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Il dissidente
La democrazia e l'individuo
Pagina pubblicata il 25 aprile 2004
Indice
Alla pagina generale sulla politica italiana
Alla pagina generale sulla politica
internazionale
Essere un dissidente
Il termine dissidente è stato utilizzato per anni nel
linguaggio politico per indicare quelle persone che, nella
vecchia Unione Sovietica, si opponevano al regime ed erano sottoposte a
persecuzioni più o meno gravi, per aver manifestato le loro idee
di opposizione. Già da tempo mi capita, stranamente, di sentirmi
io stesso un dissidente e di considerare questo sito Internet come
l'equivalente dei samizdat, i fogli pubblicati segretamente a
ciclostile dai dissidenti sovietici per far circolare le loro idee in
modo clandestino.
La coscienza di questa situazione è subentrata per me nel
1999, quando mi opposi nettamente alla guerra del Kosovo, sentendomi
parte di una minoranza esclusa che forse poteva anche essere
maggioranza silenziosa. Tutti i media e tutte le principali
organizzazioni politiche ripetevano gli stessi slogan di guerra, mentre
io, come al solito pignolo e puntiglioso, indagavo sui fatti e non
trovavo la minima giustificazione ad un'iniziativa bellica contro i
resti della Jugoslavia. Tutte le informazioni attendibili indicavano
che la presunta persecuzione dei serbi contro gli albanesi era limitata
alla repressione della ribellione violenta, e che l'UCK era
un'organizzazione terroristica e non un'armata di popolo. Si stava
preparando una guerra di aggressione, in un concerto di trombe
propagandistiche esteso a tutto l'arco dei media, elettronici e
cartacei. Mi trovai accomunato a pochi movimenti di estrema sinistra
con i quali non avevo mai avuto nulla a che fare, e che fino a quel
momento consideravo avversari politici. Qualcosa di grave stava
accadendo, se un moderato come me poteva trovarsi d'accordo con
Rifondazione Comunista e gli extraparlamentari di sinistra.
Avevo appena creato questo sito, per trattare tutt'altri argomenti:
principalmente di scienza e di filosofia. Ne cambiai i contenuti, oltre
che, per qualche tempo, l'aspetto della pagina indice, e cominciai ad
interessarmi in modo più approfondito di politica
internazionale, raccogliendo informazioni e pubblicando sul sito i miei
commenti a quanto accadeva.
A quell'epoca il governo era di centro sinistra, con Massimo d'Alema
come presidente del consiglio. Non c'era quindi alcuna
possibilità di opposizione alla guerra nell'ambito dei partiti
di governo attuali o potenziali. L'intero sistema politico, salvo poche
voci minoritarie, sosteneva una posizione inaccettabile per uno che
fino a quel momento si considerava un laico appena un po' a sinistra
del centro. La democrazia si stava dunque sfaldando in modo evidente.
In questi cinque anni ho consolidato l'idea di essere un dissidente.
La vecchia repubblica democristiana era un esempio di democrazia al
confronto con l'attuale, cosiddetta, seconda repubblica. Ma non si
tratta di una condizione soltanto italiana: soprattutto le due potenze
anglosassoni, USA e UK, stanno degenerando in regimi con caratteri
neofascisti. Ogni nazione segue un
percorso proprio, ma l'atmosfera generale è riconoscibile.
Restando all'Italia, possiamo affermare senza timore di smentita che la
maggioranza del cosiddetto popolo sovrano non ha alcuna
rappresentanza politica. L'attuale governo è l'espressione di un
movimento privato costituito dal sig. Berlusconi per difendere i
propri
interessi personali, facendo leva su metodi demagogici di bassa lega ma
di grande efficacia, soprattutto per chi dispone di un monopolio
televisivo incredibilmente regalatogli dai politici di professione, che
egli stesso spregia nelle parole e nei fatti. Del resto d'Alema
è un burocrate, giunto ai vertici di un partito disorientato
tramite la padronanza della struttura organizzativa, in parziale
contrasto
con la volontà della base stessa del partito soprattutto con le
preferenze dei suoi elettori. Un personaggio peraltro tanto abile
nell'approfittare
delle debolezze interne del suo partito quanto incapace di trattare con
avversari come Berlusconi, che infatti è riuscito a conquistare
il governo in modo relativamente facile di fronte ad oppositori
così scadenti. Naturalmente, nella peggior tradizione italiana,
i leader perdenti non si sono fatti da parte ma ancora tirano le fila
dell'opposizione, creando disorientamento tra gli elettori, col rischio
che il Cavaliere possa salvarsi ancora una volta e riaffermare il suo
potere per molti altri anni.
