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Lo stato del pianeta... e oltre
Pagina pubblicata la prima volta il 25 gennaio 2014
Indice
Tutti parlano del "pianeta"
Mai
come a fine anno si fanno grandi discorsi sulla situazione mondiale.
Non so se l'avete notato, ma oggi si tende a riferirsi non tanto al
mondo, raramente alla Terra. ma
soprattutto al pianeta. Si dice lo stato del
pianeta, il futuro del pianeta, le risorse del
pianeta, abbiamo solo questo pianeta, salviamo il pianeta.
Un po' di secoli fa, Galileo Galilei fu condannato
dall'Inquisizione per aver sostenuto, tra l'altro, che la Terra è
un pianeta. Oggi invece sembra che pianeta sia
sinonimo di Terra - in effetti la parola pianeta
senza specificazioni si riferisce proprio ad essa e solo ad essa!
C'è un'altra differenza importante rispetto ai tempi di Galileo,
alla quale non si pensa. Allora, ed anche in tempi molto più recenti
in verità, tutti quanti, anche le persone più ignoranti, avevano una
certa conoscenza del cielo stellato, semplicemente perchè lo
vedevano ogni notte (nuvole permettendo). Oggi nessuno conosce il
cielo stellato, a parte i professionisti e gli appassionati di
astronomia, perché non lo si vede più: le nostre città sono troppo
illuminate e perfino fuori di esse si tende ad installare impianti
di illuminazione che eliminano la vera notte. Qualche anno fa, dove
abbiamo un alloggetto in montagna, bastava uscire di casa la sera
per vedere le stelle. Ma da un po' di anni anche là bisogna
allontanarsi fuori dalla strada, risalendo al buio il fianco della
montagna, per sottrarsi alla luce dei lampioni. e ovviamente lo fa
solo chi ha già di suo un interesse per il cielo stellato.
Nessuno sa quindi riconoscere gli astri, tantomeno distinguere tra
le stelle fisse ed i pianeti.
La parola pianeta, infatti, originariamente indica le
stelle vaganti, che differiscono dalle stelle
fisse perché non occupano un posto ben definito tra gli
altri astri, ma si muovono lungo traiettorie complesse.
L'interpretazione di tali moti fece nascere le varie teorie sulla
struttura dell'universo, per arrivare infine alla rivoluzione
copernicana, che tanti guai causò al povero Galileo Galilei, il
quale suo malgrado ne aveva trovato le prove tramite le sue
osservazioni col cannocchiale: la Terra è anch'essa un pianeta, nel
momento in cui la parola non indica più un oggetto visibile in cielo
ma un tipo di corpo materiale che si muove nello spazio.
Ormai è talmente assodato che la Terra è un pianeta, che
questa parola la indica per antonomasia.
Ma l'origine della parola non è più presente nella coscienza
popolare, tanto che tutti imparano a scuola i nomi e le
caratteristiche dei pianeti (gli altri) ma pochissimi sanno
associarli ad una luce brillante in cielo. Sarebbe interessante fare
un'inchiesta su quanti sanno quanti e quali sono i pianeti visibili
ad occhio nudo, non dico che li sappiano riconoscere...
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Il pianeta non ci basta più
I segni dell'eccessivo sfruttamento del nostro pianeta natale sono
davanti a noi tutti i giorni. Non sto parlando dei mutamenti
climatici, ma dello sfruttamento delle risorse, a partire dal
territorio.
Perché tempeste, alluvioni, terremoti causano così spesso tanti
danni e tante perdite di vite umane? non credo proprio che
questo tipo di fenomeni siano significativamente variati nella loro
frequenza, la ragione è semplicemente che abbiamo occupato ogni zona
del pianeta che fosse in qualche nodo abitabile, e anche molte che
non lo sono poi tanto. Ad esempio, le zone costiere sufficientemente
comode, accessibili e con clima favorevole sono tutte occupate da
noi. Così, se arriva uno tsunami danni e vittime sono inevitabili.
Uno tsunami su una costa non abitata dagli umani non fa male a
nessuno (gli animali di solito scappano in tempo).
La vita non legata all'uomo, vale a dire animali e piante non
domestici, è relegata a zone sempre più ristrette. Perfino in Africa
la famosa vita selvaggia locale rimane pienamente tale solo nelle
riserve, ed anche là è minacciata dalla caccia di frodo finanziata
da cretini asiatici che credono nei poteri miracolosi del corno di
rinoceronte o delle ossa di leone.
