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Dallo spettacolo alla politica e viceversa
Indice
All'angolo dello Zio Pietro
Grillo, gli altri e la realtà
L’altra sera in pizzeria con pochi amici (ahi loro, teste pensanti) si
discuteva delle reazioni agli show di Beppe Grillo e, più in
generale, della situazione italiana. Voglio riprendere ed estendere
alcune delle riflessioni fatte allora, nella speranza che queste mie
note siano condivise non solo da loro, ma anche da molte altre "teste
pensanti".
In ogni epoca e sotto qualsiasi regime il potere ha consentito
l’esercizio di qualche forma di critica satirica o burlesca, esso
potere intervenendo a schiacciare le critiche solo quando queste
toccavano dei nervi scoperti o quando il potere vacillava. Basta
pensare ai giullari di medioevale memoria, che si permettevano di dire
ai loro signori cose che sarebbero costate la vita a chiunque altro.
Gli show di Grillo hanno toccato nervi scoperti o sono avvenuti in un
momento di debolezza del palazzo o ambedue le cose?
Mi tornano alla mente a tal proposito le parole di Walter Veltroni,
udite giorni orsono in radio: "oggi tutti invadono il campo di tutti e
questo non è bene". Grillo ha invaso il campo della politica
oppure, in assenza di autorevolezza della politica la gente è
portata ad accogliere le bordate satiriche di uno showmen come proposte
politiche? Ma, più in generale, l’idea che tutti abbiano invaso
il campo di tutti descrive compiutamente la realtà italiana
attuale?
Io penso che la realtà italiana sia alquanto diversa. La
"partitica" (uso questo termine al posto di "politica", in quanto
più appropriato al ragionamento che voglio sviluppare) ha invaso
tutti i campi. Ai vertici di qualunque istituzione, organismo o
rappresentanza ci si arriva solo per appartenenza o vicinanza ad un
partito politico o, per i più abili, a più partiti
politici; ma molto spesso anche per occupare posizioni molto più
modeste è necessario "il santo in partito".
La selezione della classe dirigente italiana è progressivamente
stata fatta sempre più in funzione dell’appartenenza e della
fedeltà e sempre meno in funzione della capacità
specifica dei selezionati. È interessante notare come
l’appartenenza partitica fosse un elemento di selezione anche nella
cosiddetta "prima Repubblica" fin dal suo nascere, ma le scelte
così effettuate inizialmente tenevano conto anche delle
capacità tecniche delle persone selezionate. Ad esempio, ricordo
che quando seguivo gli studi universitari anche i professori la cui
appartenenza era chiara risultavano comunque preparatissimi, cosa che
invece, a detta delle mie figlie, non era più sempre vera nella
generazione successiva.
Un’altra testimonianza personale deriva dalla conoscenza attraverso i
contatti familiari dei rapporti intercorrenti fra la classe dirigente e
i rappresentanti dei partiti, rapporti che nel tempo si sono quasi
rovesciati. Mentre un tempo era il politico a cercare l’appoggio e a
blandire gli esponenti illustri della società, ora ne salta
completamente la mediazione e sempre più spesso si vedono
persone di alta qualificazione con "il cappello in mano" davanti ai
politici..
Non so se questo cambio dei rapporti relazionali è dovuto
all’influenza dei media, tv in testa, o/e alla resa della classe
dirigente, ma certamente ha prodotto effetti nefasti, con un
abbassamento della qualità della nostra classe dirigente, che si
ripercuote sull’efficienza complessiva della società.
Un discorso a parte meriterebbe la situazione della magistratura
italiana, ma di questo magari mi occuperò un’altra volta.
Concludendo, è la partitica che ha invaso ogni campo della
società. La politica ha il dovere e l’incombenza di dettare le
regole generali che governano la società civile, ma i suoi
rappresentanti invadono campi altrui quando pretendono di effettuare
singole scelte tecniche che dovrebbero essere di competenza appunto
tecnica.
Ma dubito che le piazze movimentate da Beppe Grillo possano cambiare la
situazione: la caduta della prima Repubblica ha solo portato alla
situazione politica attuale, che sta facendo rimpiangere a molti la
precedente.
La situazione cambierà solamente con un impegno preciso e
volitivo di tutta la classe dirigente italiana, che deve essere
disponibile a sacrifici e rinunce nell’immediato e deve predere
coscienza del suo valore e della sua indispensabilità. Solo
così nessuno invaderà più i campi altrui e la
politica tornerà nei suoi ambiti istituzionali.
Pietro Immordino - 9 novembre 2007
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All'angolo dello Zio Pietro
I danni della politica - spettacolo
Martedì scorso assistevo alla trasmissione televisiva
Ballarò, nel corso della quale si è parlato anche del
problema dell’immigrazione, in particolare di quella rumena, con
riferimento al tragico fatto di sangue accaduto a Roma nei giorni
scorsi.
