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Il dissidente

La democrazia e l'individuo



Pagina pubblicata il 25 aprile 2004

Indice

Alla pagina generale sulla politica italiana
Alla pagina generale sulla politica internazionale


Essere un dissidente

Il termine dissidente è stato utilizzato per anni nel linguaggio politico per indicare quelle persone che, nella vecchia Unione Sovietica, si opponevano al regime ed erano sottoposte a persecuzioni più o meno gravi, per aver manifestato le loro idee di opposizione. Già da tempo mi capita, stranamente, di sentirmi io stesso un dissidente e di considerare questo sito Internet come l'equivalente dei samizdat, i fogli pubblicati segretamente a ciclostile dai dissidenti sovietici per far circolare le loro idee in modo clandestino.

La coscienza di questa situazione è subentrata per me nel 1999, quando mi opposi nettamente alla guerra del Kosovo, sentendomi parte di una minoranza esclusa che forse poteva anche essere maggioranza silenziosa. Tutti i media e tutte le principali organizzazioni politiche ripetevano gli stessi slogan di guerra, mentre io, come al solito pignolo e puntiglioso, indagavo sui fatti e non trovavo la minima giustificazione ad un'iniziativa bellica contro i resti della Jugoslavia. Tutte le informazioni attendibili indicavano che la presunta persecuzione dei serbi contro gli albanesi era limitata alla repressione della ribellione violenta, e che l'UCK era un'organizzazione terroristica e non un'armata di popolo. Si stava preparando una guerra di aggressione, in un concerto di trombe propagandistiche esteso a tutto l'arco dei media, elettronici e cartacei. Mi trovai accomunato a pochi movimenti di estrema sinistra con i quali non avevo mai avuto nulla a che fare, e che fino a quel momento consideravo avversari politici. Qualcosa di grave stava accadendo, se un moderato come me poteva trovarsi d'accordo con Rifondazione Comunista e gli extraparlamentari di sinistra.

Avevo appena creato questo sito, per trattare tutt'altri argomenti: principalmente di scienza e di filosofia. Ne cambiai i contenuti, oltre che, per qualche tempo, l'aspetto della pagina indice, e cominciai ad interessarmi in modo più approfondito di politica internazionale, raccogliendo informazioni e pubblicando sul sito i miei commenti a quanto accadeva.

A quell'epoca il governo era di centro sinistra, con Massimo d'Alema come presidente del consiglio. Non c'era quindi alcuna possibilità di opposizione alla guerra nell'ambito dei partiti di governo attuali o potenziali. L'intero sistema politico, salvo poche voci minoritarie, sosteneva una posizione inaccettabile per uno che fino a quel momento si considerava un laico appena un po' a sinistra del centro. La democrazia si stava dunque sfaldando in modo evidente.

In questi cinque anni ho consolidato l'idea di essere un dissidente. La vecchia repubblica democristiana era un esempio di democrazia al confronto con l'attuale, cosiddetta, seconda repubblica. Ma non si tratta di una condizione soltanto italiana: soprattutto le due potenze anglosassoni, USA e UK, stanno degenerando in regimi con caratteri neofascisti. Ogni nazione segue un percorso proprio, ma l'atmosfera generale è riconoscibile. Restando all'Italia, possiamo affermare senza timore di smentita che la maggioranza del cosiddetto popolo sovrano non ha alcuna rappresentanza politica. L'attuale governo è l'espressione di un movimento privato costituito dal sig. Berlusconi per difendere i propri interessi personali, facendo leva su metodi demagogici di bassa lega ma di grande efficacia, soprattutto per chi dispone di un monopolio televisivo incredibilmente regalatogli dai politici di professione, che egli stesso spregia nelle parole e nei fatti. Del resto d'Alema è un burocrate, giunto ai vertici di un partito disorientato tramite la padronanza della struttura organizzativa, in parziale contrasto con la volontà della base stessa del partito soprattutto con le preferenze dei suoi elettori. Un personaggio peraltro tanto abile nell'approfittare delle debolezze interne del suo partito quanto incapace di trattare con avversari come Berlusconi, che infatti è riuscito a conquistare il governo in modo relativamente facile di fronte ad oppositori così scadenti. Naturalmente, nella peggior tradizione italiana, i leader perdenti non si sono fatti da parte ma ancora tirano le fila dell'opposizione, creando disorientamento tra gli elettori, col rischio che il Cavaliere possa salvarsi ancora una volta e riaffermare il suo potere per molti altri anni.