Nel mare, la totalità delle specie selvatiche soggette alla pesca è
in forte diminuzione o addirittura a rischio di estinzione. Gran
parte del pesce che mangiamo proviene dagli allevamenti, ma per
produrre i mangimi destinati alle specie pregiate rese "domestiche"
si pesca anche il pesce non adatto all'alimentazione umana, con
ulteriore depauperamento delle risorse selvatiche. Per non parlare
dell'inquinamento delle acque costiere che l'ittiocultura causa. E
poi i soliti cretini asiatici danno la caccia agli squali per le
pinne e alle balene non si sa per cosa.
Stiamo strizzando la Terra come una spugna per estrarre fino
all'ultima goccia di petrolio e soffio di gas, applicando tecniche
sempre più raffinate anche a costo di devastare territori ed
inquinare le falde acquifere da cui pure dipendiamo (vedi shale gas e
shale oil).
In generale, stiamo consumando le risorse della biosfera ad un ritmo
tale da non consentirne il rinnovo, vedi il rapporto
del WWF del 2010. Secondo tale rapporto, il consumo di risorse
rinnovabili del 2007 era già 1,5 volte quanto la Terra ne produce.
Stiamo consumando infatti risorse non rinnovabili ed erodendo le
scorte del pianeta. Non importa se il clima cambierà o no, tutte le
risorse diventeranno sempre più costose da ottenere ed infine si
esauriranno.
Di fronte a queste affermazioni, gli economisti da sempre rispondono
che il progresso tecnico consentirà di superare tutti i problemi,
perché quando una risorsa diventa cara si stimola la ricerca di
nuove soluzioni per ottenerla o sostituirla, dato che trovarle
diventa più remunerativo, ed inevitabilmente le si trova. Ad esempio
lo shale gas era noto da tempo, ma il maggior costo degli
idrocarburi ha reso remunerativo fare investimenti per migliorare le
tecniche di estrazione.
Però se anche così fosse, l'esito ultimo non potrebbe essere che un
mondo come quello descritto da Isaac Asimov nel racconto 2430
d.C., dove si compie la fine degli ultimi organismi non umani
o non usati dall'uomo come nutrimento sulla Terra (qualche topo,
qualche tartaruga e qualche filo d'erba, curati da un "pazzo" che
teneva a loro). La terraferma tutta trasformata in un'unica cittÃ
umana, il mare in brodo di coltura per microrganismi da trasformare
in cibo con le tecniche del futuro. Nessuna pianta, nessun animale,
nemmeno domestico. Il progresso è misurato in tonnellate di cervelli
umani che il mondo riesce a nutrire.
Sia pure non in modo così estremo, di fatto stiamo già andando in
quella direzione: stiamo efficacemente eliminando tutto ciò che non
è umano o domestico. Di fatto le riserve ed i parchi non sono che
grandi zoo, in via di restringimento man mano che la popolazione
pretende più territorio. Anche nel mare abbiamo già ottenuto di
ridurre la vita selvatica a quello che noi lasciamo sopravvivere,
perché già ora le popolazioni dei pesci dipendono dal rispetto delle
quote di pesca e varie specie, come i tonni, sono in condizioni
assai precarie.
In alternativa, si può solo avere la "decrescita" che, ahimè, non è
mai felice, come spiegava già il buon Adam Smith nella Ricchezza
delle nazioni - perché se le risorse diminuiscono, alcuni se
le accaparrano lasciando agli altri fame e miseria. Solo la crescita
economica fa sì che, nonostante le disuguaglianze, tutti possano
avere dei vantaggi. D'altra parte le disuguaglianze si possono
cancellare soltanto con regimi dittatoriali ferrei che si
incarichino di ridistribuire le risorse. Dato però che in ogni
regime dittatoriale qualcuno comanda con pieni poteri, chi toglie i
privilegi al gruppo dominante? Abbiamo ben visto come sono finiti i
sistemi del socialismo reale.
Del resto, se si riduce l'economia si riduce la popolazione e se
questo avviene in modo "naturale", pochi giovani devono mantenere
molti vecchi. La Cina si è messa in queste condizioni con la
politica del figlio unico - vedremo come finisce l'esperimento.
L'Italia ha fatto lo stesso grazie all'assenza di qualsiasi politica
della famiglia, ma l'arrivo degli immigrati ci evita il declino
numerico.
