Home | Scienza
| Filosofia | Politica
| Collegamenti | Diritti
di copia | Novità
ed aggiornamenti | Contatti
L'uomo pubblico e la privacy
In questi giorni si è riproposta una duplice questione che
riguarda la politica italiana: l’applicazione delle leggi differenziata
per politici potenti e gente comune e la richiesta di privacy, o
piuttosto la richiesta di non subire alcuna investigazione, da parte
dei politici.
Seppure le due questioni sono in qualche modo collegate, vale la pena
di esaminarle separatamente.
L’applicazione di privilegi legali a cariche istituzionali è un
argomento delicato e difficile, che non mi sento di affrontare
nell’ambito di una breve nota, perciò mi limiterò ad
alcuni aspetti particolari della questione.
Il primo punto che voglio chiarire è che tali privilegi possono
sussistere solamente per poche e fondamentali cariche istituzionali e
che essi debbono decadere al decadere della carica; in altre parole il
privilegio non deve mai diventare presunzione d’impunità
individuale, ma deve solamente servire ad assicurare il funzionamento
senza intralci dell’istituzione. Inoltre è indispensabile che
l’impunità momentanea escluda tutti quei reati che possano
compromettere il corretto funzionamento delle istituzioni stesse e dei
rapporti fra le forze politiche.
L’argomento è a mio parere di massima importanza, in quanto una
grande differenza, forse la maggiore, fra democrazia e dittatura
è la possibilità di sottoporre a giudizio anche le
più alte cariche dello stato, per evitare che il loro potere
diventi incontrollato. Non a caso l’indipendenza della magistratura
è un cardine di tutte le democrazie (e forse questo bisognerebbe
ricordarlo a più di uno dei nostri politici).
La questione della privacy degli uomini politici è rimbalzata
agli onori della cronaca in questi giorni e mi sembra assai più
facile da inquadrare. L’uomo politico è un uomo pubblico per
definizione e pertanto mi pare ovvio che la sua privacy abbia dei
limiti più ristretti di quella dei comuni cittadini, e non, come
sembrano pretendere molti di loro, essere governata a loro uso e
consumo. In particolare trovo assurdo che ci vogliano delle
autorizzazioni parlamentari per indagare su deputati, senatori,
ministri….
Altra cosa è la cautela per evitare che gli stessi finiscano
sotto processo o in galera.
Mentre nel primo caso, infatti, deve prevalere il sacrosanto diritto
degli elettori di sapere il più possibile sui propri
rappresentanti, nel secondo caso può sempre essere paventato il
rischio di abusi in danno non tanto del singolo uomo politico, ma delle
istituzioni.
Certo in astratto è possibile pensare a centrali di potere
separate dal potere politico che si servono delle investigazioni in
maniera distorta, ma questo in pratica è alquanto improbabile,
in quanto l’uomo potente ha una possibilità di difendersi molto
maggiore dell’uomo comune (per definizione può) ed inoltre
valgono per lui le regole di garanzia che valgono per i comuni
cittadini. Se queste sono valide per tutti, perché non debbono
essere valide per gli uomini politici?
A questo punto mi viene in mente una delle obiezioni che io faccio
sempre alle elezioni dirette dei vertici dello stato: “ma io per chi
voto, per una persona a me nota o per un’immagine mediatica di cui mi
è completamente ignota la vera identità?”
Per tutto ciò mi riesce quasi incomprensibile la scarsa reazione
dei gruppi sociali ai tentativi dei politici di sottrarsi ad un reale
esame dei loro comportamenti (anche privati, se poi confliggono con la
loro immagine pubblica) che si traduce in ultima analisi con
l’impossibilità di conoscere chi sono veramente i nostri
rappresentanti.
Pietro Immordino - 23 dicembre 2007
inizio pagina
All'angolo dello Zio Pietro
Tutti i contenuti del sito Eurinome.it sono pubblicati sotto una
Licenza Creative Commons, salvo
diversa indicazione.