Noi dissidenti siamo molto simili a coloro che si opponevano al vecchio regime sovietico: crediamo nella democrazia liberale, nella sostanza dei fatti, nella giustizia, nella cultura. Alcuni sono perfino ex comunisti, o magari autentici comunisti, dato che il "comunismo" di stampo sovietico usurpava il nome. Altri fanno parte del vasto mondo del volontariato cattolico, la cui tradizione di impegno nel sociale non trova oggi adeguata espressione politica. Altri ancora, come me, sono sempre stati pensatori indipendenti, slegati da qualsiasi chiesa, religiosa o laica che fosse. Per qualche strano miracolo, siamo tutti ancora cittadini democratici in un ambiente che rifiuta e distrugge la democrazia.

Non so se potremo cambiare il corso delle cose e raddrizzare la rotta di questa nazione, visto che il mondo intero sembra andare nella direzione sbagliata. Tuttavia è nostro dovere tentare il possibile e non smettere mai. La sconfitta è soltanto una circostanza nel mondo dei fenomeni. L'etica della ragione ci indica chiaramente la via da seguire, che è quella della verità e della giustizia. Questo mondo è imperfetto e forse non avremo né l'una né l'altra, ma questa è una possibilità da accettarsi serenamente: pensiamo a quanti nelle epoche passate hanno trascorso l'intera esistenza cercando di realizzarle, senza alcun successo. Eppure i semi da loro piantati hanno comunque fruttificato. Se anche il nostro ruolo fosse solo quello di tedofori, che tengono viva la fiamma per passarla ai successori, è pur sempre un ruolo importante. Non siamo comunque così pochi e così soli come a volte ci sembra di essere. Bando alle malinconie e tiriamo avanti.

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Il sovrano e il dissidente

Recentemente il filosofo della politica e direttore di Micromega, Paolo Flores d'Arcais, ha pubblicato un libro breve ma denso di contenuti, che si intitola Il sovrano e il dissidente - la democrazia presa sul serio (Garzanti). Ho assistito alla presentazione del libro da parte dell'autore stesso e poi naturalmente l'ho letto, con grande interesse. Flores d'Arcais presenta una completa rivisitazione del concetto di democrazia, rivisto alla luce degli eventi italiani e mondiali dell'ultimo decennio, ma sviluppato nel senso più generale, sulla base della tradizione antica e di quella illuministica.

Secondo Flores la democrazia , lungi dall'essere il governo della maggioranza, è quel regime che non solo tollera, ma anzi configura come proprio elemento fondatore, appunto, il dissidente. Questo paradosso linguistico, in verità solo apparente, emerge naturalmente dalle carenze dei regimi che oggi, nel cosiddetto mondo occidentale, si chiamano democratici. Sarebbe più naturale e storicamente più corretto dire che la democrazia si fonda sull'individuo, inteso come persona libera, autonoma e responsabile. Ma quando la democrazia rischia di degenerare nel populismo, l'individuo così concepito assume inevitabilmente le vesti dell'oppositore, del dissidente. Colui che si oppone, insomma, al demagogo del momento.

