PETROLIO: CRISI EPOCALE?
Prezzi alle stelle, produzione insufficiente, ma è una
crisi transitoria o la fine di un'era?
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Pagina pubblicata l'8 agosto 2004
Indice
Il prezzo del petrolio alle stelle
In questi primi giorni di agosto del 2004, mentre si completano le
partenze degli italiani per le vacanze, il mondo è scosso non
tanto dalle solite notizie di
guerra e terrorismo - in fondo siamo abituati ai morti quotidiani in
Iraq e Palestina, sugli altri in genere ci viene risparmiata
l'informazione - ma soprattutto dallo smisurato incremento del prezzo
del petrolio, che ormai è sulla soglia dei 45 dollari al barile,
nonostante l'Opec abbia portato alla sua produzione al livello record
di tutti i tempi. La ripresa economica mondiale è minacciata, il
mercato sembra sfuggito ad ogni controllo. Il problema è molto
grave e richiede un'esame attento, più ancora di quanto non
sembri a prima vista.
I media ci assillano con la questione del prezzo della benzina,
mostrando una profondità di visione uguale o inferiore a quella
del frequentatore medio dei bar dell'angolo. Potremmo sussurrare che,
tanto per cominciare, ormai occorrerebbe parlare di prezzo del gasolio,
perché in Italia si vendono quasi soltanto vetture Diesel... Ma
il punto non è questo. Cerchiamo di capirci qualcosa di
più.
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L'analisi convenzionale
Per comprendere la situazione del mercato petrolifero mi sembra giusto
cominciare da un'analisi economica convenzionale, come quella fatta dal
prof. Deaglio nell'articolo di giovedì 5 agosto su La Stampa.
Se i prezzi salgono, vuol dire che la domanda eccede l'offerta,
dicono i principi elementari del mercato. La domanda sta
crescendo per un motivo ben preciso prevalente su tutti: l'Asia
meridionale e orientale, e soprattutto la Cina, stanno
aumentando in modo straordinario i loro consumi di tutte le materie
prime e di energia, quindi anche di petrolio. Prestiamo attenzione: la
Cina oggi consuma la metà del cemento del mondo, un terzo del
ferro, ed è diventata il secondo consumatore mondiale assoluto
di petrolio e derivati. Considerando i tassi di crescita attuali, in
pochi anni sarà la prima consumatrice di petrolio, e la sua
economia supererà anche quella degli Stati Uniti d'America.
Questo non è un fattore contingente: nessuno pensa che la
crescita asiatica, soprattutto quella cinese, si possa fermare tanto
facilmente. Si è presentato sulla scena mondiale un nuovo
protagonista che sarà difficile, probabilmente impossibile
scacciare.
L'offerta frattanto è andata in crisi. C'è un
fattore a breve: il colossale errore di calcolo politico e
militare commesso dagli USA in Iraq. Il potenziale secondo
produttore mondiale di petrolio è quasi inattivo, perché
gli Stati Uniti sono riusciti ad invaderlo ma non a prenderne il
controllo. Al di là di qualsiasi considerazione morale, che ho
fatto in altre occasioni, qui si tratta in primo luogo di un enorme
sbaglio. L'idea di conquistare l'Iraq faceva parte di una linea
strategica razionale, che andremo a discutere più avanti, ma i
fatti hanno dimostrato che Stati Uniti oggi hanno la capacità di
vincere
una guerra in breve tempo, ma non di controllare il territorio del
paese sconfitto, per il banale motivo che per controllare un territorio
ostile anche oggi, nel XXI secolo, occorrono le vecchie, povere truppe
di terra armate di fucile e lanciagranate, e non portaerei nucleari,
bombardieri invisibili e missili da crociera. E magari anche un
servizio segreto efficiente, che si basi sui buoni vecchi analisti
esperti del paese nonché agenti e informatori dislocati sul
territorio, e non soltanto su foto da satellite ed esuli tanto
accomodanti quanto truffaldini, come il famigerato iracheno Chalabi,
della cui inaffidabilità si sono accorti da troppo poco tempo.
A questo si è aggiunta la crisi della società
russa Yukos, il cui scontro con le istituzioni di Mosca ha
raggiunto il massimo dell'intensità, con l'imposizione
dell'amministrazione
controllata. Si tratta chiaramente di uno scontro politico, tra
dirigenti pronti a fare affari in contrasto con gli interessi dello
Stato e un governo ormai sempre più autoritario ed orientato a
ricostruire la Russia come potenza, quindi necessariamente nemico di
una società privata troppo autonoma.