Noi dissidenti siamo molto simili a coloro che si opponevano al
vecchio regime sovietico: crediamo nella democrazia liberale, nella
sostanza dei fatti, nella giustizia, nella cultura. Alcuni sono
perfino ex comunisti, o magari autentici comunisti, dato che il
"comunismo" di
stampo sovietico usurpava il nome. Altri fanno parte del vasto mondo
del volontariato cattolico, la cui tradizione di impegno nel sociale
non trova oggi adeguata espressione politica. Altri ancora, come me,
sono sempre stati
pensatori indipendenti, slegati da qualsiasi chiesa, religiosa o laica
che fosse. Per qualche strano miracolo, siamo tutti ancora cittadini
democratici in
un ambiente che rifiuta e distrugge la democrazia.
Non so se potremo cambiare il corso delle cose e raddrizzare la
rotta di questa nazione, visto che il mondo intero sembra andare nella
direzione sbagliata. Tuttavia è nostro dovere tentare il
possibile e non smettere mai. La sconfitta è soltanto una
circostanza nel mondo dei fenomeni. L'etica della ragione ci indica
chiaramente la
via da seguire, che è quella della verità e della
giustizia. Questo mondo è imperfetto e forse non avremo
né l'una né l'altra, ma questa è una
possibilità da accettarsi serenamente: pensiamo a quanti nelle
epoche passate hanno trascorso l'intera esistenza cercando di
realizzarle, senza alcun successo. Eppure i semi da loro piantati hanno
comunque fruttificato. Se anche il nostro ruolo fosse solo quello di
tedofori, che tengono viva la fiamma per passarla ai successori,
è pur sempre un ruolo importante. Non siamo comunque così
pochi e così soli come a volte ci sembra di essere. Bando alle
malinconie e tiriamo avanti.
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Il sovrano e il dissidente
Recentemente il filosofo della politica e direttore di Micromega,
Paolo Flores d'Arcais, ha pubblicato un libro breve ma denso di
contenuti, che si intitola Il sovrano e il dissidente - la
democrazia presa sul serio (Garzanti). Ho assistito alla
presentazione del libro da parte dell'autore stesso e poi naturalmente
l'ho letto, con grande interesse. Flores d'Arcais presenta una completa
rivisitazione del concetto di democrazia, rivisto alla luce degli
eventi italiani e mondiali dell'ultimo decennio, ma sviluppato nel
senso più generale, sulla base della tradizione antica e di
quella illuministica.
Secondo Flores la democrazia , lungi dall'essere il governo
della maggioranza, è quel regime che non solo tollera, ma
anzi configura come proprio elemento fondatore, appunto, il dissidente.
Questo paradosso linguistico, in verità solo apparente, emerge
naturalmente dalle carenze dei regimi che oggi, nel cosiddetto mondo
occidentale, si chiamano democratici. Sarebbe più naturale e
storicamente più corretto dire che la democrazia si fonda sull'individuo,
inteso come persona libera, autonoma e responsabile. Ma quando la
democrazia rischia di degenerare nel populismo, l'individuo così
concepito assume inevitabilmente le vesti dell'oppositore, del
dissidente. Colui che si oppone, insomma, al demagogo del momento.
Aggiungo qualcos'altro. La serata della presentazione del libro,
ebbi la sensazione che tutte le persone presenti, sul palco degli
oratori come fra il pubblico, si potessero davvero concepire come una
comunità di dissidenti. In effetti non c'erano politici di
professione, soltanto alcuni intellettuali prestati alla politica, tra
cui i due filosofi
chiamati a parlare: lo stesso Flores e Gianni Vattimo. Benché le
istituzioni non siano ancora sostanzialmente cambiate, il grado di
democrazia dello Stato italiano è già disceso parecchio,
tanto che le persone che hanno una posizione non già di sinistra
socialista, come si vuol far credere, ma semplicemente liberale e
democratica, sono a tutti gli effetti dissidenti. Anche rispetto
all'opposizione parlamentare, che in buona misura condivide, sia pure
in forma attenuata, i difetti dell'area governativa.
