembrava aver qualche prospettiva di riuscita, con i colloqui tecnici tra esperti militari russi e americani in corso, per tentare di formulare una proposta seria e completa di sistemazione del conflitto.

Ora Milosevic ha le spalle al muro. Se anche acconsentisse alle condizioni della NATO, o peggio se desse le dimisioni dalla presidenza, sarebbe esposto alle conseguenze dell'incriminazione: arresto, processo, forse condanna.

Le conseguenze sono ovvie: annullamento della possibilità di un accordo di pace, intensificazione della repressione contro kossovari e oppositori serbi. Se consideriamo che gli elementi per la sua incriminazione sono stati forniti al tribunale da parte del governo americano, risulta chiaro che si tratta di un nuovo intervento per far fallire le trattative e rendere inevitabile l'evoluzione del conflitto verso una guerra totale. I motivi sono chiari, e non sono umanitari.

C'è però qualcos'altro che non quadra: i crimini effettivamente imputati a Milosevic sono avvenuti dopo l'attacco della NATO del 24 marzo. La NATO ha quindi agito per preveggenza? No certo, si dirà, voleva proteggere i kosovari, che già avevano subito le conseguenze degli scontri tra serbi e UCK (attenzione, non ancora una "pulizia etnica"); già alcune migliaia di persone erano fuggite dalle loro case.

Ma in realtà non c'è stata nessuna azione di difesa: con i bombardamenti aerei da alta quota non si può difendere nessuno, si può solo attaccare qualcun altro. Ad ogni azione di bombardamento è seguita un'azione di repressione più spietata del regime serbo, seguita da bombardamenti più pesanti e meno "mirati", in una spirale crescente di violenza. Poiché le azioni della NATO non erano rivolte direttamente a fermare le milizie serbe, questo sviluppo era inevitabile.

Si è così arrivati ai crimini conclamati di Milosevic ed agli attacchi indiscriminati alle infrastrutture della Serbia. La NATO dichiara esplicitamente che vuole indurre i serbi a ribellarsi contro il criminale Milosevic. Per farlo, li bombarda e distrugge loro le infrastrutture vitali.

Colpire un popolo con le bombe, per indurlo a ribellarsi al suo governo, si chiama terrorismo. Se la NATO avesse voluto veramente difendere i kosovari, sarebbe dovuta intervenire subito sul terreno a fermare le milizie serbe, invece di colpire altra gente innocente. Questo tipo di azione avrebbe però avuto un difetto: sarebbe costata la vita di molti soldati. Molto meglio spendere le vite dei civili serbi!

Resto quindi in attesa dell'incriminazione dei capi delle potenze della NATO, oltre che per la violazione della carta dell'ONU e della Convenzione di Ginevra del 1949, esplicitamente per atti terroristici e strage. Far saltare in aria treni, centrali elettriche, acquedotti, ospedali, scuole, mercati, chiese si chiama terrorismo anche se lo si fa con le bombe aeree o con i missili. Una bomba distrugge ed uccide ugualmente, che sia messa direttamente in sito da un commando terrorista o sganciata da un aeroplano.

Sono anche in attesa di un'azione significativa contro la malavita albanese, che continua a trasportare illegalmente profughi attraverso l'Adriatico.

Perché non si portano in Italia e negli altri paesi occidentali tutti i profughi che vogliono venirci, invece di lasciarli nelle mani degli scafisti?

L'Albania pullula di soldati NATO e forze dell'ordine italiane, perché non agiscono contro gli scafisti? Per non violare la sovranità albanese, si risponderà. Strani concetti sulla sovranità: in Serbia si bombarda tutto quello che si vuole, in Albania non si possono nemmeno distruggere pochi gommoni di proprietà di fuorilegge, cogliendoli a terra quando non ci sono rischi per nessuno.

Alberto Cavallo, 27 maggio 1999

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Risultati di un intervento umanitario

(Revisione del testo pubblicato sul forum della Repubblica)

Sembra che il conflitto, almeno per questa fase, si stia avviando al termine. Ci crederò quando le bombe avranno cessato di cadere, spero molto presto. Per fortuna l'incriminazione di Milosevic non ha fermato le trattative, grazie alla determinazione del mediatore russo Cernomyrdin.