Il terzo punto critico dal lato dell'offerta, il più grave,
è
che gli altri produttori sono
già al massimo o quasi della loro capacità. In questi
anni le ricerche di giacimenti e le realizzazioni di nuovi impianti
estrattivi hanno proceduto con grande lentezza, in presenza di una
domanda fiacca. Oggi tutte le attività industriali che
richiedono tempi lunghi per la predisposizione degli impianti sono in
crisi, perché la finanza mondiale premia tutto ciò che
rende a brevissimo periodo, quindi nessuno investe a lungo termine in
sistemi ed impianti che richiedono grande impiego di capitale con
ritorni decennali. Così accade che restiamo senza petrolio,
senza energia elettrica, senza acciaio...
Quest'analisi è sufficiente per farci capire che non si tratta
di spendere qualche centesimo in più al litro per il gasolio
della nostra auto diesel in
attesa che il prezzo torni a scendere. Occorrono azioni strutturali sul
mercato perché la situazione cambi stabilmente. Ma è
tutto qui?
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L'economia dominata dalla finanza e il
distacco dalla realtà
Prima di affrontare il tema centrale dell'articolo, è ancora
necessario un approfondimento su uno dei motivi della scarsità
di offerta di petrolio.
Oggi l'economia mondiale è controllata totalmente dal sistema
finanziario, e non più dagli imprenditori. Immensi
capitali si spostano letteralmente alla velocità della luce,
grazie ai sistemi telematici, alla
ricerca della massima redditività a breve e brevissimo periodo.
Le borse stanno passando sempre più ad una gestione
parzialmente o totalmente automatizzata, non solo delle operazioni in
senso stretto ma anche delle decisioni quotidiane
di acquisto e vendita. In questa situazione, tutto ciò che
richiede pianificazione a lungo termine e paziente costruzione di
organizzazioni, strutture, impianti produttivi diviene un impaccio.
Stiamo assistendo al disfacimento dei vecchi gruppi industriali, non
importa se pubblici o privati, gestito sulla base del puro e semplice
guadagno finanziario. Il valore delle azioni di un gruppo industriale
non tiene in nessun conto il loro contenuto
materiale, il valore intrinseco legato al fatto di rappresentare quote
di proprietà di strutture e mezzi produttivi, ma soltanto
fattori a brevissimo termine, in pratica riconducibili alla
probabilità di plusvalenza nel breve periodo. Questo mercato
finanziario
globalizzato è una struttura folle che ha perso ogni contatto
con la realtà ed agisce come un elemento impazzito, come un
uragano o un'alluvione che imperversa sul mondo produttivo seminando
morte e distruzione. Questa situazione è giustificata per mezzo
dell'ideologia del
libero mercato, che ormai è vuota di ogni contenuto, essendo
venute meno tutte le sue premesse, ammesso che mai abbiano avuto
valore. La prima e fondamentale premessa di tutte le teorie economiche
è che gli operatori finanziari siano razionali, con il
che si intende che siano orientati a perseguire il guadagno e non la
perdita attraverso scelte logiche. Peccato che la ragione sia tale
quando tiene conto di tutti i fattori. Gli operatori di oggi per lo
più guardano a indicatori istantanei e si servono di regole
sempre più avulse dall'aspetto materiale dell'economia. Il primo
principio dell'economia di oggi è che gli operatori non
conoscono la realtà materiale del mondo, né se ne
preoccupano minimamente. Quindi sono totalmente irrazionali.
Soltanto l'esistenza di elementi di tipo diverso, come le vecchie
famiglie industriali, compensa in alcuni casi questa situazione. Si
tratta però di lotte di retroguardia, con scarse
probabilità di successo. Consideriamo il caso della Fiat:
all'ultimo istante la
famiglia Agnelli, segnata dalle tragedie personali dei suoi membri
più in vista, ha tentato di salvare l'azienda affidandola ad un
uomo di grande notorietà e prestigio. La logica seguita non
è
affatto quella imperversante, del mercato finanziario impazzito, ma
quella tradizionale per cui una grande azienda è un valore in
sé che vale la pena di conservare, anche a costo di sacrifici
economici e umani notevoli. Dal punto di vista della presunta razionalità
del mercato, sarebbe il caso di svendere tutto finché vale
ancora qualcosa; la logica antiquata della proprietà
invece cerca di rimettere in piedi la struttura produttiva ancora in
crisi. Ha senso? Non sappiamo ora se il tentativo riuscirà, ma
di senso ne ha parecchio. Perché l'industria automobilistica
è un settore di grande complessità, dove un'azienda non
si può creare dal nulla in poco tempo. Ci sono strutture
produttive complesse e costose che richiedono grandi investimenti
nell'arco di tempi lunghi, e soprattutto c'è il capitale umano,
un patrimonio di competenze tecniche ed organizzative difficile da
ricostruire se andasse completamente perduto.Questi temi sono stati
efficacemente affrontati dal sociologo Luciano Gallino nel suo libretto
La scomparsa dell'Italia industriale, pubblicato l'anno scorso
da Einaudi.