Le centinaia di migliaia di manifestanti scesi in piazza per la pace
non hanno alcuna rappresentanza, neppure in quei partiti che cercano di
cavalcarle fingendosene l'espressione. Flores spiega con molta
chiarezza i meccanismi che hanno portato a questa situazione di
gravissima carenza di rappresentatività del parlamento. Il libro
è breve e si legge in fretta, lo consiglio a tutti, con l'invito
a perdonarne il linguaggio eccessivamente ricercato. Per fare un
esempio, volendo usare l'espressione per
eccellenza l'autore, alla ricerca del miglior effetto, non si
accontenta
neppure del francese par excellence, ma si sente in dovere di
usare il greco kat'exochén. A questo punto mi
sento in dovere di esternargli la mia severa reprimenda per aver
traslitterato il greco in alfabeto latino anziché riportarlo
nell'alfabeto suo proprio, che a chi conosce la lingua è
più chiaro: personalmente, se vedo una parola greca
traslitterata sono colto da un momentaneo stupore, a cui segue il lampo
d'intuizione: "Ah, ma è greco!". Insomma non lo approvo ma lo
capisco: Flores è l'intellettuale.
Abbiate
pazienza e leggetelo comunque.
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La democrazia ed i diritti del cittadino
La definizione di democrazia che i media sostengono, a vantaggio di
coloro che la stanno distruggendo, è quella per cui c'è
democrazia laddove ci sono elezioni "libere". La libertà delle
elezioni viene giudicata con parametri variabili, per evitare rischi di
inclusioni od esclusioni indebite. In genere è sufficiente che
ci siano almeno due candidati nominalmente in opposizione tra loro e
che uno di essi non sia assassinato preventivamente.
Le elezioni e le votazioni a maggioranza non sono però l'essenza
della
democrazia, ma soltanto un mezzo
per giungere alle decisioni. La democrazia è il potere del
popolo inteso non come massa ma come somma di individui. Ogni individuo
ha un proprio giudizio e quindi è un (potenziale) dissidente. Il
semplice potere della maggioranza non è democratico se non
rispetta ogni singolo individuo, perché il potere è di
ciascuno, nessuno escluso.
Ogni cittadino deve essere
posto nelle condizioni di esercitare il suo diritto sovrano, quindi la
democrazia deve far sì che:
- ciascuno abbia garantita l'incolumità fisica e morale
della propria persona;
- ciascuno abbia mezzi di sussistenza adeguati, in termini di vitto
e alloggio decentemente accettabili, perché chi non ha cibo
né casa non può esercitare la cittadinanza;
- ciascuno abbia assistenza sanitaria adeguata, perché chi
è malato ugualmente non può esercitare i suoi diritti
- ciascuno riceva un'adeguata formazione in istituzioni scolastiche
libere da vincoli dogmatici
- ciascuno sia adeguatamente informato su ciò che accade,
perché possa formare la propria opinione libera ed autonoma
- ciascuno viceversa possa liberamente esprimere la propria opinione
- ciascuno sia libero di spostarsi liberamente dove gli aggrada
- nessuno sia sottratto alle leggi - governino le leggi e non gli
uomini
Queste sono condizioni necessarie affinché la democrazia possa
esistere come condivisione del potere tra eguali. Altrimenti si ha
soltanto demagogia. In Etica e politica
avevo presentato sostanzialmente gli stessi punti, salvo quelli
dedicati a istruzione ed informazione, che consideravo impliciti nella
libertà di espressione.
La migliore definizione di democrazia che emerge dal libro di Flores
d'Arcais si trova a pagina 93: la democrazia è aristocrazia
di massa. Insomma un'aristocrazia in cui tutti sono aristocratici,
nessuno è plebeo. Si potrebbe dire, per contrasto, che il
populismo è la tirannide a suffragio universale, in cui tutti
sono plebei e votano concordi il tiranno. Non ci può essere
democrazia se i cittadini non sono civilmente consapevoli del proprio
ruolo, indipendenti nel giudizio, anticonformisti. Tutti dissidenti,
quindi. Al centro della democrazia non c'è la massa ma il
singolo.
