La crisi georgiana: un Kosovo alla rovescia
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Pagina pubblicata il 30 agosto 2008
Un nuovo Kosovo - alla rovescia!
Il 7 agosto 2008, il giorno prima dell'inizio ufficiale delle
Olimpiadi di Pechino (sarà un caso?), le truppe georgiane hanno
invaso la provincia secessionista dell'Ossezia del Sud. Sì,
questo inizio già dovrebbe mostrare quanto parziale sia
l'informazione che ci viene data dai media occidentali, per i quali
c'è stata un'aggressione russa contro la Georgia - ma non
è così, è stata la Georgia a dare inizio alle
ostilità rompendo la tregua che reggeva da una quindicina
d'anni
con l'Ossezia meridionale, territorio georgiano a maggioranza osseta,
affine per popolazione alla vicina Ossezia settentrionale che fa parte
della Federazione Russa. Quando la Georgia si dichiarò
indipendente, in seguito al disfacimento dell'Unione Sovietica, gli
osseti reagirono cercando di rendersi indipendenti a loro volta dal
nuovo stato indipendente. Ci furono scontri e versamenti di sangue,
finché non si giunse ad un cessate il fuoco garantito dalla
Russia, che inviò proprie truppe in Ossezia del Sud col compito
di mantenere la pace nella regione - di fatto ovviamente con quello di
garantire gli interessi russi nella regione.
Ora la Georgia ha tentato di riprendersi la provincia ribelle con un
colpo di mano, sperando nel sostegno di Stati Uniti ed Unione Europea.
Ma la Russia di oggi non è più quella di Eltsin: ha
reagito immediatamente con efficacia, riprendendo il controllo della
provincia secessionista ed occupando alcune posizioni strategiche
all'interno della Georgia vera e propria, utilizzando come base di
partenza anche l'altra provincia georgiana secessionista, l'Abkhazia.
L'ultima mossa della Russia è stata, come c'era da
aspettarsi, il riconoscimento dell'indipendenza delle due province.
Tutta la vicenda presenta una notevole similitudine con la
questione
del Kosovo. Il parallelismo, più volte sottolineato dalla
Russia, non è una finzione propagandistica ma un fatto evidente.
Abbiamo infatti:
- Uno stato nato dal disfacimento di una federazione
(Georgia/Serbia);
- Una provincia dove la maggioranza della popolazione ha
un'appartenenza etnica diversa da quella dello stato di cui essa fa
parte (Ossezia - osseti anziché georgiani/Kosovo - albanesi
anziché serbi) e vuole a sua volta rendersi indipendente;
- Una potenza esterna che appoggia gli indipendentisti
(Russia/Stati Uniti e NATO) e interviene militarmente in loro favore.
Non si dimentichi che tra osseti e georgiani ci sono stati scontri
armati e "pulizie etniche" anche prima del primo intervento russo
(fomentati dai russi? può darsi, ma l'UCK non fu forse
foraggiato dall'Occidente, che improvvisamente ne cambiò lo
status da organizzazione terroristica a movimento di liberazione?).
Recentemente il Kosovo si è dichiarato indipendente, contro le
risoluzioni dell'ONU e con un riconoscimento internazionale parziale
(Stati Uniti e parte delle nazioni europee, inclusa l'Italia ma escluse
Grecia e Spagna ad esempio). I russi hanno immediatamente fatto notare
la similitudine delle situazioni delle province georgiane facendo
notare che hanno lo stesso diritto del Kosovo all'indipendenza.
Ora i kosovari vedono positivamente l'indipendenza di Abkhazia e
Ossezia, ed i serbi sono preoccupati (si veda l'articolo
di Limes on line), perché la situazione è fin troppo
evidente! La Russia, riconoscendo l'indipendenza delle province
georgiane, ha agito simmetricamente rispetto alla NATO e potrebbe
essere tentata, nel seguito degli sviluppi diplomatici, dall'ipotesi di
lasciare l'amica Serbia al suo destino per tenere ferma la posizione
nel Caucaso.
