LA BANCAROTTA MORALE DELL'OCCIDENTE

Dove sono i fanatici?



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Pagina pubblicata il 19 giugno 2004.

Indice

Alla pagina indice sulla politica internazionale

Saddam non c'entrava...

Il 16 giugno 2004 si è tenuta l'udienza conclusiva della commissione d'inchiesta nominata dal governo degli Stati Uniti per indagare sulle circostanze degli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001. Tra i risultati più importanti a cui è giunta la commissione, vi è l'accertamento dell'estraneità del regime iracheno di Saddam Hussein rispetto a quelle azioni terroristiche. Cade quindi definitivamente il più labile, anche se ampiamente sfruttato nei media, dei motivi dell'attacco angloamericano all'Iraq. Nonostante il governo americano continui pervicacemente ad affermare il contrario, l'attacco all'Iraq non ha niente a che fare con la guerra al terrorismo. E' vero che il presidente russo Putin è venuto in soccorso degli americani affermando, senza riscontri, che Saddam Hussein dopo l'11 settembre preparava azioni terroristiche contro gli Stati Uniti, ma questa uscita inopinata non sembra avere contenuti concreti, né cambierebbe la situazione: non si tratta di fatti concreti ma di ipotesi e di presunte intenzioni. Se poi queste intenzioni risalivano a dopo l'11 settembre, se ne può dedurre semplicemente che Saddam Hussein aveva compreso che il governo USA avrebbe utilizzato l'attacco terroristico come giustificazione per una nuova guerra all'Iraq, e intendeva considerare l'unico tipo di risposta armata che un paese come il suo, privo di armamenti significativi come ora ben sappiamo, potesse adottare. Ma non se ne fece nulla, e non vi furono azioni terroristiche imputabili al deposto governo iracheno. Quanto accaduto dopo la guerra angloamericana e l'occupazione dell'Iraq è chiaramente un'altra storia.


Torture in Iraq e non solo

Dal mese di aprile 2004 è giunta notizia ai media "ufficiali" delle torture inflitte ai prigionieri del carcere iracheno di Abu Ghraib, da parte dei carcerieri americani, militari e no. La tempesta mediatica è cominciata il 28 aprile, quando la televisione americana CBS ha mostrato alcune immagini che rivelavano le umiliazioni e le torture a cui erano sottoposti i prigionieri. In breve tempo si sono avute numerose conferme e sono emerse altre immagini e perfino filmati, in cui si vedeva come i prigionieri fossero sottoposti a sistematiche umiliazioni e violenze fisiche. Sono state avviate inchieste e il generale responsabile del carcere è stato sospeso dal servizio. Il presidente Bush ha pronunciato discorsi, anche ad alcune televisioni arabe, in cui ha deplorato l'accaduto ed ha affermato che i colpevoli saranno puniti.

Risulta che nel carcere operassero non solo militari ma anche civili appartenenti a società private e, presumibilmente, ai servizi segreti.

Anche in Gran Bretagna è scoppiato un caso analogo. Sembra che abusi siano stati effettivamente commessi anche da militari britannici, anche se alcune immagini pubblicate del quotidiano Daily Mirror sono risultate false, tanto che il direttore del giornale ha presentato le sue scuse ed ha dato le dimissioni. Non c'è però alcun dubbio sulle altre immagini, quelle che riguardano gli americani. Anche i vertici delle forze armate e del governo ne hanno riconosciuto l'autenticità.

La scandalo sta portando alla luce quanto avviene nelle carceri di altri paesi occupati da USA ed alleati, come l'Afghanistan. Il Washington Post ha pubblicato una serie di articoli in cui si rivelano al grande pubblico le pratiche inumane adottate sistematicamente dalle forze americane all'estero. Rimane più scandaloso di tutti il caso del campo di prigionia di Guantanamo, tenuto dalle forze armate americane fuori da ogni giurisdizione ordinaria, nazionale ed internazionale. Ma il coinvolgimento delle istituzioni degli Stati Uniti in questo genere di attività è noto e dimostrato da tempo. Basti pensare che le squadre della morte ed i torturatori latinoamericani sono in gran parte usciti da un centro di addestramento dell'esercito statunitense chiamato, a noi sembra ironicamente, Scuola delle Americhe.