Il cittadino democratico è infatti necessariamente un
aristocratico e
non un plebeo. E' uno che ha consapevolezza civile ed indipendenza di
giudizio, che non si affida al leader carismatico né cede alle
mode. Da
sempre l'aspirante tiranno trova appoggio invece in chi pensa soltanto
al proprio utile immediato, non ha cultura ma si affida alla moda e si
confonde con la massa, sente un irrefrenabile bisogno di affidarsi ad
un capo che gli infonda sicurezza e senso di appartenenza. Il
conformista.
Stiamo parlando di qualcosa di irrealizzabile? No certamente. Gli
esseri umani sono migliori di quanto credano i pubblicitari. Ma per
costruire la democrazia occorre costruire i cittadini.
Un'attività pericolosissima, perché se riesce conferisce
veramente il potere al popolo e mina alle radici qualunque oligarchia o
tirannide. Il leader che osasse formare i suoi seguaci come cittadini
potrebbe conservare il suo ruolo soltanto ottenendo il loro libero,
informato e critico consenso. Non potrebbe essere un imbonitore
né un profeta, dovrebbe essere un maestro. Io penso ad esempio
ad uno che dica:
"Questo io ti ho detto, o Kalama, ma tu puoi accettarlo, non
perché è un racconto, non perché è una
tradizione, non perché così è stato detto nel
passato, non perché così è detto nelle nostre
scritture, non per motivo di discussione, non a causa di un metodo
particolare, non perché sia preso in grande considerazione, non
perché appare essere conveniente, non perché il tuo
maestro è un asceta, ma se voi stessi vi rendete conto
che è meritorio e non riprovevole e quando è accolto
porterà vantaggio e felicità, allora sì voi potete
accettarlo". (Anguttara-Nikaya, III, 65,14).
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L'informazione
Perché i cittadini possano esercitare il loro potere sovrano,
devono essere informati su quanto accade nel loro Stato e nel mondo.
Devono pertanto esistere mezzi di comunicazione (media, che
ricordo essere parola latina e non inglese, quindi si pronuncia
com'è scritta e non "midia") tali da fornire loro l'informazione
necessaria per capire che cosa sta accadendo e quale sia la situazione
della collettività, per poi agire di conseguenza e scegliere in
modo adeguato i loro rappresentanti.
Dato che siamo umani, condizione necessaria per far sì che i
media forniscano un'informazione adeguata è che siano
indipendenti e molteplici. Indipendenti vuol dire che devono reggersi
da sé, che non siano proprietà di potentati economici
né di altro tipo. Sono necessarie leggi severe per impedire sia
la concentrazione dei media in poche mani sia la loro acquisizione da
parte di gruppi finanziari il cui campo di attività sia di altro
genere. Data l'evidente difficoltà di impedire la seconda
condizione, è ancor più essenziale la prima: i trust
devono essere sistematicamente smantellati. E' inutile dire che
l'Italia si trova in una condizione diametralmente opposta: c'è
un monopolio privato dei media, che non casualmente appartiene
all'attuale capo del governo. Ed è un monopolio molto saldo,
perché si basa sulla gestione della pubblicità, che
fornisce i mezzi di sussistenza a tutti i media, compresi quelli che
ancora non fanno parte del gruppo controllato da Berlusconi.
Ma la situazione non cambia se allarghiamo la visuale, perché la
tendenza al
monopolio si estende al mondo intero. Pensiamo all'impero televisivo di
Rupert Murdoch, presente oggi in Italia con Sky TV e legato fortemente
allo stesso Berlusconi. Che gli ha consegnato addirittura la diffusione
via satellite dei canali RAI a pagamento.
Qual è la parte dei media di stato? Con un ordinamento opportuno
possono dare un grande contributo ad una corretta informazione. E'
necessario però che siano sottratti all'influenza del governo in
carica. Un sistema severo di assunzioni e carriere per concorso
pubblico, sottoposto a vigilanza esterna, è comunque preferibile
alle nomine lottizzate in voga in Italia. Certo è molto
difficile instaurare un sistema di questo tipo dove i concorsi truccati
sono un'istituzione tradizionale. Ma specialmente in campo televisivo
non si può fare a meno di un'emittente pubblica che tale sia e
non si adegui al sistema dei media commerciali.