Se analizziamo bene il comportamento dei governi dei Paesi più
importanti, non possiamo fare a meno di accorgerci che i principi del
libero mercato tanto sbandierati sono spesso traditi proprio dai loro
più accaniti sostenitori. E' stato l'ultraliberista Bush quello
che non ha esitato ad imporre dazi sull'acciaio importato per
proteggere la siderurgia americana in crisi, scatenando uno scontro con
l'UE presso l'Organizzazione Mondiale del Commercio (il famigerato WTO).
Ma come spesso accade a forza di sostenere un'ideologia si finisce per
crederci. I petrolieri, che tanto potere hanno nel mondo, hanno
trascurato di investire in nuovi impianti estrattivi e oleodotti. O no?
Si può dire senz'altro che si sono orientati all'accaparramento
dell'esistente anziché alla ricerca del nuovo.
Non si può fare a meno di notare, infatti, che i
petrolieri americani hanno passato gli anni a tramare contro tutti
coloro che minacciavano il loro quasi totale monopolio mondiale. I
disastri politici e
militari di Afghanistan e Iraq nascono da tentativi di estromettere e
aggirare paesi considerati nemici come l'Iran o solo parzialmente amici
come la Russia. Ad esempio, da decenni si cerca di far passare un
oleodotto in Afghanistan per collegare i giacimenti dell'Asia centrale
ex sovietica con i porti del Pakistan, evitando il percorso naturale
che coinvolgerebbe l'Iran. Peccato che nessuno sia mai riuscito ad
ottenere il controllo del territorio afghano, sebbene ci abbiano
provato parecchi imperi nella storia, dalla Persia all'Inghilterra alla
Russia prima zarista poi comunista. Non l'ha mai ottenuto nessuno, come
non lo stanno ottenendo ora gli esponenti del novello impero mondiale
di Washington.
Lo situazione politica del petrolio, se è lecita l'espressione,
è drammatica. Il maggior produttore mondiale è l'Arabia
Saudita, una monarchia assoluta teocratica completamente corrotta, la
cui famiglia reale è odiata dalla quasi totalità della
popolazione, che segue però fedelmente la versione estremista e
bellicosa dell'Islam che la stessa famiglia reale da sempre favorisce.
Col risultato che un paese considerato amico dell'Occidente è
anche il centro mondiale del terrorismo islamico, sebbene la cosa non
sia chiara all'opinione pubblica. Ma non è un caso che il
personaggio considerato il capo della maggiore organizzazione
terroristica mondiale (ammesso che esista, che sia il capo e che la sua
organizzazione esista e sia veramente la più importante, tutti
punti da dimostrare) è un esponente della più importante
famiglia imprenditoriale del regno saudita, i bin Laden. Qui da noi
nessuno si rende ben conto che è come se il capo delle Brigate
Rosse fosse
un cugino di Berlusconi.
E' chiaro che un Saddam Hussein, nemico dell'Occidente ma anche dei
sauditi in quanto (orribile a dirsi) laico e con un vicepresidente
cristiano, doveva essere distrutto, per il bene delle famiglie Bush e
ibn Saud. E bin Laden, direi. Il monopolio del petrolio deve restare
saldamente nelle solite mani, specialmente ora. Il fatto è che i
grandi petrolieri invece di investire in impianti investono in guerre e
destabilizzazioni regionali, collegate a progetti più o meno
irrealizzabili come l'oleodotto in Afghanistan.
La produzione interna degli Stati Uniti è in calo fin dagli anni
70 del secolo scorso, tanto che oggi più di metà del
petrolio consumato negli USA è importato. Si capisce quindi
quanto sia vitale per loro mantenere il controllo della maggior
quantità di risorse possibile.
