La caduta di Milosevic


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La caduta

Oggi avverrà a Belgrado l'insediamento del nuovo presidente della Federazione Jugoslava, Vojislav Kostunica. Ma la notizia più importante è che Kostunica ha incontrato amichevolmente l'ex presidente Milosevic, che ha riconosciuto la decadenza del proprio mandato e la legittimità della successione.

Per chi ha seguito con emozione e partecipazione le tragiche vicende jugoslave questo è un momento felice, perché l'uomo, al quale a ragione o a torto si addossa gran parte della responsabilità di quanto è accaduto di male negli ultimi anni, ha accettato di abbandonare la sua carica. Questo è avvenuto in seguito ad un'elezione perduta e ad una rivolta popolare che ha imposto l'applicazione dei risultati elettorali, ma senza spargimento di sangue.

Si possono fare molte considerazioni su quanto è accaduto, ma fondamentalmente sono convinto che sia importante che Kostunica riesca effettivamente ad insediarsi e ad assumere il controllo della situazione, mentre Milosevic deve essere messo da parte, preferibilmente in condizioni tali da impedirgli di ricercare il ritorno al potere.

Il suo allontanamento fornirà agli occidentali la giustificazione per la rimozione delle sanzioni ed il ristabilimento di normali relazioni con la Jugoslavia. Si farà così un passo significativo per uscire dalla trappola in cui la NATO aveva fatto cadere, oltre a Milosevic, anche se stessa: una guerra vinta per ottenere di meno di quello che l'avversario aveva offerto prima dei combattimenti, uno stallo totale della situazione politica, con Milosevic sconfitto militarmente ma ancora al potere a tempo indeterminato, il Kosovo in una condizione giuridica assurda, legalmente parte della Jugoslavia ma occupato da una forza militare ONU indispensabile per impedire il massacro degli ultimi serbi da parte degli albanesi. Ora almeno si avrà un interlocutore legittimato da tutte le parti in causa e si potrà combattere l'ala estremista dei nazionalisti serbi nell'unico modo ragionevole, migliorando le condizioni di vita di tutto il popolo.

Mi auguro infatti che l'eliminazione delle sanzioni sia seguita da una politica di aiuto economico, ora proponibile con un leader non più compromesso col passato, per consentire alla Jugoslavia di uscire dallo stato di tremenda miseria in cui si trovava già da tempo, aggravato pesantemente dalle conseguenze della guerra.

La rapidità insolita, con cui i governi occidentali hanno accettato la legittimità della presidenza Kostunica ed hanno annunciato la fine delle sanzioni, dimostra come essi aspirino a porre rimedio alla situazione intollerabile che essi stessi hanno creato, con l'assurda guerra dell'anno scorso.

Occorre evitare che permanga in Europa un focolaio di guerra come la ex-Jugoslavia. L'unico modo per evitarlo è aiutare tutti i popoli della regione a migliorare le loro condizioni di vita, togliendo così linfa vitale ai nazionalismi contrapposti. Se i leader occidentali sapranno essere un poco più lungimiranti e cercheranno di difendere i propri interessi non a danno delle nazioni dei Balcani ma in cooperazione con loro, sarà un vantaggio per tutti. Ora ci si sta muovendo, finalmente, nella direzione giusta. La ricostruzione della Jugoslavia può far vivere meglio tanta povera gente e creare opportunità di lavoro anche per le nostre aziende ed imprese.

Chiedo scusa se scrivo banalità, ma sembra necessario ripetere spesso che la guerra è morte e distruzione, che sono i governi e non i popoli che la vogliono, e che invece il lavoro onesto è la base di una vita dignitosa per tutti.
 

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Dittatore o leader autoritario?