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Considerazioni sui motivi della guerra in Iraq

La situazione

Ricapitoliamo: nello scorso mese di marzo gli Stati Uniti d'America e la Gran Bretagna hanno unilateralmente attaccato ed invaso l'Iraq, al di fuori di qualunque legittimazione formale dell'ONU o di altri organismi internazionali. La fase del conflitto convenzionale si è rapidamente conclusa con la conquista del paese e l'abbattimento del governo del presidente Saddam Hussein. Il presidente stesso è stato poi catturato ed imprigionato ad opera delle forze di occupazione.

In merito allo status legale della situazione, si può far riferimento alle risoluzioni più significative dell'ONU.

La risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU n. 1483 del 22 maggio 2003 definisce Stati Uniti d'America e Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord come potenze occupanti in base alla legislazione internazionale vigente. Quindi sancisce che c'è stata una guerra ed i vincitori hanno occupato il paese sconfitto.

La risoluzione 1546 dell'8 giugno 2004 stabilisce che l'occupazione militare dell'Iraq cesserà il 30 giugno e che la sovranità sarà assunta dal nuovo governo ad interim; la risoluzione definisce i rapporti con le forze straniere che rimarranno sul territorio, inclusi i termini in cui il governo iracheno potrà chiederne l'allontanamento.

Le motivazioni della guerra

Le motivazioni addotte per l'invasione si possono riassumere in tre punti:
  1. l'Iraq disponeva di armi di distruzione di massa ed aveva un programma per dotarsene in grande quantità, rendendo possibile un attacco diretto all'Occidente;
  2. l'Iraq era coinvolto in attività terroristiche internazionali;
  3. Saddam Hussein era un dittatore sanguinario, responsabile di innumerevoli delitti, ed il suo governo costituiva una minaccia per il suo popolo e per il mondo intero.
Analizziamo la validità di questi punti.

Primo punto: armi di distruzione di massa

Il primo punto è stato clamorosamente smentito dal mancato ritrovamento di armi di distruzione di massa o di centri per la loro produzione. E' risultato al di là di ogni dubbio che gli ispettori dell'ONU avevano fatto un ottimo lavoro e che le armi e le fabbriche erano state distrutte completamente dopo la prima guerra del Golfo. I rapporti presentati dai governi americano e britannico per giustificare la guerra erano basati su informazioni non semplicemente esagerate, ma addirittura completamente prive di contenuto. In italiano corrente si dice false.

Secondo punto: terrorismo

Il secondo punto è stato problematico fin dall'inizio, perché per quanto si lavorasse risultava difficile trovare indicazioni su eventuali legami del governo iracheno con organizzazioni come al Qa'ida. Saddam Hussein era un dittatore laico, personalmente è probabile che sia ateo anche se dichiara la propria fede mussulmana per ovvie ragioni di opportunità. Tra lui e gli estremisti religiosi non c'è mai stato alcun legame se non quello di avere importanti nemici in comune. Risulta che organizzazioni terroristiche islamiche fossero presenti in Iraq soltanto in zone al di fuori del controllo del governo. I governi USA e UK non hanno quindi addotto questa motivazione in modo formale, anche se l'hanno lasciata intendere attraverso accenni ed allusioni; del resto, il sostegno ad azioni terroristiche poteva essere l'unico mezzo per portare un efficace attacco diretto ai paesi occidentali, dato che nessuno ha mai potuto affermare che l'Iraq disponesse di missili intercontinentali. Ora (16 giugno 2004) la commissione d'inchiesta del governo americano ha sancito che non vi fu alcun coinvolgimento diretto del governo iracheno, e che i contatti tra il regime di Saddam Hussein e al-Qa'ida erano sostanzialmente nulli.

A proposito, è interessante notare come allusioni e mezze affermazioni siano più importanti dei fatti per smuovere l'opinione pubblica: quanti si sono posti esplicitamente la domanda di come, concretamente Saddam potesse realizzare la sua eventuale minaccia all'Occidente?  E' evidente che l'unico paese potenzialmente in pericolo di attacco diretto era Israele, tutti gli altri alleati degli USA sono troppo lontani per poter essere colpiti da missili anche "a medio raggio". Quindi si trattava di proteggere Israele dai missili e gli altri soltanto dal terrorismo. Ma non ci sono mai state azioni terroristiche in paesi occidentali ricollegabili all'Iraq. E' vero che molti americani pensano che Saddam Hussein sia stato tra gli artefici dell'attacco a New York e Washington dell'11 settembre, ma si tratta di una convinzione immotivata. Per quanto ne sappiamo, i paesi di provenienza dei terroristi erano Arabia Saudita ed Egitto, la loro base logistica in Afghanistan, con collegamenti da chiarire col Pakistan. Nulla a che vedere con l'Iraq baathista, nemicissimo degli integralisti wahhabiti come Osama bin Laden. Le conclusioni della commissione d'inchiesta americana confermano tutto questo.

