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Per il Tibet



Alla pagina indice sulla politica internazionale

Ripubblico qui un intervento inviato qualche giorno fa a TDF (www.tdf.it). La situazione del Tibet è per me particolarmente dolorosa, in quanto mi sento legato in modo speciale al popolo che ci ha conservato la preziosa eredità del buddhismo indiano mahayana e vajrayana nella forma più pura, tradizione che sto studiando ed a cui ormai ritengo di appartenere. Naturalmente non si devono fare favoritismi e tutti coloro che soffrono meritano ugualmente il nostro aiuto, ma ognuno di noi non può che utilizzare le proprie limitate disponibilità per alcune cause, essendo impossibile sostenerle tutte. Mi sento ugualmente vicino al popolo cinese, che sta versando sangue in nome di uno sviluppo economico accelerato che produce un falso simulacro di prosperità al costo di grandi sofferenze.

"Gli uomini si precipitano nella sofferenza per sfuggire alla sofferenza; desiderosi di felicità, essi distruggono, offuscati, la loro stessa felicità, quasi come se fossero nemici di se stessi". (Shantideva, Bodhicharyavatara - I,28).

Con l'avvicinarsi delle olimpiadi di Pechino, naturalmente si riaccendono le proteste per le molte violazioni dei diritti umani e della giustizia in generale che il governo cinese ha compiuto negli anni e tuttora compie. I tibetani manifestano contro il governo cinese e questo risponde con la violenza più brutale. Non possiamo restare indifferenti ancora una volta e far mancare il nostro sostegno ad un popolo mite e pacifico, che ha dato al mondo una cultura tra le più straordinarie e che da sessant'anni è minacciato di totale annientamento tramite l'assimilazione forzata da parte della Cina.

Recentemente il Kosovo, provincia serba a maggioranza albanese, ha dichiarato unilateralmente l'indipendenza dalla Serbia, ottenendo il riconoscimento di molti governi. Ma il Tibet, che fino al 1949 era uno stato indipendente, fu invaso dalla Cina e da allora è sottoposto ad un vero e proprio genocidio culturale (in parte anche fisico attraverso la politica demografica) che mira a renderlo una provincia cinese come le altre, annientando la cultura e l'identità del popolo tibetano. Perché gli albanesi del Kosovo ricevono tanto sostegno mentre i tibetani non ne hanno ora e non ne hanno mai avuto prima? La risposta è semplice: la Serbia è piccola e debole e può essere costretta con le buone (la promessa dell'ingresso nell'UE) o con le cattive (nel 1999 con i bombardamenti aerei) ad accettare la situazione, mentre la Cina è una grande potenza. Si è forti con i deboli e deboli con i forti, e questo vale anche per gli Stati Uniti d'America, la prima superpotenza mondiale, nonostante l'accoglienza del presidente Bush al leader spirituale e politico del Tibet, il Dalai Lama. Vorrei ricordare al proposito che la maggioranza dei governi europei, incluso quello italiano, si sono rifiutati di ricevere il Dalai Lama in occasione della sua visita in Europa del mese di dicembre scorso, per timore delle reazioni cinesi. Anche il Papa ha rifiutato l'udienza (vorrei far notare che il suo predecessore Giovanni Paolo II, invece, lo riceveva regolarmente, con calorose manifestazioni di amicizia).

Il Tibet dovrebbe almeno godere della piena autonomia, noi italiani possiamo suggerire come esempio il modello dell'Alto Adige, che fa parte della Repubblica Italiana ma gode di un'ampia autonomia amministrativa e culturale. Per quanto riguarda la Cina in generale, è fin troppo evidente che non soltanto i tibetani ma tutti i cittadini della repubblica cinese si trovano in una condizione di privazione delle libertà civili e politiche. Sul piano sociale, lo sviluppo economico accelerato che tanto si esalta sulle pagine degli affari dei nostri giornali è ottenuto ad un prezzo sanguinoso che ricorda i momenti più bui della nostra rivoluzione industriale. Uno stato che ancora si dichiara comunista in realtà applica e consente il più brutale sfruttamento dei lavoratori.

Che cosa possiamo fare noi? In questo momento non credo che dobbiamo boicottare totalmente le Olimpiadi di Pechino. Dobbiamo invece rendere la vita difficile al governo cinese in tutte le occasioni, non tralasciando mai di sollevare la questione del Tibet, così come di tutte le altre violazioni dei diritti umani che esso commette quotidianamente.

Quello che dobbiamo fare dunque è mantenere una pressione costante, usare le Olimpiadi come palcoscenico per evidenziare anziché nascondere le sue colpe, individuando opportune azioni da compiere nel contesto della partecipazione ai giochi, e poi limitare la cooperazione economica in base a criteri di equità civile e sociale. Soprattutto dobbiamo sostenere i tibetani nella loro battaglia non violenta per l'autonomia, una battaglia che dura da quasi sessant'anni e non ha mai visto il sostegno dei governi occidentali se non in forme tiepide e timorose.

Questo comprende anche l'aiuto per la salvaguardia della loro cultura, se non altro per mezzo delle loro istituzioni ormai diffuse nel mondo. Il Tibet ha preservato e trasmesso fino a noi alcune delle scuole più importanti della tradizione buddista di origine indiana. Queste scuole spirituali possono dare al mondo di oggi un enorme contributo di saggezza, un antidoto ai mali del mondo di oggi. Anche se il Tibet come entità fisica dovesse essere annientato dai cinesi, dobbiamo preservare il suo contributo e integrarlo con la cultura moderna, accogliendo gli insegnamenti che provengono da millenni di studio della mente, insegnamenti estremamente importanti per noi occidentali che abbiamo studiato tanto bene il mondo fisico, ma siamo deboli sul piano etico e spirituale. Non facciamo come la Cina, che ha gettato via la sua stessa tradizione in nome di uno sviluppo economico concepito in forma brutale e disumana. Che la Cina stessa sappia ritrovare il suo proprio millenario retaggio di saggezza!

Alberto Cavallo

Pagina ripubblicata il 29 marzo 2008

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