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La scuola e la formazione
Non si diventa cittadini guardando il telegiornale, anche se fosse il
miglior telegiornale del mondo. Perché, tra l'altro, il plebeo
cambia canale e guarda le ballerine o il "talk-show". Vedete come
l'abuso dell'inglese è funzionale all'imbroglio: "talk-show" per
chi sa l'inglese suona "spettacolo-chiacchierata", fate un po' voi.
Il cittadino si deve formare fin dall'infanzia. La scuola, in quanto
istituzione collettiva, è il luogo in cui nasce il cittadino. La
famiglia non può sempre sopperire, appunto perché essere
cittadino vuol dire far parte di una comunità allargata e
variegata, conoscere e comprendere ciò che non rientra nella
nostra esperienza immediata e intima. Da una buona famiglia può
uscire una brava persona, ma il cittadino si forma
nell'arena pubblica.
Quindi la scuola dev'essere luogo di formazione culturale e
pluralistica. La scuola confessionale non consente di conoscere, sia
formalmente tramite lo studio sia praticamente come esperienza umana
diretta,
ciò che non fa parte di una data tradizione culturale, quindi
impedisce la corretta formazione del cittadino. In Scozia ed in Irlanda
esiste una relazione estremamente difficile tra cattolici e
protestanti, gran parte della
quale è dovuta al fatto che ciascuno frequenta le scuole della
propria confessione. Quindi le amicizie tra compagni di scuola, che per
tutti sono le più importanti o almeno fra le più
importanti di tutta la vita, si formano solo tra correligionari.
Diventa molto facile, allora, suscitare l'avversione nei confronti di
chi appartiene all'altra confessione. Non ha nulla a che
fare con la religione in sé, molto con la creazione di
collettività chiuse e segregate l'una rispetto all'altra.
La scuola pubblica è dunque il luogo di forrmazione del futuro
cittadino. La scuola confessionale può essere tollerata per amor
di pace, ma non deve essere incoraggiata e sostenuta dallo Stato. Anche
qui, sono un dissidente. Stiamo correndo un pericolo gravissimo, ora
che l'Italia sta diventando un paese multiconfessionale: che ogni
comunità si chiuda in se stessa e nell'ostilità verso le
altre.
Aggiungerei ancora che compito primario della scuola è formare
cittadini, non avviare al lavoro. La formazione professionale
specifica deve essere riservata da un lato a istituti specialistici
appositi, da
frequentare dopo il ciclo base di studi, dall'altro agli stessi
ambienti di lavoro, alle imprese. Anche le scuole superiori di
indirizzo tecnico devono dare una formazione culturale di base, da
considerarsi preminente rispetto alla stessa formazione tecnica. La
tecnica si può sempre imparare, il cittadino invece non si
inventa facilmente. Per essere un buon avvocato o un buon idraulico si
deve prima essere un buon cittadino. Forse si scoprirà poi che
una persona completa e autentica può cambiare mestiere
più volte nella vita. O svolgere un mestiere considerato umile e
non corrispondente ai propri studi senza sentirsi sminuita.
E' anche il caso di ricordare, parlando di formazione del cittadino, la
necessità complementare di svolgere
attività pratiche di pubblica utilità, per chi sta
entrando nella maturità. Sarebbe molto opportuno che i ragazzi e
le ragazze quasi o appena maggiorenni svolgessero un servizio civile, o
meglio civico, per essere introdotti al mondo dei problemi concreti e
della responsabilità. Se al diciottenne diamo il diritto di
voto, dobbiamo anche dargli la possibilità di entrare in
contatto personale diretto col mondo dei problemi concreti e delle
responsabilità. Magari lontano dalla propria famiglia... Il
vecchio sistema del servizio militare al capo opposto d'Italia aveva
parecchio senso, a parte l'aspetto militare; io qui mi riferisco
piuttosto ad un servizio civile, tra l'altro necessariamente esteso ad
entrambi i sessi. Il servizio militare dovrebbe restare come una delle
possibilità tra cui scegliere.