Purtroppo la logica dei media vuole che cominci il tempo dei bilanci. Per chiarezza ripartiamo dall'inizio.

La NATO è intervenuta militarmente (in violazione della carta dell'ONU e del suo stesso trattato di fondazione) nella guerra civile tra governo jugoslavo e UCK, con lo scopo dichiarato di difendere il popolo del Kosovo dalla repressione serba. La motivazione immediata è stato il rifiuto, da parte del governo jugoslavo, di accogliere sul proprio territorio una forza militare straniera dotata di poteri illimitati (documento di Rambouillet, appendice B), dopo che aveva acconsentito alle altre richieste.

Numero di kossovari allontanati dalle proprie case prima dell'intervento:
250.000, quasi tutti rimasti comunque in Kosovo, i centri abitati ancora in grande prevalenza intatti.
Numero di kossovari allontanati dalle proprie case dopo l'intervento in loro difesa:
tra 800.000 e 900.000, quasi tutti fuori del Kosovo, le città ed i villaggi devastati sia dai serbi, sia dalle bombe della NATO.

Risultato netto: numero dei profughi moltiplicato per 3,5 circa, con prospettive di rientro a breve termine scarse per la devastazione dei centri abitati e del territorio. Per non parlare dei danni all'ambiente (vedere più sotto).

Numero di morti nella guerra civile (13 mesi) prima dell'intervento, inclusi i combattenti delle due parti:
circa 2.000.

Numero di morti in Kosovo dopo l'intervento in loro difesa:
difficile da valutare, dato che la NATO ha imposto all'OSCE di ritirare i propri osservatori (gli osservatori sono andati via su invito della NATO; solo alcuni osservatori americani erano stati espulsi individualmente dai serbi). Numero di morti denunciato al tribunale per i crimini di guerra in Jugoslavia: 384.

Risultato netto dell'azione per la difesa dei kossovari:
totalmente disastroso, difesa fallita anzi controproducente al massimo.

Esaminiamo in sintesi i motivi del disastro. Per impedire la "pulizia etnica" si sarebbe dovuto intervenire sul posto con truppe di terra fin dal primo giorno. La strategia della NATO è stata invece quella di colpire con bombe e missili la Serbia per far mancare il sostegno alle forze serbe in Kosovo; peccato che in questo modo si sia lasciata loro mano libera, accanendosi invece contro la popolazione civile serba. Per di più si è colpito sempre da alta quota, per evitare perdite di aerei e piloti, rendendo inevitabili non solo gli errori di mira, ma anche gli attacchi deliberati alle infrastrutture civili, le uniche che si possono colpire con sicurezza in quelle condizioni.

Effetti degli attacchi NATO sulla popolazione serba:
- tra 1.500 e 2.000 morti civili causati direttamente dalle bombe (inclusi molti albanesi)
- decine di migliaia di feriti
- almeno 2.000.000 di persone senza reddito a causa della distruzione delle industrie
- distruzione del 90% (forse più) dei ponti e prossima al 100% di raffinerie e depositi di carburante civili (ignoti i danni ai depositi militari)
- distruzione della maggioranza delle centrali elettriche e di numerosi acquedotti
- distruzione di centinaia di edifici pubblici senza rilevanza militare come scuole, biblioteche, musei, chiese
- numerosi ospedali colpiti, ecc. ecc.

Valutazione economica: danni per 100 miliardi di dollari.

Effetti sull'ambiente:
- contaminazione radioattiva da uranio impoverito contenuto in bombe e proiettili
- contaminazione del Danubio con petrolio e suoi derivati
- contaminazione di vaste aree con i prodotti chimici emessi dagli impianti bombardati
- disseminazione di bombe a grappolo (assimilabili alle mine antiuomo), che continueranno ad uccidere per anni.

Non si è trattato di errori: lo scopo (ultimamente dichiarato senza difficoltà) era quello di spingere il governo di Milosevic alla resa colpendo tutte le infrastrutture della Serbia, ed anche i colpi "sbagliati" erano nel conto. Il risultato è stato ottenuto, in quanto la nazione serba è stata efficacemente privata dei propri mezzi di sussistenza.

Gli unici esseri umani la cui incolumità è stata salvaguardata al massimo sono i militari della NATO (di terra e dell'aria). Ne sono morti solo due, in un elicottero Apache precipitato per incidente. Dopo il malaugurato episodio, è stato sospeso l'impiego degli elicotteri Apache.