Aggiungo qualcos'altro. La serata della presentazione del libro, ebbi la sensazione che tutte le persone presenti, sul palco degli oratori come fra il pubblico, si potessero davvero concepire come una comunità di dissidenti. In effetti non c'erano politici di professione, soltanto alcuni intellettuali prestati alla politica, tra cui i due filosofi chiamati a parlare: lo stesso Flores e Gianni Vattimo. Benché le istituzioni non siano ancora sostanzialmente cambiate, il grado di democrazia dello Stato italiano è già disceso parecchio, tanto che le persone che hanno una posizione non già di sinistra socialista, come si vuol far credere, ma semplicemente liberale e democratica, sono a tutti gli effetti dissidenti. Anche rispetto all'opposizione parlamentare, che in buona misura condivide, sia pure in forma attenuata, i difetti dell'area governativa.

Le centinaia di migliaia di manifestanti scesi in piazza per la pace non hanno alcuna rappresentanza, neppure in quei partiti che cercano di cavalcarle fingendosene l'espressione. Flores spiega con molta chiarezza i meccanismi che hanno portato a questa situazione di gravissima carenza di rappresentatività del parlamento. Il libro è breve e si legge in fretta, lo consiglio a tutti, con l'invito a perdonarne il linguaggio eccessivamente ricercato. Per fare un esempio, volendo usare l'espressione per eccellenza l'autore, alla ricerca del miglior effetto,  non si accontenta neppure del francese par excellence, ma si sente in dovere di usare il greco  kat'exochén. A questo punto mi sento in dovere di esternargli la mia severa reprimenda per aver traslitterato il greco in alfabeto latino anziché riportarlo nell'alfabeto suo proprio, che a chi conosce la lingua è più chiaro: personalmente, se vedo una parola greca traslitterata sono colto da un momentaneo stupore, a cui segue il lampo d'intuizione: "Ah, ma è greco!". Insomma non lo approvo ma lo capisco: Flores è l'intellettualekatexochen in alfabeto greco. Abbiate pazienza e leggetelo comunque.

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La democrazia ed i diritti del cittadino

La definizione di democrazia che i media sostengono, a vantaggio di coloro che la stanno distruggendo, è quella per cui c'è democrazia laddove ci sono elezioni "libere". La libertà delle elezioni viene giudicata con parametri variabili, per evitare rischi di inclusioni od esclusioni indebite. In genere è sufficiente che ci siano almeno due candidati nominalmente in opposizione tra loro e che uno di essi non sia assassinato preventivamente.

Le elezioni e le votazioni a maggioranza non sono però l'essenza della democrazia, ma soltanto un mezzo per giungere alle decisioni. La democrazia è il potere del popolo inteso non come massa ma come somma di individui. Ogni individuo ha un proprio giudizio e quindi è un (potenziale) dissidente. Il semplice potere della maggioranza non è democratico se non rispetta ogni singolo individuo, perché il potere è di ciascuno, nessuno escluso.

Ogni cittadino deve essere posto nelle condizioni di esercitare il suo diritto sovrano, quindi la democrazia deve far sì che:
Queste sono condizioni necessarie affinché la democrazia possa esistere come condivisione del potere tra eguali. Altrimenti si ha soltanto demagogia. In Etica e politica avevo presentato sostanzialmente gli stessi punti, salvo quelli dedicati a istruzione ed informazione, che consideravo impliciti nella libertà di espressione.

La migliore definizione di democrazia che emerge dal libro di Flores d'Arcais si trova a pagina 93: la democrazia è aristocrazia di massa. Insomma un'aristocrazia in cui tutti sono aristocratici, nessuno è plebeo. Si potrebbe dire, per contrasto, che il populismo è la tirannide a suffragio universale, in cui tutti sono plebei e votano concordi il tiranno. Non ci può essere democrazia se i cittadini non sono civilmente consapevoli del proprio ruolo, indipendenti nel giudizio, anticonformisti. Tutti dissidenti, quindi. Al centro della democrazia non c'è la massa ma il singolo.

Il cittadino democratico è infatti necessariamente un aristocratico e non un plebeo. E' uno che ha consapevolezza civile ed indipendenza di giudizio, che non si affida al leader carismatico né cede alle mode. Da sempre l'aspirante tiranno trova appoggio invece in chi pensa soltanto al proprio utile immediato, non ha cultura ma si affida alla moda e si confonde con la massa, sente un irrefrenabile bisogno di affidarsi ad un capo che gli infonda sicurezza e senso di appartenenza. Il conformista.