Nell’occasione c’è stato il solito spettacolo di rimpallo di
responsabilità fra governo ed opposizione,
spettacolo inutile e poco esaltante. Ma, al di là di questa
considerazione, quello che mi ha colpito particolarmente è stato
il modo in cui tutti gli interlocutori hanno affrontato la discussione
su un fenomeno di immane dimensione, con cui tutta l’Europa
dovrà fare i conti nei prossimi anni.
Fenomeni di tale importanza e dimensione non dovrebbero mai essere
affrontati alla luce di un singolo fatto, per quanto tragico questo
possa essere, o essere focalizzati in una sola direzione; nella
discussione è totalmente mancato, ad esempio, ogni riferimento
alle tragedie quotidiane nei mari del sud della nostra Italia.
Gli immigrati ufficiali proveniente dalla Romania hanno una consistenza
numerica quasi pari a quella degli immigrati provenienti dall’Albania o
dal Marocco. Considerando, in assenza di valutazioni attendibili sulla
totalità degli immigrati, che la consistenza degli irregolari
sia dello stesso ordine i nostri politici dovrebbero avere le stesse
attenzioni nei riguardi delle tre comunità, ma in questo momento
non pare che le cose stiano proprio così ed io penso sia
interessante scoprire il perché di questo atteggiamento.
La preoccupazione verso la comunità rumena nasce dalla massiccia
immigrazione dalla Romania nel corso dell’anno, dopo l’ingresso nella
Comunità? Non credo, ma se fosse così era un fatto
ampiamente prevedibile e che probabilmente si esaurirà
rapidamente, considerato il notevole boom che vive quella nazione.
O forse a destare inquietudine è la massiccia presenza di
appartenenti all’etnia rom fra i rumeni immigrati? Ma anche questo
è un problema vecchio di oltre mezzo secolo, che è stato
sempre trascurato dai nostri rappresentanti.
Negli ultimi tempi, a quanto si dice, la tendenza a delinquere dei
Rumeni è stata maggiore di quella degli altri immigrati. La
tendenza alla devianza è storicamente più alta nelle
popolazioni di recente immigrazione, basti pensare a quello che
è successo nel Nord d’Italia al tempo del grande esodo dal Sud e
più recentemente con gli Albanesi.
Allora che cosa è successo che ha mosso tutto il mondo politico
nella crociata contro i Rumeni? È accaduto un tragico fatto di
sangue che ha trovato gran risonanza nei media e i nostri politici non
hanno potuto fare a meno di battere la grancassa!
Però a tal proposito verrebbe da dire: meglio tardi che mai. Ma
non è proprio così, se si osservano bene le proposte che
vengono da tutte le parti.
Come sempre, si invocano nuove leggi e quando si fanno, come in questo
caso, l’opposizione le trova sempre sbagliate, ma nessuno mai elenca i
mezzi disponibili e le reali possibilità di realizzazione delle
proposte. Tutti poi hanno un occhio (o tutti e due?) volto al proprio
elettorato, senza la giusta considerazione che meriterebbe il bene
comune.
Prendiamo in esame la proposta più eclatante, attribuita all’on.
Fini: mettiamo in galera ventimila persone e sbattiamone fuori d’Italia
altre duecentomila.
La prima parte della proposta credo si commenti da sola; lo stato
è stato costretto a fare un indulto poiché non aveva
carceri sufficienti e i tribunali sono talmente intasati che in pratica
erogare qualche condanna è un’impresa disperata.
(Faccio una digressione, in Parlamento ci si occupa troppo poco del
funzionamento della giustizia, ma di questo voglio parlare per esteso
in altra occasione.)
L’espulsione coatta di duecentomila persone, dislocate in tutta Italia,
spesso senza una collocazione fissa, è praticabile: basta
impiegare per un anno gran parte delle forze di polizia a questo scopo
distogliendole da altri compiti secondari, quali la lotta alle mafie,
la prevenzione del terrorismo, l’ordine pubblico in occasione delle
partite di calcio, ecc.
Ma per ora bisogna parlare del pericolo rumeno, perché di quello
parlano tv e giornali!
Sono un sognatore, lo so, ma mi piacerebbe assistere alla nascita di
una classe dirigente, ed in particolare di una classe politica, capace
di una visione più ampia, che non corra dietro all’emergenza
giornalistica, che anticipi i problemi invece di subirli, che sia
capace di fare leggi applicabili e di fare si che siano applicate le
leggi esistenti, che soprattutto parli di cose reali o realizzabili,
che non fomenti paure ed inquietudini ma sia invece un elemento di
equilibrio per la popolazione. Ma per una classe dirigente così
ci vuole almeno un popolo che la desideri!
Pietro Immordino- 9 novembre 2007
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All'angolo dello Zio Pietro
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