I kosovari prima sono stati abbandonati nelle mani dei loro nemici, poi in condizioni disumane nei campi profughi; si sono spese decine di milioni di dollari al giorno per i bombardamenti, ma poche lire per i soccorsi. L'unica nazione della NATO che ha partecipato ai bombardamenti ma ha anche aiutato seriamente i profughi con mezzi e personale è l'Italia. Le notizie giunte dai campi profughi dell'Albania dimostrano che, per il comando NATO, i profughi sono solo un fastidio: hanno cercato subito di far spostare i campi che si trovavano, secondo loro, in zona pericolosa. Direi meglio, i campi che potevano ostacolare le eventuali operazioni di invasione per via di terra.

Quindi è chiaro che la difesa dei kosovari era un pretesto per scatenare una guerra con altri fini.

Onore a chi ha soccorso i profughi ed a chi si è adoperato per ricondurre tutti alla ragione e far cessare la guerra, soprattutto ai volontari italiani e di altre nazioni come la Grecia ed al mediatore russo Viktor Cernomyrdin. La mediazione ha suscitato critiche da entrambe le parti, quindi è stata condotta bene. Del resto, l'articolo di Cernomyrdin pubblicato sul Washington Post e poi in Italia su La Stampa del 28 maggio faceva un quadro della situazione molto chiaro e preciso, dimostrando la volontà del mediatore di portare a termine con decisione il suo compito, confermata poi dai fatti.

Il conflitto lascia Kosovo e Serbia in rovina. La ricostruzione sarà estrememente costosa, possibile solo con massicci aiuti dall'esterno. Ora si minaccia la Serbia che, se Milosevic resterà al potere, non arriveranno aiuti: è la ricetta dell'Iraq. Come avevo previsto fin dal primo giorno, stanno facendo di Milosevic un altro Saddam Hussein.

Attenzione però ai paralleli: Saddam Hussein aveva invaso il Kuwait, stato indipendente e membro dell'ONU. Milosevic invece stava difendendo l'unità della Jugoslavia dall'assalto dell'UCK, formazione di banditi finanziata con traffici illeciti e sostenuta dai servizi segreti tedeschi ed americani (vedere anche Le Monde Diplomatique, numero del 15 maggio 1999). Il Kosovo non è mai stato indipendente, storicamente è sempre stato parte della Serbia, anzi ne è il nucleo originario.

In base ai principi del tribunale di Norimberga, scatenare una guerra di aggressione è il primo in assoluto dei crimini, in quanto è l'origine di tutti gli altri. Nel Kuwait fu commesso da Saddam Hussein, nel Kosovo dagli USA e dai loro alleati.

Le conseguenze di questo conflitto peseranno sul mondo intero per anni. Ma soprattutto non si potrà cancellare il male che è stato fatto a tutte le persone coinvolte: i morti sono morti, tutti i capitali dei signori del mondo non possono farli risorgere. L'esistenza di milioni di persone è stata segnata in modo incancellabile da devastazioni e deportazioni, l'odio è stato rinfocolato e durerà per altre generazioni.

Alberto Cavallo, 5-6 giugno 1999

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Prospettive per questa strana pace

Si sta completando il ritiro delle forze serbe da Kosovo; ormai anche i vertici della NATO riconoscono che la Jugoslavia applica le prescrizioni dell'accordo con buona volontà, tanto che hanno concesso alcuni giorni in più per il ritiro, a fronte delle evidenti difficoltà che trovano i militari serbi nel ritirarsi, a causa delle condizioni delle strade e per il costante flusso di profughi serbi che intasano le strade.

Sussistono però condizioni preoccupanti, a proposito del rispetto delle condizioni di pace. L'UCK, che dovrebbe essere disarmato, spadroneggia nei territori abbandonati dai serbi senza che la NATO faccia nulla per costringerlo a rispettare gli accordi. La popolazione civile serba sta fuggendo in massa, di fronte alle bande armate degli albanesi, non fidandosi affatto della protezione che la KFOR (forza di pace internazionale) dovrebbe offrire loro. I russi sono presenti soltanto perché si sono mossi di loro iniziativa, non essendo finora risultato possibile un accordo con la NATO sull'organizzazione del comando della KFOR.