Stiamo parlando di qualcosa di irrealizzabile? No certamente. Gli esseri umani sono migliori di quanto credano i pubblicitari. Ma per costruire la democrazia occorre costruire i cittadini. Un'attività pericolosissima, perché se riesce conferisce veramente il potere al popolo e mina alle radici qualunque oligarchia o tirannide. Il leader che osasse formare i suoi seguaci come cittadini potrebbe conservare il suo ruolo soltanto ottenendo il loro libero, informato e critico consenso. Non potrebbe essere un imbonitore né un profeta, dovrebbe essere un maestro. Io penso ad esempio ad uno che dica:
"Questo io ti ho detto, o Kalama, ma tu puoi accettarlo, non perché è un racconto, non perché è una tradizione, non perché così è stato detto nel passato, non perché così è detto nelle nostre scritture, non per motivo di discussione, non a causa di un metodo particolare, non perché sia preso in grande considerazione, non perché appare essere conveniente, non perché il tuo maestro è un asceta, ma se voi stessi vi rendete conto che è meritorio e non riprovevole e quando è accolto porterà vantaggio e felicità, allora sì voi potete accettarlo". (Anguttara-Nikaya, III, 65,14).


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L'informazione

Perché i cittadini possano esercitare il loro potere sovrano, devono essere informati su quanto accade nel loro Stato e nel mondo. Devono pertanto esistere mezzi di comunicazione (media, che ricordo essere parola latina e non inglese, quindi si pronuncia com'è scritta e non "midia") tali da fornire loro l'informazione necessaria per capire che cosa sta accadendo e quale sia la situazione della collettività, per poi agire di conseguenza e scegliere in modo adeguato i loro rappresentanti.

Dato che siamo umani, condizione necessaria per far sì che i media forniscano un'informazione adeguata è che siano indipendenti e molteplici. Indipendenti vuol dire che devono reggersi da sé, che non siano proprietà di potentati economici né di altro tipo. Sono necessarie leggi severe per impedire sia la concentrazione dei media in poche mani sia la loro acquisizione da parte di gruppi finanziari il cui campo di attività sia di altro genere. Data l'evidente difficoltà di impedire la seconda condizione, è ancor più essenziale la prima: i trust devono essere sistematicamente smantellati. E' inutile dire che l'Italia si trova in una condizione diametralmente opposta: c'è un monopolio privato dei media, che non casualmente appartiene all'attuale capo del governo. Ed è un monopolio molto saldo, perché si basa sulla gestione della pubblicità, che fornisce i mezzi di sussistenza a tutti i media, compresi quelli che ancora non fanno parte del gruppo controllato da Berlusconi.

Ma la situazione non cambia se allarghiamo la visuale, perché la tendenza al monopolio si estende al mondo intero. Pensiamo all'impero televisivo di Rupert Murdoch, presente oggi in Italia con Sky TV e legato fortemente allo stesso Berlusconi. Che gli ha consegnato addirittura la diffusione via satellite dei canali RAI a pagamento.

Qual è la parte dei media di stato? Con un ordinamento opportuno possono dare un grande contributo ad una corretta informazione. E' necessario però che siano sottratti all'influenza del governo in carica. Un sistema severo di assunzioni e carriere per concorso pubblico, sottoposto a vigilanza esterna, è comunque preferibile alle nomine lottizzate in voga in Italia. Certo è molto difficile instaurare un sistema di questo tipo dove i concorsi truccati sono un'istituzione tradizionale. Ma specialmente in campo televisivo non si può fare a meno di un'emittente pubblica che tale sia e non si adegui al sistema dei media commerciali.