In realtà nessuno ha interesse ad appoggiare movimenti
indipendentisti di entità minuscole come Kosovo, Abkhazia e
Ossezia del Sud, se non per scelte tattiche di breve respiro. La
soluzione migliore, quando è perseguibile, è una buona
autonomia all'interno di un unico stato sufficientemente democratico da
riconoscerla.
Personalmente, dopo aver studiato la questione della ex Jugoslavia, mi
opposi fermamente all'intervento militare NATO contro la Serbia.
Tutt'ora ritengo che si dovesse perseguire, e con possibilità di
riuscita, lo sviluppo della democrazia in Serbia e non la sua
disintegrazione. L'azione militare della NATO fu più brutale
di
quella dei russi contro la Georgia, perché furono bombardati
per
settimane obiettivi civili serbi, in particolare ponti, ferrovie,
edifici pubblici, perfino scuole fino a ridurre il paese alla resa.
Si vedano i resoconti di allora nella
sezione Kosovo di questo sito. Ora i russi hanno agito occupando
alcune postazioni strategiche via terra, ma non hanno sottoposto la
Georgia a bombardamenti aerei di tipo terroristico (il termine è
esatto perché così si definiscono, fino dagli anni '40
quando furono introdotti dai nazisti con i loro attacchi
all'Inghilterra, i bombardamenti su obiettivi civili fatti allo scopo
di piegare la resistenza di una nazione). Hanno
dimostrato una sicurezza di sé molto superiore a quella della
NATO, impegnando direttamente i loro soldati sul campo e non sganciando
bombe da alta quota senza rischio per i propri militari.
Chi condanna l'intervento russo avrebbe dovuto condannare l'intervento
NATO del 1999 contro la Serbia. Non ci si dica che il presidente
georgiano Saakashvili è tanto meglio di Milosevic! Entrambi
eletti in
un contesto non troppo democratico, entrambi coinvolti in azioni
violente contro gli oppositori... la differenza tra i due riguarda i
rapporti con Stati Uniti e NATO, non il fatto di essere più o
meno dei dittatori. Vale sempre la regola propagandistica che un capo
di stato di
taglio autoritario e nazionalista se è nemico di USA e NATO
è considerato un dittatore sanguinario, se è amico
è un "uomo
forte" e può essere definito perfino "democratico". NAturalmente
si sbandiera il solito criterio delle elezioni: Saakashvili è
stato eletto (in elezioni affette da brogli e violenze), ma anche
Milosevic era stato eletto (in elezioni tutto sommato accettabilmente
eque, e poco prima della guerra il suo partito aveva perso le
amministrative - se fosse stato un dittatore spietato come si diceva
come avrebbe potuto perdere un'elezione?).
Certo uno stato ha il diritto di usare la forza contro un tentativo di
secessione, ma nel momento in cui si è negato questo diritto
alla Serbia come lo si può riconoscere alla Georgia? Le
popolazioni ossete e abkhaze non hanno il diritto di essere protette
dalla violenza dei georgiani così come gli albanesi del Kosovo
da quelle dei serbi? Dal punto di vista della legalità
internazionale la Russia non aveva alcun diritto di intervenire facendo
la guerra alla Georgia, come non lo avevano la NATO contro la Serbia o
gli Stati Uniti contro l'Iraq. Chiaramente poi ciascuno adduce
motivazioni per le proprie azioni, e si è liberi di accettarle o
no...
La sintesi è: nella politica internazionale il giusto è
tornato ad essere l'utile del più forte. Una volta stabilito che
chi ne ha la forza può agire unilateralmente infischiandosene
delle regole, questo varrà sempre.