Gli accordi tra le parti prevedono un Kosovo autonomo sotto la teorica sovranità jugoslava e controllato dalla forza di pace internazionale. In base a quanto sta accadendo, avremo però un Kosovo senza popolazione civile serba e con una parte soltanto degli albanesi, occupato in permanenza dalla KFOR e soggetto alle azioni incontrollate dell'UCK, che tenterà di ottenere con le armi quell'indipendenza che le condizioni di pace gli negano. C'è il rischio concreto che si arrivi a scontri armati tra KFOR e UCK, specialmente con i russi. Nessuno sembra avere idee concrete su come organizzare questo povero paese devastato.

Frattanto UCK e NATO si affannano a riesumare cadaveri per dimostrare le crudeltà dei serbi. Si applica il solito principio: si dà per scontato che tutti i morti siano stati uccisi dai serbi nel corso della pulizia etnica. Il TG5 di oggi (16 giugno) ha però svelato alcuni particolari strani: il responsabile medico della forza di pace italiana ha dichiarato che lo scheletro ritrovato con un cavo per batterie d'auto al collo è troppo vecchio per poter appartenere ad una vittima della pulizia etnica. Sembra quindi che uno dei ritrovamenti portati come dimostrazione dei misfatti dei serbi sia una macabra montatura dell'UCK.

In realtà la NATO ha bisogno di riesumare molti cadaveri di albanesi, per giustificare quello che ha fatto ai serbi. Il problema è che nessuna azione attribuibile agli scagnozzi di Milosevic può giustificare ciò che è stato fatto al popolo serbo, così come nessun bombardamento può giustificare la pulizia etnica e le stragi. La violenza ha coinvolto tutto e tutti, ma la responsabilità più grande è di chi ha fatto precipitare la situazione senza riguardo per le conseguenze che avrebbero patito i civili da ambo le parti.

Proviamo a confrontare l'accordo di pace (se così si può chiamare) con il documento di Rambouillet.
 
Accordo attuale Rambouillet
Kosovo occupato da una forza NATO+Russia sotto egida ONU Kosovo occupato da una forza NATO libera di agire su tutto il territorio jugoslavo
Il Kosovo resta sotto la sovranità jugoslava Referendum per l'indipendenza entro tre anni

L'accordo attuale è stato raggiunto con il contributo determinante della Russia come mediatrice e garante delle ragioni dei serbi. Ma a Rambouillet la Russia non c'era; d'altra parte la Jugoslavia aveva accettato tutte le condizioni richieste, tranne le due che ho inserito nella tabella.

Riassumendo, la NATO ha combattuto una guerra, causando direttamente la morte di migliaia di persone e consentendo ai serbi di ucciderne centinaia, forse migliaia a loro volta, per ottenere di occupare militarmente, in coabitazione con la Russia, un mucchio di macerie che ricopre un cimitero, offrendosi per di più come garante della sovranità del nemico.

Due milioni di kosovari, che il 23 marzo avevano un paese in cui vivere, anche se tormentato da un crudele guerra civile, ora non hanno né casa, né lavoro, né le infrastrutture più elementari. Dieci milioni di serbi si trovano in un paese senza fabbriche, senza strade, senza ferrovie, senza acquedotti, senza centrali elettriche, senza un futuro. Molti dei profughi kosovari albanesi fuggiti fuori del territorio probabilmente non torneranno più, nonostante gli impegni per la ricostruzione, mentre i 200.000 serbi del Kosovo, che se ne stanno andando a loro volta, non hanno nessunissima possibilità di ritorno.

La situazione che si è creata è irreversibile. Il Kosovo diventerà una sorta di protettorato ONU o NATO a tempo indeterminato, in condizioni di perenne caos civile, sede di ogni tipo di traffici illeciti, com'è già ora l'Albania. Che cosa sarà di quel che resta della Jugoslavia è ora imprevedibile: per quanto tempo resterà al potere Milosevic? il Montenegro si staccherà anch'esso dalla Jugoslavia? e che sarà della Macedonia?

In ogni caso, è garantita la presenza armata della NATO (leggasi soprattutto America e Germania) nei Balcani, per molti anni a venire. Sono anche garantite le motivazioni per vaste spese militari da parte dei governi, e si prospettano lucrosi affari per le imprese che opereranno per la ricostruzione di ciò che è stato distrutto. Le incertezze, in fondo, riguardano solo i poveracci.