Emerge una situazione in cui l'ideologia neoliberista ha talmente
pervaso le menti che nessuno si rende contro delle possibilità
alternative, e tutti inseguono il vantaggio immediato, cercando di
conquistare la posizione di massimo vantaggio con ogni mezzo,
accaparrandosi le risorse esistenti e note, a costo di scontrarsi anche
in guerra con chi si oppone. L'invasione dell'Iraq era perfettamente
sensata in questo contesto, salvo che i suoi autori non si sono resi
conto di non avere i mezzi per controllare il territorio dopo la
conclusione del conflitto. Hanno terribilmente sopravvalutato le
proprie capacità e quelle della macchina bellica americana,
insuperabile sul campo di battaglia ma inservibile di fronte a forze
paramilitari radicate sul territorio, ideologizzate e ben decise a
sacrificarsi in azioni anche suicide. Quel distacco dalla realtà
del mondo di cui parlavamo più sopra è qui manifesto: per
chi comanda il mondo, il petrolio è una risorsa che si
controlla tramite i calcolatori della borsa di Wall Street e le
supertecnologiche forze militari americane, non un
fluido oleoso che scorre in condotte che pochi straccioni armati di
esplosivo possono far saltare in aria come e quando vogliono.
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La vera crisi
Abbiamo brevemente accennato alle cause immediate ed a quelle
ideologiche della crisi petrolifera in corso. Ma non abbiamo affrontato
il punto cruciale, per nulla nascosto, dell'intera questione: qual
è la reale disponibilità di petrolio al mondo? Questa
crisi finirà o è soltanto l'inizio di qualcosa di molto
più grande?
Il professor David Goodstein del California Institute of Technology,
che in lingua corrente possiamo chiamare "il mitico CalTech", ha
presentato all'ultima Fiera del Libro di Torino un libretto molto
istruttivo, pubblicato in Italia dall'altrettanto mitica
Università Bocconi. In italiano si intitola Il mondo in
riserva, e contiene un'analisi molto completa ma espressa in modo
semplice ed accessibile ai non tecnici dell'intero problema energetico
mondiale.
Possiamo riassumere la situazione in pochi punti base:
- oggi il mondo va a petrolio, l'intera nostra civiltà si
basa sul suo consumo;
- esistono fonti alternative, ma si fa poco o niente per
svilupparle;
- il petrolio a basso costo finirà prima di quanto si pensi.
Goodstein ci spega che, come dimostrò a metà del secolo
scorso un certo Hubbert , geofisico della compagnia
petrolifera Shell, la crisi di una risorsa come il petrolio non si ha
quando la risorsa finisce, ma quando ne resta ancora la metà.
Per essere un po' più precisi, quando la produzione smette di
crescere o, per i matematici, quando il consumo cumulato raggiunge il
punto di flesso. La sua teoria è stata pienamente confermata
dall'andamento della produzione di petrolio degli Stati Uniti, che ha
raggiunto il suo punto di fine della crescita parecchi anni fa, nel
1970. Da allora la produzione americana continua, ma è in
costante calo, con la conseguenza che gli Stati Uniti importano
quantità crescenti di petrolio dall'estero. Ma anche per il
mondo intero verrà il giorno in cui la produzione di petrolio
smetterà definitivamente di crescere. Oggi abbiamo un arresto
dovuto a motivi contingenti, come la guerra in Iraq e le vicende della
Yukos in Russia, ma un giorno verrà il punto di flesso vero, il
giorno in cui metà del petrolio del mondo sarà stato
consumato. Attenzione però: il fattore nuovo più
importante è lo sviluppo accelerato della Cina, di cui
le previsioni fatte fino a poco tempo fa non tenevano conto.
Gli economisti affermano che non sarà un problema, perché
quando il petrolio comincerà a scarseggiare il suo prezzo
salirà, rendendo competitive altre fonti di energia, che
potranno così sostituirlo senza tanti problemi. Abbiamo appena
visto quale sia il distacco dalla realtà degli economisti, che
confermano spesso la barzelletta per cui l'economista è quel
tale che ci spiega oggi perché le sue previsioni di ieri erano
sbagliate. Guardiamo la realtà: il prezzo del petrolio è
salito a quasi 45 dollari al barile, e tutti parlano di sgravi
fiscali sui carburanti, ma nessuno accenna all'opportunità
di ricorrere a fonti di energia alternative.
L'importanza del petrolio per la nostra civiltà è molto
maggiore di quello che sembra al cittadino medio. Certo, tutti i mezzi
di
trasporto, con alcune eccezioni che meritano di essere ricordate,
funzionano con derivati del petrolio. Le eccezioni sono i treni, i tram
e i filobus, che funzionano con l'energia elettrica, che si può
produrre anche con fonti diverse dal petrolio, anche se almeno in
Italia avviene in scarsa misura. Tra l'altro, quando si parla di
veicoli elettrici, tutti pensano alle automobili a batteria, come se
non sapessero che i treni e i tram sono elettrici... A questo ci
conduce il martellamento costante dei media, che pratica un
rimbecillimento forzato della popolazione a ritmo impressionante. Non a
caso, negli Stati Uniti i treni sono diesel e i tram sono una
rarità.