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La scuola e la formazione

Non si diventa cittadini guardando il telegiornale, anche se fosse il miglior telegiornale del mondo. Perché, tra l'altro, il plebeo cambia canale e guarda le ballerine o il "talk-show". Vedete come l'abuso dell'inglese è funzionale all'imbroglio: "talk-show" per chi sa l'inglese suona "spettacolo-chiacchierata", fate un po' voi.

Il cittadino si deve formare fin dall'infanzia. La scuola, in quanto istituzione collettiva, è il luogo in cui nasce il cittadino. La famiglia non può sempre sopperire, appunto perché essere cittadino vuol dire far parte di una comunità allargata e variegata, conoscere e comprendere ciò che non rientra nella nostra esperienza immediata e intima. Da una buona famiglia può uscire una brava persona, ma il cittadino si forma nell'arena pubblica.

Quindi la scuola dev'essere luogo di formazione culturale e pluralistica. La scuola confessionale non consente di conoscere, sia formalmente tramite lo studio sia praticamente come esperienza umana diretta, ciò che non fa parte di una data tradizione culturale, quindi impedisce la corretta formazione del cittadino. In Scozia ed in Irlanda esiste una relazione estremamente difficile tra cattolici e protestanti, gran parte della quale è dovuta al fatto che ciascuno frequenta le scuole della propria confessione. Quindi le amicizie tra compagni di scuola, che per tutti sono le più importanti o almeno fra le più importanti di tutta la vita, si formano solo tra correligionari. Diventa molto facile, allora, suscitare l'avversione nei confronti di chi appartiene all'altra confessione. Non ha nulla a che fare con la religione in sé, molto con la creazione di collettività chiuse e segregate l'una rispetto all'altra.

La scuola pubblica è dunque il luogo di forrmazione del futuro cittadino. La scuola confessionale può essere tollerata per amor di pace, ma non deve essere incoraggiata e sostenuta dallo Stato. Anche qui, sono un dissidente. Stiamo correndo un pericolo gravissimo, ora che l'Italia sta diventando un paese multiconfessionale: che ogni comunità si chiuda in se stessa e nell'ostilità verso le altre.

Aggiungerei ancora che compito primario della scuola è formare cittadini, non avviare al lavoro. La formazione professionale specifica deve essere riservata da un lato a istituti specialistici appositi, da frequentare dopo il ciclo base di studi, dall'altro agli stessi ambienti di lavoro, alle imprese. Anche le scuole superiori di indirizzo tecnico devono dare una formazione culturale di base, da considerarsi preminente rispetto alla stessa formazione tecnica. La tecnica si può sempre imparare, il cittadino invece non si inventa facilmente. Per essere un buon avvocato o un buon idraulico si deve prima essere un buon cittadino. Forse si scoprirà poi che una persona completa e autentica può cambiare mestiere più volte nella vita. O svolgere un mestiere considerato umile e non corrispondente ai propri studi senza sentirsi sminuita.

E' anche il caso di ricordare, parlando di formazione del cittadino, la necessità complementare di svolgere attività pratiche di pubblica utilità, per chi sta entrando nella maturità. Sarebbe molto opportuno che i ragazzi e le ragazze quasi o appena maggiorenni svolgessero un servizio civile, o meglio civico, per essere introdotti al mondo dei problemi concreti e della responsabilità. Se al diciottenne diamo il diritto di voto, dobbiamo anche dargli la possibilità di entrare in contatto personale diretto col mondo dei problemi concreti e delle responsabilità. Magari lontano dalla propria famiglia... Il vecchio sistema del servizio militare al capo opposto d'Italia aveva parecchio senso, a parte l'aspetto militare; io qui mi riferisco piuttosto ad un servizio civile, tra l'altro necessariamente esteso ad entrambi i sessi. Il servizio militare dovrebbe restare come una delle possibilità tra cui scegliere.