Alberto Cavallo, 16 maggio 1999

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I veri nemici

Nei Balcani ha avuto luogo un'altra guerra, che formalmente è finita, anche se le sue conseguenze stanno appena cominciando a dispiegarsi. La data d'inizio di quest'ultimo conflitto può essere fissata al 24 marzo 1999, se lo facciamo coincidere con l'inizio dei bombardamenti della NATO, oppure al 22 aprile 1996, se consideriamo l'inizio della campagna terroristica dell'UCK, ma le sue radici risalgono ad altri eventi precedenti in un'interminabile sequenza di episodi. Non intendo ora affrontare la ricostruzione di quella sequenza, perché rischierei, facendolo, di perdermi in essa e di cominciare a presentare la questione dei conflitti balcanici alla medesima maniera delle parti in causa.

I Balcani sono una regione d'Europa in cui la guerra è un male endemico. Gli storici possono discutere all'infinito sulle cause di questa situazione; tra l'altro, l'ostilità reciproca tra i popoli fa sì che la maggioranza dei resoconti sugli eventi della regione sia profondamente distorta dall'atteggiamento dei narratori, se sono originari della regione.

Possiamo però cambiare punto di vista, e cercare nell'oggi le cause della conflittualità perenne dei Balcani. In quella regione ogni persona porta un'etichetta etnica vissuta come un fatto assoluto, in base alla quale certe altre persone sono per lei nemiche e certe altre amiche o, temporaneamente, alleate. Questo impedisce ai balcanici di riconoscere e combattere i loro veri nemici, che ciascuno di essi porta dentro di sé: l'odio, la paura, la sete di vendetta.

Ciascun abitante dei Balcani ha ben in mente ciò che egli stesso o ella stessa personalmente, o i parenti o gli antenati, hanno subìto ad opera di persone delle altre etnie. Chi appartiene alle altre etnie, quindi, è sempre oggetto di paura, di odio, di sentimenti di rivalsa. Quando per qualsiasi motivo il conflitto diventa aperto, si trovano molti individui pronti a scatenare le persecuzioni e le stragi, sempre compiute nella consapevolezza che il proprio popolo ha subito trattamenti simili in passato e che bisogna annientare il nemico, perché se di quell'etnia rimarrà qualcuno, un giorno sicuramente tornerà per vendicarsi, con gli stessi mezzi. Chi non è propenso alla violenza sa comunque che ne dovrà subire, e fugge prontamente ogni volta che ha ragione di temere le azioni di quelli che, in base alla legge dell'odio, sono i suoi avversari etnici.

Il maresciallo Tito aveva ottenuto il potere con la forza, durante l'immane tragedia della seconda guerra mondiale, che vide innumerevoli episodi di terribile violenza in Jugoslavia. Ma riuscì a mettere temporaneamente sotto controllo la situazione, grazie alla saldezza del suo potere personale ed anche all'accortezza con cui trattò i contrasti tra le etnie. Creò uno stato federale, in modo da concedere ai diversi popoli un certo grado di autogoverno, ma prese precauzioni per garantire l'unità della federazione. Siccome i serbi erano l'etnia più numerosa, fece in modo che i confini di ogni repubblica federata ne includessero un certo numero e, pur essendo egli croato, accettò la prevalenza dei serbi nelle forze armate e nello stato. In questo modo i serbi, dispersi tra le repubbliche e prevalenti nelle istituzioni, divennero i custodi dell'unità nazionale anziché una potenziale fonte di conflitti.

Venuta a mancare la sua figura, i conflitti sono riesplosi. I politici mediocri succeduti a Tito non trovarono di meglio che far leva sui nazionalismi dei rispettivi popoli per conquistare il massimo potere. L'odio e la paura prevalsero di nuovo. Sloveni e croati, appoggiati sconsideratamente dalla Germania, cercarono di staccarsi da una Jugoslavia che Milosevic voleva trasformare in un dominio personale, prendendo il posto di Tito, ed i timori reciproci dei vari popoli si tradussero prontamente in realtà. Il timore e l'odio nei confronti dei serbi impedivano agli altri di sopportare una Jugoslavia caratterizzata come dominio serbo dal malaccorto nazionalismo di Milosevic. Quest'ultimo non è infatti un mostro, come lo dipinge la propaganda occidentale, ma un mediocre uomo d'apparato che ha creduto di poter diventare il signore della Jugoslavia e nel tentativo l'ha distrutta.