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Il Kosovo oggi
Il 17 febbraio 2008 il Kosovo si è unilateralmente dichiarato
indipendente. Molti paesi hanno riconosciuto il nuovo stato ed aperto
relazioni con esso, ma non l'ha fatto l'ONU né la maggioranza
degli stati in generale. Stati Uniti, Italia, Francia e Germania sono
tra i paesi che l'hanno riconosciuto, mentre altri paesi dell'UE come
Spagna, Grecia e Romania non lo hanno fatto. Il Kosovo si trova
perciò in un limbo particolare, a metà tra la vera
indipendenza e la condizione di stato fallito. Si aggiunga che la
missione ONU di amministrazione (Unmik) e quella della NATO di
sorveglianza militare (Kfor) sono ancora in atto, anche se la prima si
sta riducendo ad un fantasma. L'UE dovrebbe subentrare all'ONU con una
propria missione civile e legale (Ico ed Eulex), ma in assenza di una
risoluzione del Consiglio di Sicurezza o dell'Assemblea dell'ONU questo
rimpiazzo non ha veste giuridica. Il Kosovo indipendente non chiede a
NATO e UE di andarsene, ovviamente, ma così si autodefinisce
come entità non del tutto indipendente, a ben guardare!
Del resto i kosovari hanno festeggiato l'indipendenza sventolando la
bandiera dell'Albania (rossa con l'aquila nera), non quella del Kosovo
indipendente, che riporta il profilo geografico del paese su sfondo
blu, con l'aggiunta di sei stelle che rappresenterebbero le "sei etnie"
del paese, dato che esso non ha un simbolo né colori nazionali.
Non che l'Albania come entità politica voglia annettersi il
Kosovo, anche se i nazionalisti panalbanesi continuano a sognare una
Grande Albania che includa, oltre all'Albania attuale ed al Kosovo,
territori che oggi fanno ancora parte di Serbia e Macedonia.
Lo stato di diritto in Kosovo non esiste, conta la volontà dei
capi fazione che sono nello stesso tempo i principali esponenti della
politica e delle organizzazioni extralegali, insomma mafiose. Lo status
indefinito e la mancanza di regole non consentono l'instaurazione di un
sistema economico funzionale, il che rende il nuovo stato dipendente da
un lato dagli aiuti internazionali, dall'altro dall'economia illegale.
Di fatto la frantumazione della Jugoslavia ha creato una rete di quasi
stati dove le mafie si muovono come i pesci nell'acqua. Pensiamo alla
Bosnia divisa tra Republika Srpska e Federazione Croato-bosniaca.
Tra l'altro i serbi di Bosnia cominciano a pensare anch'essi ad una
dichiarazione di indipendenza unilaterale: perché il Kosovo
sì e loro no? Specialmente dopo i fatti di Georgia, rischia
veramente di aprirsi il vaso di Pandora dei regionalismi in tutto il
mondo.
Insomma, la situazione del Kosovo rimane irrisolta, una ferita aperta
nel cuore dell'Europa, come peraltro la stessa Bosnia divisa in due
entità che si odiano ma sono costrette a convivere in un unico
stato. Mentre il Montenegro si è separato pacificamente dalla
Serbia, pur avendo con essa un forte legame etnico e tradizionale. Tra
un montenegrino ed un serbo c'è meno differenza che tra un
bergamasco ed un milanese...
Chi vuole comprendere la realtà dei Balcani di oggi dovrebbe
assolutamente leggere il numero 2 di Limes 2008 "Kosovo, non solo
Balcani". Se ne trae un quadro desolante: nessuna delle questioni
importanti è stata risolta, a tutte si è posto rimedio
con soluzioni posticce, di facciata, che ridicolizzano i concetti di
stato, diritto, legalità, democrazia. Stati che dipendono da
missioni politiche, legali e militari straniere per non disintegrarsi,
economie che in queste condizioni possono soltanto basarsi
sull'illegalità dato che la legalità è indefinita
ed i leader politici coincidono con quelli delle mafie e delle milizie,
il principio dell'autodeterminazione dei popoli utilizzato per
giustificare l'esistenza di stati indipendenti grandi come la provincia
di Cuneo.