Se no, ci sono sempre guerre, malattie e fame per ridurre la
popolazione.
Quindi povertà, dittatura e morte, oppure la realizzazione di un
mondo agghiacciante, la Terra trasformata in alveare umano. Più
probabilmente tutto insieme, con lo scatenarsi di conflitti per le
risorse accompagnati alla distruzione ambientale. Già sta accadendo:
guerre e violenza per accaparrarsi le risorse rare, accompagnate
dalla devastazione dei territori - pensiamo ai vari casi di
conflitti interni alle nazioni dell'Africa, dalla Nigeria col suo
petrolio al Congo con i suoi minerali rari.
Che cosa si può fare?
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Pianeta vuol dire corpo celeste
Chiamiamo tutti i giorni la nostra Terra col termine pianeta. Ma un pianeta è un tipo di
corpo celeste! La Terra non è, come credevano gli antichi, il centro
dell'universo, ma un corpo che ruota attorno al Sole, il quale a sua
volta è una stella di tipo comunissimo.
E' particolarmente significativo che la chiamiamo pianeta,
perché un pianeta è tale se lo si guarda dal di fuori, se è un
oggetto luminoso in cielo. Chiamare pianeta ciò che abbiamo
sotto i piedi significa riconoscere che non è diverso dai punti
luminosi che si vedono lassù.
Non ci rendiamo conto del significato vero della parola pianeta
perché, come dicevo, abbiamo espulso il cielo stellato dal nostro
mondo. Come abbiamo espulso la legge morale, del resto, annientando
entrambi i riferimenti di Immanuel Kant (Critica della ragion
pratica, Conclusione):
Due cose riempiono l'animo di ammirazione e venerazione sempre
nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione
si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me e la legge morale
in me.
Lasciando da parte la morale, di cui peraltro sembrano tutti
dimenticarsi oggi, torniamo al cielo stellato. Forse è il momento di
pensare al semplice fatto che il 100% dell'universo tranne una quota
trascurabile è là fuori.
Non si deve nemmeno andare lontano, ogni tanto ci cade qualcosa in
testa, pensiamo al bolide di Celjabinsk del 15 febbraio 2013.
C'è un modo per sfuggire al destino descritto prima, ed è uscire da
questo pianeta e farsi strada nel resto dell'universo, cominciando
dai corpi più vicini, ma anche imparando ad usare lo spazio stesso.
Non è fantascienza ma l'unica via che abbiamo. E i mezzi ci sono, se
soltanto l'astronautica non si fosse fermata per un quarantennio
(tralasciamo questa storia per ora) l'uscita dalla Terra sarebbe una
realtà attuale. Gli studi su come sfruttare le risorse lunari, ad
esempio, risalgono agli anni '70 del secolo scorso ed erano
considerati l'ovvio esito dello sbarco sulla Luna - ovvio per i
tecnici e gli scienziati, non per il presidente Nixon troppo
impegnato con la chiusura della guerra in Vietnam, il
riavvicinamento alla Cina ed i suoi guai personali.
Non parlo di esplorazione o di avventura, ma di sfruttamento
economico e popolazione. Ogni volta che si parla di spazio si ricade
o sulla scienza o sulla pura avventura. Certo questi sono i
primi motivi per affrontare qualunque nuovo ambiente, ma si tratta
di una fase già superata, ora si deve parlare di sviluppo dello
spazio dal punto di vista dell'economia e presto anche della
presenza umana costante, non per scopi scientifici ma per lavoro e
vita in generale.
Tanto per fare un esempio, ci si possono procurare i minerali rari
cercandoli sugli asteroidi invece di fomentare guerre civili in
Congo. Certo, costa meno il sangue di un congolese... per ora. O no?
Per me non è neanche vero che mantenere la violenza costa meno. La
si mantiene perché i violenti difendono il loro ruolo con mezzi
efficaci. Se non ci fosse tanta violenza e una tale prospettiva di
conflitto nel mondo, le nazioni spenderebbero tanto nel settore
militare? La verità che nessuno vuole sentire e che non mi stanco
mai di ripetere è che basterebbe dedicare una frazione delle spese
militari all'avviamento dell'economia spaziale per dare una
prospettiva alla gioventù mondiale, eliminare le ragioni di
conflitto che anche ora costano morte, miseria e disperazione in
modo intollerabile, uscire dalla crisi economica e salvare
l'ambiente terrestre.