Chi ha letto i miei articoli e le mie lettere a giornali e forum sa che non ho mai difeso Milosevic, anzi ho spesso usato un linguaggio alquanto duro nei suoi confonti. Tuttavia non l'ho mai considerato un mostro, un nuovo Hitler, come ha fatto la quasi totalità della stampa italiana ed occidentale. Per me Milosevic è un uomo politico di medie, anzi mediocri capacità. Dopo la fine del titoismo ha scelto di cavalcare il nazionalismo serbo per costruire il proprio potere personale. Nel farlo si è trovato a combattere contro interessi di avversari preponderanti, in primo luogo della Germania e degli Stati Uniti d'America; se fosse stato più accorto avrebbe potuto evitare lo scontro aperto, ma la sua scarsa comprensione dei meccanismi politici dell'Occidente lo ha portato ad una serie di scontri diplomatici e bellici sempre combattuti in condizioni di totale inferiorità, con l'esito inevitabile di una serie di sconfitte. Milosevic è fondamentalmente un burocrate del vecchio regime, privo di una reale capacità di comprendere il funzionamento della politica USA ed europea. Come capita spesso a coloro che provengono da sistemi autoritari gerarchizzati, interpreta come segno di debolezza la presenza di voci opposte a quelle dei governi ed è portato a contare sull'incapacità degli occidentali di sopportare perdite umane in guerra. La sua propaganda è molto grezza ed inefficace, al confronto di quella del mondo occidentale - il sistema dei media e delle public relations, a lui del tutto estraneo. Tuttavia ha una certa efficacia nel ristretto ambito jugoslavo.

L'uso degli argomenti nazionalistici e una certa abilità effettiva in politica interna ha infatti consentito a Milosevic di mantenersi al potere, nonostante rovesci militari e di politica estera sempre più gravi, presentando i suoi oppositori come nemici del popolo serbo. Tuttavia era chiaro a tutti che all'opposizione mancava soltanto un leader credibile, che fosse accettabile ai nazionalisti serbi come ai governi stranieri, e che potesse vantare un passato immacolato dal punto di vista della corruzione così come del coinvolgimento col passato regime. Non appena un leader così fatto è stato trovato in Kostunica, per il potere di Milosevic è stata la fine.

A chi continua a dipingere Milosevic come un dittatore spietato, vorrei far notare ora alcune circostanze.

I veri dittatori non consentono lo svolgimento di elezioni alle quali partecipino avversari veri: o non indicono alcun tipo di elezioni, o celebrano elezioni a lista unica (come tutti i regimi comunisti, inclusa la Cina di oggi), o consentono la presentazione di candidature solo ad un'opposizione fittizia, controllata dal regime. Milosevic non ha impedito che le elezioni avvenissero, che vi partecipasse un avversario vero e pericoloso come Kostunica, e che quest'ultimo avesse la maggioranza. Una volta risultata chiara la sconfitta, Milosevic ha cercato di intorbidare le acque, prima con la convocazione del ballottaggio, poi con l'annullamento delle elezioni. Ma il ricorso a questi mezzi è più tipico di un politico corrotto e autoritario che di un dittatore vero e proprio.

Di fronte alla rivolta popolare, Milosevic ha rinunciato all'uso della forza. Si sa che dispone di forze militari fedeli, ma ha scelto, almeno finora, di non chiamarle all'azione. Anche questo non è il modo di agire di un novello Hitler, ma al contrario di un uomo che dispone ancora di una certa dose di ragionevolezza. Hitler si fece uccidere nel bunker, dicendo agli ultimi fedeli che se la Germania veniva sconfitta voleva dire che lo meritava, e pertanto doveva essere annientata. La ridicola inadeguatezza del paragone Hitler-Milosevic ora emerge pienamente: Milosevic agisce da politico, non da dittatore folle.

Milosevic probabilmente pensa di poter ancora restare attivo nella scena politica jugoslava, accettando la vittoria di Kostunica per poi rendergli la vita difficile. Se Kostunica non riuscirà in poco tempo a risollevare le sorti della Jugoslavia, soprattutto in senso sociale ed economico, perderà rapidamente il consenso di cui gode. Milosevic, dai banchi dell'opposizione, additerà i suoi fallimenti economici e lo dipingerà come un burattino della NATO, insediato non per risollevare i serbi ma per opprimerli ulteriormente. Se l'economia serba seguirà la strada disastrosa di quella russa, Milosevic potrà far leva insieme sul disagio sociale e sul nazionalismo per risalire al potere.

Se si ragiona così, si comprende il probabile motivo per cui Milosevic ha stretto la mano a Kostunica. Ma questo tipo di ragionamento presuppone ciò che la stampa occidentale non vuole ammettere: Milosevic è un farabutto, ma della stessa specie degli uomini politici nostrani. Non è simile a Hitler né a Stalin, ma piuttosto a .... (sostituite ai puntini il nome di un uomo politico italiano che vi è antipatico). Sono le circostanze e la tremenda carica di odio reciproco dei popoli balcanici che lo hanno indotto a farsi coinvolgere in episodi sanguinosi; del resto, ricordatevi che perfino il pacifico (?) D'Alema ha autorizzato lo sgancio di bombe da parte di velivoli italiani sul territorio jugoslavo, sia pur nascondendosi dietro formule verbali fumose a proposito di azioni difensive (su territorio di uno Stato che non ci ha mai attaccato né minimamente minacciato), violando la costituzione oltre a numerosi trattati internazionali.