Certo di suscitare scandalo, proporrei di subordinare l'acquisizione del diritto di voto all'ottenimento di un diploma ed all'aver svolto almeno un anno di servizio civile o militare. Certo, i soliti privilegiati avrebbero il diploma senza studiare e farebbero il servizio civile portando a pisciare il cane di un assessore amico di papà, ma resterebbero comunque minoranza, mentre i cittadini con diritto di voto sarebbero in maggioranza persone più mature e consapevoli.

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La giustizia

La democrazia richiede che ci siano leggi uguali per tutti, inclusi i rappresentanti del popolo, e che il rispetto delle leggi sia assicurato da magistrati indipendenti. Il mandato dei governanti è sempre provvisorio e non li esime dal rispetto delle leggi, senza le quali non può esservi democrazia, perché manca il rispetto dell'individuo cittadino. Il fatto di aver ottenuto la maggioranza dei voti non sottrae nessuno alla giurisdizione ordinaria. Chi ha la maggioranza può senz'altro operare, in parlamento, per modificare le leggi, ma deve sempre farlo nel rispetto di quelle vigenti. Se poi un eletto dal popolo è accusato di veri e propri reati, deve essere trattato come qualsiasi altro cittadino, a parte le salvaguardie procedurali effettivamente necessarie per non mettere a repentaglio il funzionamento degli istituti rappresentativi.

La magistratura elettiva non può essere una buona idea. Il magistrato deve applicare la legge, non farla. Quindi non deve essere di parte, e l'unico metodo di nomina che consente di non essere di parte è il concorso pubblico per titoli ed esami. I rappresentanti eletti devono essere presenti soltanto nelle istituzioni di controllo della magistratura, non nella magistratura stessa. L'attuale Costituzione italiana, finché non la cambieranno, è ottima da questo punto di vista. Dispone di un intreccio di controlli e bilanciamenti più che adeguato. Ciò che manca sono i mezzi materiali per far funzionare la macchina operativa della giustizia, in termini di denaro e di uomini. Come risultato degli sperperi passati, lo Stato oggi ha pochi mezzi e mal ripartiti tra le varie funzioni. E' chiaro che le istituzioni fondamentali devono avere la priorità su tutto: se esse funzionano, anche l'economia prospera. Pensiamo al Meridione d'Italia: finché non si svolgerà una lotta efficace contro la corruzione e la criminalità organizzata lo sviluppo sarà sempre impossibile. Riversare denaro in opere pubbliche e finanziamenti alle imprese, in un contesto in cui la criminalità è padrona, significa finanziare i delinquenti, non lo sviluppo.

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La privatizzazione come minaccia per la democrazia

Uno stato democratico è res publica, cosa di tutti. Una forma negazione della democrazia sta nella privatizzazione della cosa pubblica. Lo stato non è un possedimento né un'azienda.

Una differenza tra le epoche di civiltà sviluppata e quelle arretrate sta appunto nella condizione dello stato rispetto alla proprietà. Quando la cosa pubblica è veramente considerata pubblica e non privata, le istituzioni sono rispettate e vige il governo della legge. Quando i privati si appropriano delle funzioni dello Stato, le istituzioni sono disprezzate e vige il governo degli uomini. La decadenza dell'antica Roma ebbe inizio quando la res publica cominciò ad essere trattata come proprietà personale dei governanti. Pensiamo al primo triunvirato: tre privati cittadini si accordarono per occupare le cariche pubbliche per i fini personali di ciascuno. La vicenda si concluse con l'istituzione dell'impero, che era basato su un vero e proprio colpo di stato permanente: le istituzioni repubblicane continuavano ad esistere, salvo che un uomo aveva prerogative personali tali da svuotarle completamente e detenere il potere supremo. Tuttavia l'Impero, per il fatto comunque non trascurabile di conservare la formalità delle istituzioni, riuscì a sopravvivere e prosperare in una condizione di parziale governo della legge, almeno fino a quando il potere non fu usurpato definitivamente dalle forze armate, ormai non più composte di cittadini in armi ma di mercenari (oggi si direbbe professionisti).