Terzo punto: rimuovere Saddam Hussein

Il terzo punto, l'unico a cui i due governi responsabili si appellano oggi, dopo che gli altri si sono rivelati inconsistenti, è crollato ora. A parte la sua impresentabilità in senso generale, dato che non sembra in nessun caso accettabile che un paio di governi decidano di propria iniziativa che il governo di un terzo paese secondo loro è indegno e deve essere rimosso, possiamo oggi dire che ha perduto anche l'ultima sua giustificazione, la presunta superiorità morale di coloro che hanno pronunciato il giudizio su Saddam Hussein.

Certo, i governi chiamati in causa stanno scaricando la colpa sui soldati semplici e sui caporali, ma esiste perlomeno una colpa per omissione: non è pensabile che simili abusi avvengano in un carcere controllato da una forza armata regolare, senza che la struttura gerarchica ne sia minimamente a conoscenza.  Ma la questione è ben più grave: già nel mese di luglio del 2003 Amnesty International presentò un rapporto ai governi di Stati Uniti e Gran Bretagna, riferendo di torture e maltrattamenti ai prigionieri e chiedendo un'indagine. L'appello cadde nel vuoto. Il 7 maggio 2004 Amnesty ha scritto una lettera aperta al presidente Bush, in cui lo chiama in causa chiedendo un'investigazione indipendente sull'accaduto. Vedere l'articolo originale sul sito di Amnesty. Non si è trattato di episodi isolati ma dell'applicazione di metodi sistematici per fiaccare la resistenza dei prigionieri. La responsabilità dei vertici militari e governativi è indiscutibile, non è pensabile che nessun ufficiale sapesse nulla fin dall'inizio, di quello che accadeva nel principale carcere dell'Iraq. E la responsabilità morale e politica giunge almeno fino al ministro responsabile, cioè Donald Rumsfeld, indipendentemente dal fatto che fosse informato o no. Ma lo era, perché se non altro gliel'aveva detto Amnesty l'anno scorso!

Occorre essere molto chiari e precisi: chi si arroga il compito di giudicare gli altri deve accettare di essere giudicato. Perché si possa considerare indegno un terzo, occorre essere immacolati da parte propria, altrimenti si deve ammettere che si tratta semplicemente di una questione di potere e di conquista.

Conclusione: una guerra di conquista

La guerra è un atto di forza che ha lo scopo di costringere l'avversario a sottomettersi alla nostra volontà ci dice Karl von Clausewitz nella prima pagina del "Della guerra". I governi di Stati Uniti e Regno Unito hanno imposto con la forza la loro volontà di estromettere Saddam Hussein dal governo, puramente e semplicemente, allo scopo di prendere il controllo politico ed economico dell'Iraq. Abbiamo visto che si sono serviti e si servono di mezzi analoghi ai suoi: bombe e carri armati prima, poi carceri e torture. Non dimentichiamo che la cosiddetta ricostruzione dell'Iraq è stata assegnata a società private americane e inglesi, con subappalti a società di alcuni altri paesi. Il criterio di scelta è stata la vicinanza al governo americano: il principale contrattista, ad esempio, è la Halliburton, di cui il vicepresidente americano Cheney è stato a lungo amministratore. Ecco il punto: non c'è nulla di umanitario, non c'è la volontà di portare la democrazia a chi non ce l'ha. C'è soltanto il gioco del potere, politico ed economico. L'imperatore è nudo.