La democrazia non si può intendere come una condizione che non ha gradi intermedi. Se così non fosse, non potremmo considerare democratica nemmeno l'Italia. La Jugoslavia di Milosevic, in un'ipotetica scala di democraticità, non aveva una posizione elevata ma era superiore a tante altre nazioni con cui abbiamo buoni rapporti, come la Cina o la Nigeria. Milosevic non era un dittatore, ma il presidente di uno Stato con connotazioni autoritarie. Il livello di democrazia della Jugoslavia era ancora tale da non consentirgli di impedire lo svolgimento di vere elezioni con candidati seri da parte dell'opposizione. Il suo tentativo di sfuggire alla sconfitta elettorale con trucchi illegali è fallito per la rivolta della popolazione, che egli non ha neppure tentato di reprimere. Milosevic ora pianifica di restare in politica e tentare la ripresa del potere in tempi successivi.

Insomma, Milosevic è stato ed è un leader politico autoritario, ma non un dittatore.
 

Alberto Cavallo, 17 ottobre 2000

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Lo specchio deformante

Il club dei guerrafondai cossovari, a cui appartiene purtroppo una parte significativa della stampa italiana, ogni volta che ritorna in auge la questione jugoslava si affanna a trovare argomenti per giustificare le sue ingiustificabili posizioni del passato. La guerra del Kosovo viene ora presentata come l'azione provvidenziale che ha scatenato, a lungo andare, la caduta dell'odioso dittatore nazista-comunista Milosevic (secondo i casi lo si considera un Hitler, uno Stalin o una combinazione dei due). Si dice che se fosse stato per i "pacifisti", Milosevic sarebbe rimasto al potere fino alla fine dei suoi giorni.

Si tratta di affermazioni tanto prevedibili che le avrei potute descrivere in dettaglio prima di leggerle. Ci dicono che al dittatore Milosevic è succeduto il presidente Kostunica. No, cari signori, al presidente Milosevic è succeduto il presidente Kostunica. I due si sono stretti la mano! Non è stato un passaggio di poteri lineare e governato dalle regole come in un regime democratico ben consolidato, ma il modo in cui si è prodotto il passaggio dei poteri dimostra che Milosevic, nonostante tutto, non era un vero dittatore.

Vorrei ricordare che, pochi mesi prima della tragica guerra del 1999, il partito (o meglio la coalizione) di Milosevic aveva perso le elezioni locali in varie città importanti della Jugoslavia, dopo aver già perso le elezioni politiche della repubblica del Montenegro. La poltrona del presidente era alquanto instabile. Come si può affermare che senza la guerra non sarebbe caduto? Io dico che senza la guerra sarebbe caduto prima, forse nello stesso anno!

Ma se anche così fosse, se anche la guerra avesse accelerato la sua caduta, questo non sarebbe un motivo valido per giustificare un'aggressione come quella compiuta dalla NATO. Il bombardamento del territorio di uno Stato indipendente, fatto allo scopo di farne cadere il governo, si chiamava un tempo politica delle cannoniere. L'azione di colpire con le bombe la popolazione civile e obiettivi come centrali elettriche, ponti, scuole, ospedali si chiama terrorismo.

Ribadisco, la NATO non ha compiuto azioni militari contro le truppe jugoslave per proteggere direttamente i civili del Kosovo ed ha causato danni risibili alle forze armate jugoslave (non più di 13 carri armati distrutti o messi fuori combattimento). Ha invece sconfitto la Jugoslavia conquistando un pezzo del suo territorio e mirato alla caduta del suo governo, ma per fare questo:

Tutto questo nell'ambito di una guerra di aggressione vera e propria, in quanto priva di autorizzazione dell'ONU e condotta al di fuori delle competenze della NATO stessa. Se lo scopo non era quello (fallito) di proteggere i cossovari albanesi, ma di far cadere Milosevic, allora si ammette appunto che si è fatta una guerra allo scopo di sottomettere la Jugoslavia. Basterebbe dire, puramente e semplicemente, che si è fatta una buona sana stupida vecchia guerra, come quelle di una volta.