Una volta aperto il vaso di Pandora dell'odio etnico, non è più stato possibile richiuderlo. I serbi di Croazia sono stati "ripuliti"; la Bosnia multietnica è esplosa. La Germania ha contribuito pesantemente a scatenare il conflitto, per creare la Slovenia e la Croazia come suoi stati satelliti, ma non ha poi saputo controllare le forze micidiali che ha scatenato, novello apprendista stregone. Sono così intervenuti gli americani con i loro fidi alleati inglesi, non appena hanno messo a fuoco i loro interessi in questa regione tutto sommato secondaria nello scacchiere mondiale. I meccanismi attivi nei Balcani sono universali: i possessori del potere politico ed economico scatenano conflitti facendo leva sull'odio, salvo poi, a volte, farsene travolgere essi stessi.

Ora la NATO, sotto la guida americana, con l'intervento in Kosovo ha dato un contributo decisivo alla crescita dei tre nemici dei Balcani: paura, odio, vendetta. I serbi e gli albanesi si temono e si odiano reciprocamente più che mai; sono stati aggiunti altri anelli alla catena delle vendette. La pace può esistere soltanto grazie alle armi della KFOR, ma quanto potrà durare questa situazione? Come possiamo evitare che il conflitto riesploda?

Per costruire la pace non servono soltanto i finanziamenti della ricostruzione, che rischiano anzi di finire nelle mani di profittatori e mafiosi. Occorre invece combattere l'odio e ricostruire la possibilità di una convivenza pacifica.

Abbiamo bisogno di un Kosovo, autonomo o indipendente che sia, governato da forze moderate  pacifiche, dal movimento di Rugova, non dall'UCK. Abbiamo bisogno di una Serbia governata dai democratici come Djindjic, non da Milosevic o dall'opportunista Draskovic.

Certo, come conseguenza del conflitto Rugova e Djindjic hanno perso popolarità presso le rispettive genti, che in una certa misura li vedono addirittura come traditori. Le azioni del governo USA e di quello inglese vanno nella direzione di dare il potere all'UCK in Kosovo e di umiliare la Serbia aprendo la strada del potere a Draskovic. Occorre combattere questa tendenza: gli unici che possono farlo sono i governi europei, principalmente quelli di Francia, Germania ed Italia.

Ogni azione presente e futura dovrà essere valutata in base a questi punti:

Le forze armate italiane in Kosovo stanno operando bene, nei limiti delle loro possibilità e dei vincoli a cui è sottoposta la loro missione. Noi cittadini italiani dobbiamo fare il possibile perché il nostro governo agisca in favore di una pace salda e duratura, contrastando i nemici della pace ovunque si annidino.

Alberto Cavallo, 10 luglio 1999

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Altri morti - anche la democrazia si sente poco bene

Ieri, 24 luglio 1999, terroristi albanesi hanno ucciso 14 contadini serbi che tornavano dai campi. E' l'ultimo episodio di una lunga serie di delitti e atrocità alle quali certi organi di stampa hanno dedicato poco spazio, impegnati com'erano a mettere in evidenza le prove delle atrocità commesse dai serbi, per giustificare l'ingiustificabile intervento militare NATO, che tante sofferenze ha causato.

Naturalmente si sono sempre salvati la coscienza pubblicando trafiletti o anche servizi più dettagliati, ma nelle pagine interne, mentre la scoperta di una fossa con cadaveri albanesi finiva regolarmente in prima pagina.

Ora è giunta una notizia a cui la prima pagina non si può negare, notizia che può sembrare inaspettata per i lettori distratti ma non lo è per chi si è informato sulle vicende del Kosovo. E' comunque ben magra la soddisfazione di aver previsto l'esito della guerra: un caos incontrollabile, dove gli innocenti (di qualsiasi etnia) muoiono per mano dei delinquenti (di qualsiasi etnia). La KFOR è incapace di assicurare la pace e l'ordine in Kosovo. Del resto, ai militari italiani è stato dato l'ordine di non sparare se non in casi estremi: i nostri ragazzi, come ho già scritto, stanno facendo tutto il possibile. Non so se è merito loro, comunque i fatti peggiori non sono accaduti nella loro zona.