Certo di suscitare scandalo, proporrei di subordinare l'acquisizione
del diritto di voto all'ottenimento di un diploma ed all'aver svolto
almeno un anno di servizio civile o militare. Certo, i soliti
privilegiati
avrebbero il diploma senza studiare e farebbero il servizio civile
portando a pisciare il cane di un assessore amico di papà, ma
resterebbero comunque
minoranza, mentre i cittadini con diritto di voto sarebbero in
maggioranza persone più mature e consapevoli.
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La giustizia
La democrazia richiede che ci siano leggi uguali per tutti,
inclusi i rappresentanti del popolo, e che il rispetto delle leggi sia
assicurato da magistrati indipendenti. Il mandato dei governanti
è sempre provvisorio e non li esime dal rispetto delle leggi,
senza le quali non può esservi democrazia, perché manca
il rispetto dell'individuo cittadino. Il fatto di aver ottenuto la
maggioranza dei voti non sottrae nessuno alla giurisdizione ordinaria.
Chi ha
la maggioranza può senz'altro operare, in parlamento, per
modificare le leggi, ma deve sempre farlo nel rispetto di quelle
vigenti. Se poi un eletto dal popolo è accusato di veri e propri
reati, deve essere trattato come qualsiasi altro cittadino, a parte le
salvaguardie procedurali effettivamente necessarie per non mettere
a repentaglio il funzionamento degli istituti rappresentativi.
La magistratura elettiva non può essere una buona idea. Il
magistrato deve applicare la legge, non farla. Quindi non deve essere
di parte, e l'unico metodo di nomina che consente di non essere di
parte è il concorso pubblico per titoli ed esami. I
rappresentanti eletti devono essere presenti soltanto nelle istituzioni
di controllo della magistratura, non nella magistratura stessa.
L'attuale Costituzione italiana, finché non la cambieranno,
è ottima da questo punto di vista. Dispone di un intreccio di
controlli e bilanciamenti più che adeguato. Ciò che manca
sono i mezzi materiali per far funzionare la macchina operativa della
giustizia, in termini di denaro e di uomini. Come risultato degli
sperperi passati, lo Stato oggi ha pochi mezzi e mal ripartiti
tra le varie funzioni. E' chiaro che le istituzioni fondamentali devono
avere la priorità su tutto: se esse funzionano, anche l'economia
prospera. Pensiamo al Meridione d'Italia: finché non si
svolgerà una lotta efficace contro la corruzione e la
criminalità organizzata lo sviluppo sarà sempre
impossibile. Riversare denaro in opere pubbliche e finanziamenti alle
imprese, in un contesto in cui la criminalità è padrona,
significa finanziare i delinquenti, non lo sviluppo.
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La privatizzazione come minaccia per la
democrazia
Uno stato democratico è res publica, cosa di tutti. Una
forma
negazione della democrazia sta nella privatizzazione della cosa
pubblica. Lo stato non è un possedimento né un'azienda.
Una differenza tra le epoche di civiltà sviluppata e quelle
arretrate sta appunto nella condizione dello stato rispetto alla
proprietà. Quando la cosa pubblica è veramente
considerata pubblica e non privata, le istituzioni sono rispettate e
vige il governo della legge. Quando i privati si appropriano delle
funzioni dello Stato, le istituzioni sono disprezzate e vige il governo
degli uomini. La decadenza dell'antica Roma ebbe inizio quando la res
publica cominciò ad essere trattata come proprietà
personale dei governanti. Pensiamo al primo triunvirato: tre privati
cittadini si accordarono per occupare le cariche pubbliche per i fini
personali di ciascuno. La vicenda si concluse con l'istituzione
dell'impero, che era basato su un vero e proprio colpo di stato
permanente: le istituzioni repubblicane continuavano ad esistere, salvo
che un uomo aveva prerogative personali tali da svuotarle completamente
e detenere il potere supremo. Tuttavia l'Impero, per il fatto comunque
non trascurabile di
conservare la formalità delle istituzioni,
riuscì a sopravvivere e prosperare in una condizione di parziale
governo della legge, almeno fino a quando il potere non fu usurpato
definitivamente dalle forze armate, ormai non più composte di
cittadini in armi ma di mercenari (oggi si direbbe professionisti).