"La guerra è ... un atto di forza che ha per iscopo di costringere l'avversario a sottomettersi alla nostra volontà" dice Karl von Clausewitz1. Si voleva sottomettere la Jugoslavia e si è scelto di farlo con la guerra.

Io mi sono opposto alla guerra e sono convintissimo di aver fatto bene. I fatti successivi non hanno minimamente modificato le premesse dei ragionamenti che ho ripetuto in sintesi anche qui. Invito il lettore a visitare la sezione del sito dedicata alla guerra del Kosovo, che contiene considerazioni tuttora perfettamente valide.

Ma i guerrafondai continuano a mostrarci la realtà riflessa nel loro specchio deformante, nel quale Milosevic ha il volto di Hitler, i serbi sono un popolo di pazzi sanguinari, il bombardamento dei civili si chiama guerra umanitaria e così via. Io contesto nel modo più fermo che la guerra sia stata una scelta giusta da qualunque punto di vista. Ribadisco con la massima decisione che Milosevic sarebbe caduto lo stesso, prima o poi, probabilmente prima. Ribadisco che le tragedie del 1999 si potevano evitare tutte con una politica sensata e accorta, estendendola presenza degli osservatori civili in Kosovo e accettando le offerte fatte dalla Jugoslavia ai negoziati di Rambouillet.

Un importante punto debole degli argomenti dei guerrafondai sta proprio nella figura di Milosevic. Stiamo parlando di un uomo capace di firmare la pace per la Bosnia a Dayton e di cedere il potere a Kostunica con una stretta di mano. Se togliamo lo specchio deformante e guardiamo il vero Milosevic, non vediamo un mostro da distruggere ma un uomo, per molti aspetti forse odioso, con il quale si può tuttavia ragionare.

La disumanizzazione dell'avversario è lo strumento più tipico della propaganda bellica di ogni luogo e di ogni tempo. Nel momento in cui, nel nostro avversario, vediamo uno come noi, con paure e speranze, aspirazioni e preoccupazioni, con parenti e amici che lo aspettano a casa, allora l'arma ci cade di mano. Per questo, fra tutte le menzogne e le mezze verità della propaganda, mi hanno particolarmente ferito gli attacchi al popolo serbo, alla sua storia ed alla sua cultura, comparsi in varie forme nei media. Molte persone ora possono avere concepito idee distorte e razziste nei confronti dei serbi: il danno fatto da certe pubblicazioni è grave come quello fatto dalle bombe, perché dura a lungo e cova come brace sotto la cenere. O come l'uranio 238 in Jugoslavia.

Alberto Cavallo, 17 ottobre 2000

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I nemici della pace

Mentre si apre uno spiraglio di luce nel tunnel buio della Jugoslavia, altra violenza scoppia a Gerusalemme. Non apro quest'altro argomento per insufficienza di tempo e di forze fisiche, ma voglio riallacciarmi al discorso generale sulle motivazioni delle guerre. Per quanto riguarda il conflitto arabo-ebraico, ho fatto tempo fa un parallelo con quello serbo-albanese, che forse vale la pena di rileggere.

Le motivazioni che si adducono per giustificare le guerre spesso si riferiscono all'identità etnica ed a quella religiosa. Il meccanismo è sempre il medesimo: per scatenare un conflitto occorre trovare un altro che non la pensa come noi, che fa cose per noi immorali, che ci vuole scacciare dalla nostra terra o vuole impedirci di tornarvi. Si scatena l'odio contro questi esseri meno umani di noi, si giustifica qualunque azione contro di essi. Attraverso questo meccanismo, qualche personaggio ambizioso e spietato si propone come leader e giustifica la presa del potere da parte sua. Continua poi a tenere vivo il conflitto per non rischiare di perdere quello che ha conquistato. E' desolante constatare come l'umanità continui ad essere preda di trucchi primitivi di questo tipo. Questo stesso trucco è stato usato anche da Milosevic per prendere e mantenere il potere in Jugoslavia.