L'unica soluzione può venire dall'Unione Europea, che
però dovrebbe darsi prima una nuova struttura istituzionale
adeguata alla sua attuale configurazione a 27 stati. Una volta
ricostituita la sua identità, l'UE mi sembra l'unica
entità capace di riaggregare progressivamente i frammenti di
stato balcanici attraverso un processo di normalizzazione legale ed
economica che porti i vari leader più o meno presentabili ad
accettare la necessità di stablire regole e rispettarle, in
cambio dell'opportunità di entrare nell'UE. Se non sarà
così, prima o si scatenerà nuovamente la violenza e si
dovrà arrivare alla pacificazione tramite le armi.
Intanto però la situazione offre sempre maggiori spunti ad una
potenza data per defunta ed oggi rinata: la Russia. Che può
giocare sull'alleanza con la Serbia ma anche sul rapporto ambiguo con
gli stati europei, che da essa quantomeno dipendono per l'energia.
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La rinascita del gioco delle potenze e le
prospettive per la pace
Ciò che constatiamo confrontando la situazione dei Balcani e del
Caucaso è infatti che la Russia oggi è rinata come
potenza. Perché
la Russia o è impero o non esiste, e oggi per sopravvivere sta
cominciando a ricostruire il suo impero. Gli Stati Uniti non hanno
capito che non dovevano perseguire la sua distruzione, accerchiandola
sempre più strettamente come hanno fatto, cercando di portare
dalla
loro parte tutta la periferia ex sovietica. Meglio sarebbe stato
cogliere l'occasione della sua debolezza per integrare la Russia nel
sistema occidentale invece di trattarla come un nemico sconfitto da
umiliare e schiacciare. Ora si raccoglie quel che
è
stato seminato: la potenza militare degli USA è impantanata in
Iraq e
Afghanistan, mentre la Russia grazie alle sue risorse energetiche
(petrolio e gas, con i loro prezzi ormai stabilmente alti) si sta
ricostruendo e non ha più paura di nessuno. Nei suoi confronti
è stato
commesso, dopo la guerra fredda, lo stesso errore che si fece nel 1918
contro la Germania sconfitta nella I Guerra Mondiale: infierendo sullo
sconfitto, mettendolo in un angolo, si è favorita la rinascita
del suo
nazionalismo. Una grande nazione come era la Germania, come è la
Russia, quando è messa alle corde e ridotta a lottare per la
propria
esistenza tira fuori tutte le sue restanti risorse, comunque non
piccole, per risalire.
Ma il parallelo finisce qui: Vladimir Putin non è un pazzo alla
Hitler, bensì uno statista che conosce bene il suo paese ed il
mondo, e le regole
della politica internazionale più classica, il gioco delle
potenze. Con
la massima spregiudicatezza sta mettendo a segno mosse efficaci su
tutti i fronti, misurando le proprie forze e quelle degli altri.
La storia non è affatto finita, anzi rischia di ritornare sui
binari
tradizionali dello scontro tra potenze. La grande occasione del
1989-1991, la fine della guerra fredda, non è stata colta. Gli
Stati
Uniti hanno dimostrato di essere un impero come tutti gli altri ed
hanno perseguito la supremazia globale invece di adoperarsi per la
stabilità in collaborazione con i loro alleati ed anche con gli
ex
nemici. Oggi ci avviamo verso un mondo molto pericoloso, con la ripresa
delle rivalità tra grandi potenze a tutti i livelli, legata
anche alla
lotta per l'accaparramento delle risorse energetiche e di materie
prime, sempre più preziose ora che lo sviluppo economico
è partito
nelle due superpotenze del futuro, Cina e India. Che hanno entrambe una
potenza militare importante, ma preferiscono giocare su altri tavoli,
invece di dissanguarsi nella corsa agli armamenti come fece la fu
Unione Sovietica - ma oggi l'apparato militare costruito per la guerra
fredda si sta rivelando più una palla al piede che un vantaggio
per gli Stati Uniti: invece di riconvertirlo gli ultimi governi hanno
cercato di mantenerlo e rafforzarlo, ottenendo qualche vantaggio a
breve termine ma compromettendo gli interessi nazionali a lungo termine
perché esso assorbe risorse che ora mancano per reggere sul
piano dell'economia globale.