Che cosa ci si dice oggi? Che il privato è meglio del pubblico,
che per governare ci vuole un imprenditore, che l'esercito deve essere
professionale... la ricetta dell'Impero. La fine del governo
della
legge in favore del governo degli uomini. Se c'è corruzione e
inefficienza nello Stato, si deve combattere la corruzione e
l'inefficienza, non distruggere lo Stato! Non a caso coloro che si
propongono per
governare da bravi imprenditori sono i medesimi che, in quella veste,
hanno goduto dei
favori dei politici corrotti in passato.
Prestiamo attenzione ad un fatto fondamentale: l'azienda è
un'istituzione fondamentalmente antidemocratica. E' gerarchica,
autoritaria, basata sul potere di alcune persone e non sulle regole.
Queste ultime o sono imposte dall'esterno (dallo Stato) o sono fatte da
chi le applica, quindi vuote di significato reale. Laddove manchi un
sindacato adeguato, il rapporto azienda - dipendente è troppo
asimmetrico per essere libero. Non è vero, infatti, che il
dipendente abbia la facoltà di scegliere l'azienda per cui
lavorare, perché la possibilità
di trovare un altro lavoro è spesso puramente teorica. Quasi
nessuno può permettersi spostamenti di residenza con
facilità, quindi l'ambito in cui cercare un'alternativa risulta
drammaticamente ristretto. Soltanto chi dispone di un patrimonio
personale significativo e ricopre incarichi elevati può avere
una certa serenità nel rapporto col datore di lavoro. La
maggioranza dei dipendenti non può, se non si organizza per
trattare collettivamente. Sono fatti banali, elementari, che tuttavia
vengono dimenticati nel dibattito contemporaneo.
La proprietà privata è un diritto fondamentale
quando si
riferisce ai beni dell'individuo, ma non lo è più quando
si tratta di conglomerati di beni materiali completamente esorbitanti
dalla sfera della persona. Quale altro scopo ha, infatti, l'accumulo di
beni e denaro in quantità enorme, se non la conquista di un
crescente potere sulla collettività? Gli stramiliardari
sono per
necessità di cose una minaccia per la democrazia,
perché
le immense somme di denaro di cui dispongono consentono loro di
sottrarsi allo Stato ed alle sue leggi non solo con la corruzione, ma
anche con mezzi formalmente legittimi. Un caso banale
ma molto comune è quello dell'azienda talmente grande che una
sua crisi rischi
di mettere sul lastrico un gran numero di persone: essa viene a
disporre di un potere di ricatto nei confronti dello Stato, tramite la
pura e semplice minaccia di ridimensionarsi se non di chiudere i
battenti. In tal modo ottiene provvedimenti ad hoc e favoritismi vari,
senza uscire da ciò che è legalmente ammissibile.
Oggi ci sono società transnazionali tanto grandi da avere un
fatturato pari al
PIL di Stati di medie dimensioni. E sono per loro natura organizzazioni
autoritarie, a tutti gli effetti equivalenti ad altrettanti Stati
dittatoriali. E' utopistico pensare che il mondo si possa
evolvere in senso democratico in presenza di simili forze.
La privatizzazione dei servizi pubblici finisce per farli cadere nelle
mani di società di quel tipo, che dispongono dei capitali
necessari per acquistare le società di Stato poste sul mercato.
Ed un servizio pubblico non può essere fornito in condizioni di
reale concorrenza. Affidare la sanità o le ferrovie al
cosiddetto libero mercato è assolutamente disastroso. Pensiamo
come sia necessario assicurare a tutti i cittadini l'assistenza
sanitaria ed il trasporto pubblico: soltanto l'azione
dell'autorità pubblica può attuare le necessarie
compensazioni. Un privato, ad esempio, chiuderà gli ospedali
così come le linee ferroviarie nelle zone in cui ritiene di
non poter trarre profitto. Per mantenere il servizio, lo Stato
dovrà
sovvenzionare quel privato affinché tenga aperti ospedali o
linee e stazioni ferroviarie, col risultato di devolvere denaro
pubblico
a fini di lucro privato. Si potrebbero portare molti altri esempi di
questo tipo.