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Il ruolo dell'Italia

Il governo italiano sostiene che i militari italiani in Iraq stanno svolgendo una missione umanitaria e non di guerra. Tecnicamente non è vero e non lo sarà fino al 30 giugno, in base alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, per le quali c'è un'occupazione militare e non una missione di pace. Da quel momento in avanti si tratterà di una missione di mantenimento dell'ordine e della sicurezza, nell'ambito della risoluzione 1546. L'opposizione italiana, a differenza di quanto accaduto in altri paesi, non ha avuto il coraggio di dire la verità ed affrontare la situazione reale dell'Iraq, offrendo al governo la scappatoia della risoluzione dell'ONU come giustificazione per la permanenza delle truppe. Basti notare che le nazioni che fin dall'inizio si sono opposte alla guerra non invieranno truppe nemmeno dopo il 30 giugno. Se sono stati fatti passi avanti per la restaurazione della sovranità dell'Iraq, non è certo merito di chi ha assecondato in tutto gli angloamericani, ma al contrario di chi si è fermamente opposto e poi ha potuto trattare i contenuti della risoluzione.

Abbiamo visto che i motivi "umanitari" della guerra si sono rivelati tutti, senza eccezioni, inconsistenti. Ora l'esercito italiano ha anche deciso di inviare carri armati pesanti modello Ariete (La Repubblica del 30 maggio) per aumentare le capacità di combattimento delle proprie forze in Iraq. Al di là delle parole, resta la sostanza: i carri amati pesanti sono mezzi da guerra, non da "peacekeeping", e giustamente i comandi militari italiani li ritengono necessari. Dal punto di vista tecnico, hanno perfettamente ragione, i nostri soldati hanno bisogno di quel tipo di mezzi nella situazione in cui si trovano. I militari italiani, che pure non hanno finora partecipato a missioni di attacco vere e proprie ma si sono limitati al controllo del territorio e ad azioni difensive, sono infatti oggettivamente coinvolti in una guerra. La risoluzione 1546 ha salvato in extremis il governo Berlusconi, soprattutto grazie all'insipienza dell'opposizione. Ma la situazione sul terreno resta difficile, e soprattutto il ruolo  svolto dall'Italia rimane assolutamente criticabile: non lo si vuole ammettere, ma abbiamo partecipato ad una occupazione militare, non ad una missione di pace, come ribadisce anche la 1546 con estrema chiarezza.

Non dobbiamo mai dimenticare che ci sono italiani presenti in Iraq per autentici motivi umanitari: sono le associazioni Un ponte per... e Emergency. Che non hanno portato armi ma medicine, e agiscono senza alcun collegamento con la missione militare. Il governo italiano ha preferito impegnare denaro e personale in azioni militari anziché in autentiche attività umanitarie, in una situazione di occupazione in cui appoggiare le forze occupanti significava condividere gravi responsabilità; tutto questo accadeva mentre altri italiani, con i pochi mezzi messi a disposizione da benefattori privati, si adoperavano autenticamente per il popolo iracheno. Queste associazioni per la loro natura evitano eccessive polemiche, ma questa riflessione secondo me è assolutamente necessaria. Parallelamente, non dimentichiamo il ruolo degli archeologi e dei restauratori che stanno aiutando a rimettere insieme i cocci del patrimonio culturale iracheno, uno dei più importanti del mondo, devastato per colpa degli invasori che non l'hanno salvaguardato e si sono resi complici del saccheggio compiuto da privati.

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Dove sono i fanatici?

La rivelazione al grande pubblico del trattamento riservato ai prigionieri da parte delle forze americane in Iraq segna un cambiamento epocale, in un certo senso si potrebbe considerare l'inizio geopolitico del XXI secolo.

Come sempre accade in questi casi, non è cambiato nulla di sostanziale: l'uso sistematico della tortura da parte delle forze americane risale con certezza almeno alla guerra del Vietnam; negli ultimi anni gli Stati Uniti hanno sistematicamente rigettato gli accordi e le iniziative per l'introduzione di regole ed organismi sovrannazionali sul tema del rispetto dei diritti umani e del rispetto delle convenzioni internazionali. In particolare, si sono attivamente adoperati contro il Tribunale Penale Internazionale, inducendo molti paesi a firmare accordi bilaterali allo scopo di rendere impossibile il ricorso a tale organo contro esponenti USA. A tutti gli effetti, gli Stati Uniti d'America si considerano legibus soluti e unici giudici del rispetto dei diritti umani da parte di chiunque, se stessi compresi ovviamente. Si tratta di una concezione filosofica profondamente radicata, non soltanto di una prassi politica: discende dal concetto dell'unicità degli USA come nazione eletta da Dio e differente da tutte le altre nazioni del mondo, largamente diffusa nella società americana. E' chiaro che questa concezione non caratterizza l'intera nazione in modo assoluto, ma purtroppo ispira largamente i principali esponenti dell'attuale governo.