Nella situazione di oggi le armi distruttive sono le più
inefficaci. L'arma migliore della Russia ad esempio sono i gasdotti che
la collegano all'Europa: se cessa il flusso di gas, l'Europa resta
senza energia per elettricità e riscaldamento. E con le
bombe si
può distruggere un gasdotto, ma non riattivarlo! Attaccare
con le armi la Russia sarebbe un suicidio, anche se fosse indifesa sul
piano militare. Per garantirsi la vittoria sulla Russia i maghi degli
armamenti della NATO invece dello scudo spaziale dovrebbero inventare
la bomba superintelligente che sganciata su un impianto lo rimette in
funzione.
Ma l'arma "gasdotto" ha anche un altro aspetto: a chi la detiene non
conviene usarla. E' un deterrente, non un'arma da battaglia, e
favorisce la pace, perché chi l'ha non vuole interrompere la
fornitura ai suoi clienti che pagano profumatamente il gas che
comprano. Se lo facesse rovinerebbe se stesso con loro.
L'altra superarma è detenuta dalla Cina: essa controlla la
maggior parte del debito pubblico americano. E' la bomba atomica
finanzaria: la Cina potrebbe causare il crollo dell'economia degli
Stati Uniti semplicemente mettendo in vendita tutti insieme i titoli
americani che detiene. Ovviamente anche questa è un'arma che non
si può usare, perché colpisce per primo chi la usa. Un
deterrente puro quindi, proprio come le bombe H ai tempi della
distruzione mutua assicurata (MAD: Mutual Assured Destruction) della
guerra fredda.
Vediamo dunque come si può disinnescare la conflittualità
mondiale: attraverso i vincoli economici, appunto, esattamente come
abbiamo fatto in Europa per disinnescare i confltti intereuropei. Credo
che il vero
modello alternativo al tradizionale conflitto tra le potenze sul piano
politico sia proprio l'UE, pur con tutti
i suoi difetti di unione basata quasi soltanto su aspetti commerciali e
monetari spruzzati di ideali un po' più alti ma volutamente
generici (giustamente non deve fare riferimento alla religione, come
invece vorrebbe il Papa!).
Se saremo capaci di costruire un'Europa funzionante
nella sua nuova estensione a 27, cosa che oggi pare ancora incerta ma
non impossibile, potremo dare un modello al mondo intero. Le medie
potenze dovrebbero mettere in piedi altre unioni regionali simili,
capaci di controbilanciare pacificamente gli stati più grandi,
in modo
spontaneo e non imposto dall'esterno. L'UE continua a svolgere
egregiamente il compito di mantenere la pace tra Francia, Germania e
Inghilterra, che tanto sanguinosamente si sono combattute nella storia,
tanto che oggi la ripresa dei conflitti tradizionali in Europa è
disinnescata. Questo modello si dovrebbe esportare con l'esempio
dovunque sia possibile, con la nascita di altre Unioni simili nel
concetto anche se ciascuna con le sue peculiarità. I grandi
stati come
India, Cina, Russia e Stati Uniti d'America potrebbero entrare in una
fase successiva, come partner di unioni locali di paesi più
piccoli,
fino a giungere alla pace perpetua che potremo avere quando il mondo
intero sarà una grande Unione Mondiale di Stati e di Unioni
regionali, un
po'
vaga ma appunto per questo efficace proprio come l'Unione Europea, che
rende i conflitti inutili invece di reprimerli e non dà a
nessuno la
supremazia sugli altri paesi partner.
Non dobbiamo dirci che è impossibile, perché questo
è esattamente il
modo per impedire che si realizzi. Si deve però partire dal
concreto e
dall'attuale, e quindi è ora di tornare a credere nell'Europa e
lavorare per essa, come antidoto al mondo conflittuale e crudele che si
intravede come possibile fosca alternativa se il suo modello dovesse
fallire.
Alberto Cavallo, 30 agosto 2008
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