E' facile capire quali servizi debbano essere almeno in parte
significativa pubblici: quelli che corrispondono ai diritti
fondamentali che abbiamo elencato più sopra, definendo la
democrazia. Come si evita che divengano inefficienti per corruzione e
parassitismo? A questo devono pensare i cittadini stessi,
denunciando inesorabilmente ogni abuso. Il motivo per cui le denunce
mancano è prima di tutto la mancanza di senso civico. Ciascuno
pensa di poter ottenere privilegi speciali per sé e tralascia di
difendere i diritti di tutti.
E' evidente in questo la carenza delle attuali forme di organizzazione
politica. Occorre fondare movimenti nuovi, che rappresentino gli
interessi collettivi dei cittadini. Oggi si assiste a qualche
evoluzione in questo senso: associazioni legate a temi specifici si
formano più facilmente che in passato. Si deve però
ancora formare, tra movimenti e associazioni in qualsiasi modo
impegnate nella vita pubblica, un qualche nuovo tipo di alleanza capace
di proporsi come alternativa alle forze politiche tradizionali.
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Ripartire dalle radici
E' evidente che la matrice ideologica della nuova destra è in
totale contraddizione con la democrazia. Per quanto se ne dichiarino i
paladini e si facciano chiamare liberaldemocratici, non lo sono per
nulla. Quello che occorre, caduto il comunismo reale, è tornare
al liberalismo classico come fondamento della vita civile. Alcuni punti
tra quelli che ho posto sono tipicamente liberali: libertà di
informazione, scuola pubblica e non confessionale, indipendenza della
magistratura. Torniamo dunque ai padri della democrazia moderna, da
Montesquieu a Thomas Jefferson. Non casualmente, parliamo di
illuministi del
Settecento. E possiamo includervi anche Adam Smith, che tutti citano
senza averlo letto e che a mio parere inorridirebbe, o forse si
metterebbe a ridere, se gli fosse presentato il sistema economico
presunto liberista oggi imperante nel mondo.
Prima di tutto occorre che sia troncato il patente conflitto di
interessi oggi presente in Italia. Berlusconi non può restare
come capo del governo. Poi occorre ricostruire la politica sulla base
di autentici principi democratici. La chiave di tutto sta nell'informazione
e nella cultura. Parallelamente dobbiamo impegnarci
perché la scuola resti pubblica e aperta, indirizzata alla
formazione e non all'addestramento al lavoro. Quindi rifiutare la
riforma Moratti della scuola elementare, media e superiore, così
come quella della ricerca scientifica e dell'università in
generale, che ne stanno distruggendo il valore culturale. Si devono
creare
movimenti per la rifondazione della cultura, e quindi della scuola e
dell'università, su basi, lo dico senza timore, liberali,
illuministiche, classiche. E si badi che la cultura è una
sola: non esiste una cultura scientifica contrapposta ad
una cultura umanistica. La ricerca scientifica è prima
di tutto cultura, non ricerca di mirabolanti soluzioni tecnologiche. Lo
scopo della scienza è il sapere prima dell'applicazione
tecnica, come lo scopo della scuola è formare cittadini
e non lavoratori/consumatori.
Abbiamo oggi, finché non ce li lasceremo togliere, mezzi nuovi
per organizzare associazioni e movimenti. Passiamo sopra le divisioni
ideologiche e vediamo di incontrarci, tra tutti coloro che credono
nella ragione, nella cultura, nella ricerca, nella democrazia come
collettività di persone libere ed uguali. Su questo sito
web
trovate legami ad associazioni umanitarie, perché c'è uno
stato di emergenza nel modo a causa dei conflitti, e ad associazioni
che si impegnano, in vari modi, sui temi che ho enunciato, come CORE, Megachip
e Tecnologie di frontiera. Chiunque
voglia fare proposte scriva tramite il formato della pagina di contatto o direttamente
all'indirizzo e-mail che si trova in fondo alla stessa pagina.
Alberto Cavallo, 25 aprile 2004
P.S. questo articolo esce appunto il 25 aprile. Questa data di uscita
non era nel piano originale, ma mi sembra davvero il giorno giusto.
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