Da questa concezione discende anche la legittimità dell'attacco preventivo contro qualsiasi stato che sia considerato "canaglia" dagli Stati Uniti: la terza motivazione dell'attacco all'Iraq, l'unica peraltro che stia ancora in piedi, è di questo tipo. Si deve notare, però, che la concezione dell'unicità degli Stati Uniti ha in realtà due radici ben distinte, legate all'origine stessa della nazione: l'illuministica e la religiosa fondamentalista. Pensiamo alla singolarità delle istituzioni americane: vige una drastica separazione tra stato e chiesa, tanto che l'unica festività religiosa che sia anche festività civile è il Natale, ma sulle banconote c'è scritto "In God we trust", ed i politici cominciano sempre i discorsi con appelli a Dio. Per contrasto, in Italia abbiamo il concordato, la Santa Sede interviene costantemente in politica, abbiamo partiti che si definiscono cristiani, ma nessun politico pronuncia mai gli appelli a Dio così comuni in America.

Quello che è accaduto negli ultimi anni è la presa di potere da parte di personaggi che filosoficamente si ispirano alla corrente religiosa piuttosto che a quella laica. Invece dell'universalità si stampo illuministico, in base alla quale la diversità americana si giustifica per la rispondenza delle istituzioni politiche e civili ai dettami della ragione, si afferma un ruolo messianico, per cui agli Stati Uniti tutto è concesso per particolare dispensa divina. Lo stesso presidente George W. Bush è un ex gaudente convertito e divenuto un reborn Christian, un cristiano rinato; i neoconservatori che prevalgono nel governo sono tutti religiosamente ispirati. Il modo di pensare di Bush e di alcuni suoi ministri, insomma, non è dissimile da quello dei fondamentalisti islamici come quel bin Laden, peraltro ex socio in affari del presidente stesso (si veda il documentario Fahrenheit 9/11 di Michael Moore, vincitore della Palma d'Oro a Cannes).

Ritenersi al di sopra di qualsiasi regola per un mandato divino è tipico dei fanatici in generale. Purtroppo è sotto gli occhi del mondo che gli Stati Uniti d'America hanno un buon numero di fanatici al governo. Come sempre accade, i loro metodi alla fine sono stati resi pubblici. Era già ovvio per chi volesse usare un minimo di raizocinio che la pervicacia con cui gli Stati Uniti combattevano il Tribunale Internazionale doveva avere un motivo; del resto, non è mancato chi segnalasse le violazioni delle convenzioni internazionali, ed in particolare delle convenzioni di Ginevra sulla condotta in tempo di guerra, commesse dagli USA. Tra le più comuni, il bombardamento di obiettivi civili, l'uso di armi particolarmente crudeli come le bombe a grappolo, nel caso dell'Iraq il mancato rispetto delle regole che responsabilizzano l'occupante per l'ordine pubblico e la salvaguardia dei beni privati e pubblici del paese occupato. Ma si è andati oltre.

Pensiamo al caso di Guantanamo: i detenuti di quel campo di prigionia sono privi di qualsiasi diritto. Secondo il governo americano, non sono soggetti alle leggi USA in quanto al di fuori del loro territorio; non viene riconosciuto loro il diritto a conoscere le accuse, essere portati davanti ad un giudice legittimo ed essere giudicati in base ad una legge ben definita. Dobbiamo stupirci allora che si sia giunti all'abiezione di Abu Ghraib?

Non solo: anche sul proprio territorio gli USA stanno minando i diritti umani. Il Patriot Act consente la detenzione indeterminata, al di fuori dei diritti previsti in base al Primo Emendamento, per gli stranieri accusati di terrorismo nel territorio stesso degli Stati Uniti. In pratica, per gli stranieri sottoposti a tali accuse i diritti previsti dalla costituzione americana non sussistono. Per gli stessi cittadini americani è prevista la possibilità di intercettazioni della corrispondenza e delle comunicazioni, nonché perquisizioni ed indagini sulla vita privata, senza mandato della magistratura e senza accuse precise. Insomma, gli Stati Uniti stanno cercando di somigliare alla Cina Popolare, o alla vecchia Unione Sovietica. O forse al nuovo nemico assoluto, al-Qa'ida. Questa bancarotta morale è evidentissima agli occhi di tutti, al di fuori degli Stati Uniti e di una parte degli europei.