Che cosa ci si dice oggi? Che il privato è meglio del pubblico, che per governare ci vuole un imprenditore, che l'esercito deve essere professionale... la ricetta dell'Impero. La fine del governo della legge in favore del governo degli uomini. Se c'è corruzione e inefficienza nello Stato, si deve combattere la corruzione e l'inefficienza, non distruggere lo Stato! Non a caso coloro che si propongono per governare da bravi imprenditori sono i medesimi che, in quella veste, hanno goduto dei favori dei politici corrotti in passato.

Prestiamo attenzione ad un fatto fondamentale: l'azienda è un'istituzione fondamentalmente antidemocratica. E' gerarchica, autoritaria, basata sul potere di alcune persone e non sulle regole. Queste ultime o sono imposte dall'esterno (dallo Stato) o sono fatte da chi le applica, quindi vuote di significato reale. Laddove manchi un sindacato adeguato, il rapporto azienda - dipendente è troppo asimmetrico per essere libero. Non è vero, infatti, che il dipendente abbia la facoltà di scegliere l'azienda per cui lavorare, perché la possibilità di trovare un altro lavoro è spesso puramente teorica. Quasi nessuno può permettersi spostamenti di residenza con facilità, quindi l'ambito in cui cercare un'alternativa risulta drammaticamente ristretto. Soltanto chi dispone di un patrimonio personale significativo e ricopre incarichi elevati può avere una certa serenità nel rapporto col datore di lavoro. La maggioranza dei dipendenti non può, se non si organizza per trattare collettivamente. Sono fatti banali, elementari, che tuttavia vengono dimenticati nel dibattito contemporaneo.

La proprietà privata è un diritto fondamentale quando si riferisce ai beni dell'individuo, ma non lo è più quando si tratta di conglomerati di beni materiali completamente esorbitanti dalla sfera della persona. Quale altro scopo ha, infatti, l'accumulo di beni e denaro in quantità enorme, se non la conquista di un crescente potere sulla collettività? Gli stramiliardari sono per necessità di cose una minaccia per la democrazia, perché le immense somme di denaro di cui dispongono consentono loro di sottrarsi allo Stato ed alle sue leggi non solo con la corruzione, ma anche con mezzi formalmente legittimi. Un caso banale ma molto comune è quello dell'azienda talmente grande che una sua crisi rischi di mettere sul lastrico un gran numero di persone: essa viene a disporre di un potere di ricatto nei confronti dello Stato, tramite la pura e semplice minaccia di ridimensionarsi se non di chiudere i battenti. In tal modo ottiene provvedimenti ad hoc e favoritismi vari, senza uscire da ciò che è legalmente ammissibile.

Oggi ci sono società transnazionali tanto grandi da avere un fatturato pari al PIL di Stati di medie dimensioni. E sono per loro natura organizzazioni autoritarie, a tutti gli effetti equivalenti ad altrettanti Stati dittatoriali. E' utopistico pensare che il mondo si possa evolvere in senso democratico in presenza di simili forze.

La privatizzazione dei servizi pubblici finisce per farli cadere nelle mani di società di quel tipo, che dispongono dei capitali necessari per acquistare le società di Stato poste sul mercato. Ed un servizio pubblico non può essere fornito in condizioni di reale concorrenza. Affidare la sanità o le ferrovie al cosiddetto libero mercato è assolutamente disastroso. Pensiamo come sia necessario assicurare a tutti i cittadini l'assistenza sanitaria ed il trasporto pubblico: soltanto l'azione dell'autorità pubblica può attuare le necessarie compensazioni. Un privato, ad esempio, chiuderà gli ospedali così come le linee ferroviarie nelle zone in cui ritiene di non poter trarre profitto. Per mantenere il servizio, lo Stato dovrà sovvenzionare quel privato affinché tenga aperti ospedali o linee e stazioni ferroviarie, col risultato di devolvere denaro pubblico a fini di lucro privato. Si potrebbero portare molti altri esempi di questo tipo.