Chi invece si sta comportando in modo sempre più vergognoso è il governo guidato da Massimo D'Alema, che nei giorni scorsi ha tolto ai profughi in arrivo in Italia lo stato di "rifugiati" per dichiararli invece "immigrati clandestini", da espellere al più presto. Questo con la giustificazione che la guerra è finita e l'ordine regna in Kosovo! Abbiamo appena visto che razza di ordine ci sia in Kosovo.

La decisione del govrno suona come un provvedimento razzista nei confronti dei Rom, ai quali tocca il triste ruolo dei fuggitivi in questi giorni. Queste donne e questi bambini sono considerati bugiardi e complici di massacri, mentre gli albanesi erano invariabilmente vittime. Due pesi e due misure.

Aggiungo una breve nota: il TG1 di stasera, 25 luglio, ha riportato la notizia del massacro insinuando il sospetto che si tratti di un'azione compiuta dai serbi sui loro connazionali per minare la pace. Agli albanesi si dà sempre fiducia, ai serbi si attribuiscono machiavellismi terribili senza lo straccio di una prova. Seguivano le immagini della sepoltura di quaranta albanesi uccisi dai serbi; in questo modo si lasciava allo spettatore l'immagine del dolore degli albanesi, mentre dei morti serbi non restava nulla, tranne l'accusa terribile e gratuita che fossero vittime dei loro stessi connazionali. Per di più, gli albanesi seppelliti erano tutti uomini in età militare, chi dice che fossero civili inermi e non guerriglieri? Quanto meno occorrono le prove!

Il TG1 è notoriamente la voce del governo. Questo governo italiano, che ha partecipato alla guerra in modo decisivo, fornendo le basi, che ha fatto le partecipare le nostre forze aeree ai combattimenti giocando sulle parole e spesso mentendo all'opinione pubblica sulla natura delle missioni, che ora respinge come clandestini coloro che sono vittime di attacchi razzisti. Un governo che ha violato la carta dell'ONU, ha violato il Patto Atlantico, ha violato la Costituzione della Repubblica Italiana, ed ora con evidente coerenza respinge dei disgraziati che hanno visto i loro congiunti uccisi e le loro case bruciate dai banditi con cui si è alleato.

E' possibile, anzi probabile, che alcuni non siano esuli del Kosovo ma veri clandestini; ma questo era vero anche per gli albanesi!

Nel frattempo ci dobbiamo continuamente sorbire i complimenti dei vari Clinton e Blair per la fedeltà del governo italiano alla loro politica sconsiderata, che ha determinato lo sconquasso di cui si stanno pagando le conseguenze.

Un altro episodio significativo dei giorni scorsi è stata infatti la visita di D'Alema al premier inglese Blair, a Londra. Dopo aver raccolto le solite lodi per la dimostrazione inattesa di bellicosità ed aggressività data dall'Italia negli scorsi mesi, D'Alema ha discusso col collega inglese di come dotare la componente europea della NATO di una vera e propria forza di pronto impiego a largo raggio. L'Italia per fare la sua parte deve incrementare le proprie spese militari, fin quasi a raddoppiarle secondo un recente intervento del ministro Scognamiglio. Questa richiesta non mi meraviglia, e quadra perfettamente con quanto scrissi il 2 maggio. Che sia incompatibile con la Costituzione, in quanto prefigura l'impiego delle forze armate italiane per risolvere controversie internazionali con la guerra, non sembra importare a nessuno: l'articolo 11 è lettera morta per questo governo e anche per i principali gruppi di opposizione.

Nello stesso tempo ci viene ripetuto ogni giorno che bisogna dare un nuovo taglio al sistema della previdenza sociale, per sanare il bilancio pubblico.

Visto anche il fatto che lo Stato italiano ha un significativo avanzo netto primario, e va in deficit solo per servire il debito accumulato negli anni precedenti, e che i conti dell'INPS sono in costante miglioramento, queste richieste di aumento delle spese militari, unite a quelle di tagli alle pensioni, sono addirittura incredibili.