Certo a chi dispone di grande potere ora e qui sulla Terra lo spazio
non piace molto, perché è evidente che i coloni spaziali non saranno
soggetti all'egemonia terrestre, una volta svincolati dalle risorse
del pianeta madre. D'altra parte da queste risorse dovranno
svincolarsi immediatamente, perché l'unico modo per consentire lo
sviluppo nello spazio è fare a meno delle risorse terrestri. Ma
l'ossessione per il controllo è evidentissima anche nei nostri paesi
cosiddetti democratici. Vediamo bene come ogni giorno si
aggiunge qualche nuovo metodo per raccogliere informazioni e porre
vincoli ai cittadini.
Il primo pensiero di qualunque governante, in qualunque regime, è
come mantenere il potere. La creazione di colonie fuori del pianeta
Terra significherebbe creare comunità in grado di svincolarsi
rapidamente da qualunque forma di controllo, il che dà molto
fastidio ai potenti. Quelli che non si possono controllare sono
visti come potenziali delinquenti e terroristi- inutile dire che il
crimine organizzato ed il terrorismo sono invece parte integrante
del sistema di potere di questo vecchio mondo, il suo versante
oscuro.
Chi vuole veramente essere democratico e favorevole allo sviluppo
non può che essere, invece, favorevole all'idea dell'espansione
nello spazio. Ci sarà davvero qualcuno capace di raccogliere la
sfida? Negli Stati Uniti ci sono alcuni imprenditori ed alcuni
politici locali che stanno agendo in questo senso, e l'idea dello
sviluppo nello spazio sta cominciando a fare breccia, almeno nella
comunità aerospaziale. Ad esempio si può vedere questo
articolo di Space Review che paragona la situazione dello
sviluppo spaziale a quello degli albori dell'aeronautica.
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Che cosa può fare l'Italia
Perché non potrebbe essere l'Italia a lanciare l'economia spaziale?
Abbiamo un'industria aerospaziale di prim'ordine, che ha
effettivamente costruito i moduli abitabili "americani" della ISS,
il lanciatore leggero europeo Vega, la navicella Cygnus della
Orbital, solo per fare qualche esempio.
La mia proposta rimane quella di dare priorità allo spazio con lo
scopo di far crescere l'industria nazionale, che già esiste, e
compensare una parallela riduzione delle spese militari. Queste
ultime, infatti, si giustificano unicamente, nel settore
aeronautico, con lo scopo di mantenere l'industria del settore, che
però è la medesima che può dedicarsi, per affinità tecnologica, al
settore spaziale.
La mia proposta riguarda lo sviluppo, in particolare, delle capacità
progettuali e non solo produttive. Se, per confronto e senza volersi
pronunciare su altri aspetti della questione, consideriamo il caso
del caccia F35, vediamo che per quest'ultimo si è voluta accettare
la proposta americana di fare dell'Italia un centro di produzione.
Ma la tecnologia è totalmente americana e la posizione
dell'industria italiana è assolutamente subordinata. Spendiamo
grosse cifre per mantenere certamente posti di lavoro, ma
pregiudichiamo il futuro relegandoci ad una posizione di puri
esecutori.
Ma perché, invece, non investire cifre anche molto meno impegnative
nel settore spaziale? Per fare un confronto, la spesa totale
sostenuta dalla sola Italia per gli F35 è dell'ordine di 10 volte
quello che spende la NASA per il contratto con SpaceX, che include
lo sviluppo del veicolo Falcon/Dragon e 12 missioni di rifornimento
alla stazione spaziale internazionale. Quindi anche in un momento di
gravi ristrettezze spendiamo cifre imponenti per il settore
militare. Non possiamo spendere, diciamo un decimo di quello, per il
futuro della nazione e dell'umanità - una spesa che sarebbe un
investimento esattamente nello stesso tipo di industrie di
tecnologia avanzata?
Non sono fantasie. Ho già parlato su questo sito della nascita di
Space Renaissance Italia, in
questo articolo. Ci sono proposte concrete, leggete questo articolo
di Orbiter dove si parla del progetto Hyplane.
Questo è l'unico modo per uscire dalla crisi, puntare al futuro.
L'Italia non può vivere solo di turismo e buon cibo, che non
guastano, ma non bastano per una nazione di quasi sessanta milioni
di persone! E le automobili possiamo pure lasciarle agli
americani...
Alberto Cavallo
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