Il fatto è che il grande pubblico, anestetizzato dalla televisione, non se n'era accorto. Ora elementi importanti della verità sono venuti a galla, sono entrati a forza nel mondo virtuale dei media. L'Occidente può forse ignorarli e continuare a vivere nel mondo dei sogni creato dai suoi mezzi di comunicazione, ma tutto il resto del mondo conosce la verità e non può più credere alle favole sulla democrazia e la libertà che esso afferma di portare.

La propaganda cerca di ricuperare terreno esaltando la seconda guerra mondiale, la lotta collettiva contro il nazismo. Si tratta appunto di propaganda: i valori della libertà, della democrazia, dei diritti umani sono oggi calpestati soprattutto dagli Stati Uniti e dai loro alleati. Le stesse istituzioni americane si stanno involvendo, e cominciano a somigliare a quelle di un paese totalitario.

Recentemente è asceso all'onore delle cronache il caso del professore Steven Kurtz dell'Università di Buffalo. Il professore è stato sottoposto a vessazioni incredibili per un'accusa di terrorismo, basata sul fatto che era in possesso di apparecchiature per l'analisi del DNA e di campioni di batteri, trovati in casa sua in occasione della morte improvvisa della moglie. In realtà si tratta di apparecchi e campioni innocui, usati da Kurtz per manifestazioni pubbliche contro l'uso di organismi geneticamente modificati, nell'ambito dell'associazione da lui fondata, Critical Art Ensemble. Essendo docente universitario di biologia e persona pubblica, è riuscito ad ottenere aiuto, ma non ad evitare che gli sequestrassero la casa e interrogassero tutti i suoi conoscenti. Il caso è ancora aperto, per l'FBI Kurtz resta un potenziale terrorista. Forse a causa delle sue idee?

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L'Impero avanza

Il cerchio si è chiuso: l'ultima giustificazione è caduta, gli Stati Uniti si stanno trasformando in un Impero, dedito al dominio per il dominio. La loro tradizione umanitaria ed illuministica è soltanto, ormai, un pretesto ed una vetrina, ma se n'è perduta la sostanza. Chi ci può difendere? Prima di tutto gli americani stessi: tutti coloro che ancora credono nei loro stessi valori tradizionali, se potranno aprire gli occhi, dovranno schierarsi contro la banda di fanatici e affaristi senza scrupoli attualmente al governo. Tenendo conto che anche il candidato democratico alla presidenza, il nebuloso Kerry, non sembra diverso, le prospettive non sono buone, ma la vittoria di Michael Moore a Cannes (voluta, si badi bene, da una giuria presieduta da un americano e comprendente altri tre americani e un solo francese) almeno ha consentito di superare la vigliaccheria della Disney e far uscire comunque il film anche in patria. Mi auguro che molti vedano il film di Michael, che è l'incarnazione, adeguatamente voluminosa, dell'americano tipico, e tirino fuori quella carica di individualismo anarchico che è la vera radice della grandezza americana e il miglior antidoto all'imperialismo, nonché l'unico presidio della democrazia contro il potere del denaro e delle armi.

Poco possiamo sperare dall'Europa. Anche coloro che si sono opposti alla guerra in Iraq l'hanno fatto per interesse, anche se comunque hanno fatto bene ad opporsi. L'Unione Europea è un'entità evanescente, assolutamente priva di peso politico. Il progetto della costituzione europea, che pure sarebbe necessaria per dare volto e sostanza a questa ameba politica, sembra un'accozzaglia di compromessi, cedimenti su principi fondamentali e falsi storici (forse dalla versione approvata hanno però tolto la citazione di Tucidide la cui falsità è stata denunciata da Luciano Canfora nel suo ultimo libro, La democrazia, storia di un'ideologia, ed. Laterza). Il suo contenuto democratico è ancora molto scadente, perché il Parlamento Europeo non acquisisce pienamente il potere legislativo, che resta in parte mescolato all'esecutivo, con buona pace dei veri padri della democrazia moderna, gli illuministi del '700. Ne parleremo un'altra volta.

Alberto Cavallo, 19 giugno 2004

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