Il governo D'Alema vuole tagliare lo stato sociale e incrementare le spese militari. Il governo Mussolini negli anni 30 creò l'INPS e, nonostante la sua retorica bellicosa, non si preoccupò di equipaggiare adeguatamente le forze armate, tanto da andare incontro al disastro in guerra. Ora possiamo stare sicuri: con D'Alema non capiterà. L'INPS sarà ridotto al minimo e le forze armate saranno in perfetta efficienza.

Il fatto tragico per la nostra democrazia è che il principale gruppo di opposizione, il Polo di Berlusconi, critica il governo perché fa troppo poco in tali direzioni: secondo loro il governo non vuole tagliare a sufficienza le pensioni, è stato ed è esitante nell'appoggiare le iniziative militari NATO.

Come tutte le sinistre moderate europee, dall'SPD tedesca ai laburisti inglesi, i DS italiani hanno infatti tradito i loro principi, adottando le politiche della destra in una forma attenuata solo a parole, ma non nella sostanza. Non abbiamo una destra ed una sinistra, in Italia e in altri paesi come Germania, Gran Bretagna ed anche Stati Uniti d'America: abbiamo due destre, di cui una camuffata da sinistra.

Peggio ancora i radicali, che ostentano nel simbolo della lista Bonino l'impronta della colomba della pace e hanno sostenuto veementemente l'intervento in Kosovo. Non hanno neanche quel tanto di dignità che richiederebbe di cancellare quel simbolo pacifista dal simbolo della lista che ha sostenuto una guerra.

L'opposizione, in Italia, è oggi formata dai comunisti di Rifondazione, dai fascisti veri (quelli della Fiamma), dai leghisti. Io mi considero un democratico laico, non sono né comunista né fascista né leghista. Se fossi cittadino americano alle ultime elezioni avrei votato per Clinton, per poi trovarmelo a scatenare guerre in giro per il mondo. Le sinistre moderate sono state sostituite da questi personaggi fasulli, che dichiarano di essere e di fare l'esatto opposto di ciò che sono e che fanno.

Stanno distruggendo la sanità pubblica e la scuola pubblica, con un metodo semplice: le hanno messe in condizioni di funzionare poco e male, per poi affermare che non funzionano e occorre passare al sistema privato. Come hanno inventato le guerre umanitarie, così stanno distruggendo pezzo per pezzo i servizi sociali costruiti in un secolo di conquiste civili, dicendo di farlo per il nostro bene, perché i finanziamenti agli enti pensionistici frenano lo sviluppo ed il mercato del lavoro è troppo rigido, e allora diamo il via agli enti pensionistici privati, manna per le assicurazioni, ed al lavoro interinale, che mette in pericolo meccanismi essenziali di protezione del lavoro dipendente, non certo privilegi.

Dove va la democrazia? Con l'uninominale si va a votare, per scegliere tra due alternative identiche in tutto, tranne poche trascurabili apparenze. Gli americani, che sono più avanti in questa evoluzione, giudicano i candidati in base all'aspetto fisico ed alle abitudini sessuali. Per questo mi oppongo all'uninominale.

Comincio a pensare di essere sulla via per diventare un dissidente in un regime di totalitarismo capitalista incipiente, come i Sacharov e gli Zinoviev nell'URSS del totalitarismo comunista.

Ho citato Zinoviev per via del suo articolo pubblicato su La Stampa del 30 giugno, in cui spiegava i motivi del suo abbandono dell'Occidente. Non appena ha cominciato a criticare anche il sistema capitalista, Zinoviev ha conosciuto difficoltà a pubblicare i suoi scritti, che invece trovavano facile accoglienza quando l'obiettivo era l'URSS. Certo qui non capita spesso di essere arrestati per quello che si scrive o si dice, i metodi sono più raffinati: si adotta il discredito, la calunnia, o semplicemente l'emarginazione silenziosa dai mezzi di comunicazione più diffusi.

Non è ancora finita. I link all'inizio di questa pagina dimostrano che, almeno tramite Internet, si possono avere notizie fuori dal coro. Il sito Antiwar riporta collegamenti a testate telematiche importanti, che ci trasmettono notizie e commenti non allineati con l'Idea dominante.

Restate in guardia, cari visitatori, soprattutto pensate con la vostra testa.

Alberto Cavallo, 25 luglio 1999

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