Nel mondo occidentale moderno il meccanismo semplice che ho tratteggiato sopra è stato superato da un altro, più complicato ed evoluto, strettamente connesso con il sistema economico capitalistico. Nel momento in cui il potere di fonda sul denaro ed il denaro può essere accumulato con l'attività industriale, anziché acquisire il potere nel senso diretto e brutale del predominio della forza lo si accresce accumulando mezzi economici. La guerra diviene quindi non un mezzo diretto di acquisizione di potere ma l'occasione per accrescere gli utili industriali attraverso la produzione e la vendita, a prezzi altamente remunerativi, di armamenti e forniture militari in genere. Le due guerre mondiali del XX secolo hanno prodotto un'eccezionale crescita dell'industria collegata agli armamenti. Dopo la seconda, il complesso militare-industriale era ormai così grande e potente, soprattutto negli Stati Uniti d'America, da avere un peso politico decisivo.

Nel dibattito tra i due principali candidati alla presidenza degli USA, Bush e Gore, si parla molto di pensioni e assistenza sanitaria: ad esempio Bush vorrebbe privatizzare la Social Security, mentre Gore è contrario. Trascuro di parlare della sconvolgente genericità delle dichiarazioni di entrambi nel loro recente dibattito televisivo, di cui ho seguito una parte in diretta. Non ci sono però contrasti sulla spesa militare: entrambi i candidati parlano di accrescerla! Eppure il bilancio militare degli USA è superiore a quello di tutti i loro alleati messi insieme, e costituisce più di un terzo di quello del mondo intero. USA e alleati insieme spendono i due terzi di quello che spende il mondo intero in armamenti. Si tratta di cifre enormi in assoluto: nel 1998 gli USA spesero 265 miliardi di dollari per la "difesa". Al cambio di allora erano 484.000 miliardi di lire (di allora).

E' evidente che questa immensa macchina militare ormai esiste solo per alimentare se stessa. Non c'è al mondo nessun Paese che possa minimamente competere con la forza militare americana. E' chiaro che, se risultasse evidente che non ci sono minacce di alcun genere non dico per il territorio - è sempre stato ridicolo pensare che ce ne fossero - ma per gli interessi americani, l'opinione pubblica potrebbe un giorno svegliarsi dal sonno in cui è indotta dai media e chiedere conto di queste spese assurde. D'altro canto è evidente che l'industria militare muove immense quantità di denaro e quindi può esercitare pressioni fortissime sui politici, di qualunque tendenza essi siano (pecunia non olet).

Avere tutte queste armi induce ad usarle, prima o poi. Nel 1993, in una riunione col capo di stato maggiore, gen. Colin Powell, il segretario di stato signora Albright osservò: "Qual è il senso di avere questa superba forza militare di cui Lei parla sempre, se non possiamo usarla?"2. Al generale venne quasi un colpo. I generali in maggioranza non vogliono fare veramente la guerra, specialmente se sono competenti, appunto perché la conoscono.

Del resto, se le armi non si usano mai non si consumano, e può nascere l'idea malsana che non servano. Come abbiamo visto, c'è qualcuno che maneggia centinaia di miliardi di dollari ed ha interesse a dimostrare che le armi servono e devono anche essere costantemente accresciute di numero ed aggiornate, oltre che naturalmente manutenute e sostituite quando invecchiano o si deteriorano. Pensiamo poi ai fabbricanti di munizioni, come potrebbero vivere, con le prove e le esercitazioni?

Così Bush e Gore discutono su come risparmiare qualcosa nella gestione delle pensioni degli anziani indigenti, ma non penso che nessuno dei due oserebbe mai proporre una riduzione significativa degli armamenti convenzionali. Qualche "rogue state" (o "state of concern" secondo l'ultima definizione) ci deve pur essere nel mondo, per giustificare l'esistenza di bombardieri che costano un miliardo di dollari l'uno. Durante la guerra in Kosovo i superbombardieri invisibili al radar B-2 Spirit volavano direttamente dall'America ai Balcani, sganciavano le bombe e tornavano di nuovo direttamente in America: visto che li possiedono, e con quello che sono costati, dovevano pure trovare il modo di farne qualcosa!

Insomma, ben vengano i cattivi come Saddam o Milosevic, se non ce ne fossero bisognerebbe inventarli!

Ma chi sono, allora, i peggiori nemici della pace?
 

Alberto Cavallo, 17 ottobre 2000

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Citazioni

1. Karl von Clausewitz, Della guerra, traduzione italiana di Ambrogio Bollati ed Emilio Canevari, Oscar Mondadori, Milano 1970.

2. Walter Isaacson, Madeleine's war, Time magazine, 17 maggio 1999, traduzione mia.
 

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