E' facile capire quali servizi debbano essere almeno in parte significativa pubblici: quelli che corrispondono ai diritti fondamentali che abbiamo elencato più sopra, definendo la democrazia. Come si evita che divengano inefficienti per corruzione e parassitismo? A questo devono pensare i cittadini stessi, denunciando inesorabilmente ogni abuso. Il motivo per cui le denunce mancano è prima di tutto la mancanza di senso civico. Ciascuno pensa di poter ottenere privilegi speciali per sé e tralascia di difendere i diritti di tutti.

E' evidente in questo la carenza delle attuali forme di organizzazione politica. Occorre fondare movimenti nuovi, che rappresentino gli interessi collettivi dei cittadini. Oggi si assiste a qualche evoluzione in questo senso: associazioni legate a temi specifici si formano più facilmente che in passato. Si deve però ancora formare, tra movimenti e associazioni in qualsiasi modo impegnate nella vita pubblica, un qualche nuovo tipo di alleanza capace di proporsi come alternativa alle forze politiche tradizionali.

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Ripartire dalle radici

E' evidente che la matrice ideologica della nuova destra è in totale contraddizione con la democrazia. Per quanto se ne dichiarino i paladini e si facciano chiamare liberaldemocratici, non lo sono per nulla. Quello che occorre, caduto il comunismo reale, è tornare al liberalismo classico come fondamento della vita civile. Alcuni punti tra quelli che ho posto sono tipicamente liberali: libertà di informazione, scuola pubblica e non confessionale, indipendenza della magistratura. Torniamo dunque ai padri della democrazia moderna, da Montesquieu a Thomas Jefferson. Non casualmente, parliamo di illuministi del Settecento. E possiamo includervi anche Adam Smith, che tutti citano senza averlo letto e che a mio parere inorridirebbe, o forse si metterebbe a ridere, se gli fosse presentato il sistema economico presunto liberista oggi imperante nel mondo.

Prima di tutto occorre che sia troncato il patente conflitto di interessi oggi presente in Italia. Berlusconi non può restare come capo del governo. Poi occorre ricostruire la politica sulla base di autentici principi democratici. La chiave di tutto sta nell'informazione e nella cultura. Parallelamente dobbiamo impegnarci perché la scuola resti pubblica e aperta, indirizzata alla formazione e non all'addestramento al lavoro. Quindi rifiutare la riforma Moratti della scuola elementare, media e superiore, così come quella della ricerca scientifica e dell'università in generale, che ne stanno distruggendo il valore culturale. Si devono creare movimenti per la rifondazione della cultura, e quindi della scuola e dell'università, su basi, lo dico senza timore, liberali, illuministiche, classiche. E si badi che la cultura è una sola: non esiste una cultura scientifica contrapposta ad una cultura umanistica. La ricerca scientifica è prima di tutto cultura, non ricerca di mirabolanti soluzioni tecnologiche. Lo scopo della scienza è il sapere prima dell'applicazione tecnica, come lo scopo della scuola è formare cittadini e non lavoratori/consumatori.

Abbiamo oggi, finché non ce li lasceremo togliere, mezzi nuovi per organizzare associazioni e movimenti. Passiamo sopra le divisioni ideologiche e vediamo di incontrarci, tra tutti coloro che credono nella ragione, nella cultura, nella ricerca, nella democrazia come collettività di persone libere ed uguali. Su questo sito web trovate legami ad associazioni umanitarie, perché c'è uno stato di emergenza nel modo a causa dei conflitti, e ad associazioni che si impegnano, in vari modi, sui temi che ho enunciato, come COREMegachip e Tecnologie di frontiera. Chiunque voglia fare proposte scriva tramite il formato della pagina di contatto o direttamente all'indirizzo e-mail che si trova in fondo alla stessa pagina.

Alberto Cavallo,  25 aprile 2004

P.S. questo articolo esce appunto il 25 aprile. Questa data di uscita non era nel piano originale, ma mi sembra davvero il giorno giusto.

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