Ma anche l'energia elettrica è prodotta in buona parte bruciando
derivati del petrolio; in Italia l'alternativa più importante
è il gas naturale, che però è legato al petrolio
da molti fattori, sia di mercato sia tecnici. Gas e petrolio sono
risorse affini, presenti nelle stesse aree, geologicamente collegate, e
quindi gestite dalle stesse compagnie, con prezzi solidamente collegati
tra loro.
Si deve aggiungere che molti prodotti di uso comune derivano dal
petrolio:
pressoché tutte le materie plastiche sono prodotte a partire
dagli idrocarburi naturali. Pensiamo poi alle immense infrastrutture
industriali e commerciali che sostengono l'estrazione, il trasporto, la
distillazione, il trasporto dei derivati e la loro distribuzione ai
consumatori: non si tratta di qualcosa di facilmente sostituibile o
convertibile ad altri usi.
Se badiamo ai segnali emersi oggi, il futuro appare tetro: non
c'è alcuna volontà di fare ricerca su altre fonti
energetiche, e non ci sarà ancora per parecchio tempo. Le
società petrolifere hanno efficacemente stroncato tutte le
alternative al momento giusto, si pensi ad esempio alla distruzione
dell'industria nucleare in Italia, avvenuta non a caso nel contesto
di un'alleanza ferrea tra partiti di governo e compagnia petrolifera
nazionale. Dal caso Ippolito al referendum degli anni ottanta, si
è proceduto al sistematico smantellamento di ogni possibile
applicazione dell'energia nucleare, un'alternativa seria e valida al
petrolio almeno nel campo della produzione dell'energia elettrica. Gli
ambientalisti sono stati gli utili idioti della situazione, prestando
ai petrolieri ottimi strumenti di propaganda nei confronti della
popolazione disinformata. Credendo che l'alternativa fosse tra nucleare
e solare, gli italiani si sono resi schiavi del petrolio e del gas. Vi
ricordate il sole che ride con la scritta nucleare, no grazie?
Non ebbe seguito il logo con l'atomo e la scritta petrolio, no
grazie, prodotto dai pochi disperati sostenitori dell'atomo.
Dovreste anche ricordare che il gruppo Ferruzzi, quando propose lo
sviluppo di combustibili per gli autoveicoli derivati dai prodotti
agricoli, invece di ottenere il sostegno del governo e delle
istituzioni finanziarie venne attaccato e annientato. La vicenda si
concluse con la morte di Raul Gardini nel 1993. Intanto in Brasile
è
ripresa la produzione di automobili alimentate ad alcool. Um outro
mundo é possivel?
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Non se, ma quando
E' difficile dire oggi quanto petrolio ancora rimanga al mondo. I dati
pubblicati non sono del tutto affidabili, anche perché le
società petrolifere non hanno un particolare interesse a farsi
fare i conti in tasca, e sono politicamente così potenti da
poter truccare i dati a loro piacimento. Ci dobbiamo chiedere, molto
seriamente, quanto siano imprevidenti piuttosto che disperatamente
consci della situazione. Abbiamo visto infatti come si stiano dedicando
più alla conquista delle risorse già note che alla
ricerca di altre: è miopia o lungimiranza? Il ragionamento
condotto finora presuppone che al momento non vi sia ancora una
scarsità primaria della risorsa, ma soltanto una crisi
contingente. Non sappiamo, però, se
effettivamente rimangano poche possibilità di trovare altre
risorse, nel qual caso la crisi attuale si potrebbe già
considerare come l'inizio della grande crisi finale, o se sarà
sufficiente cambiare atteggiamento, riprendere le ricerche e riordinare
il mercato mondiale, soprattutto superando le tensioni politiche
attuali, per far tornare il mercato ad una situazione stabile di
prezzi moderati. Può darsi che i petrolieri conoscano una
verità terribile e che la loro corsa all'accaparramento delle
risorse con tutti i mezzi sia più sensata di quanto non sembri.
Qualunque sia il caso, però, l'unico dubbio non riguarda
l'eventualità della grande crisi ma soltanto la sua data
probabile. Goodstein dà un intervallo tra i dieci ed i vent'anni
da oggi, qualcuno dice cinquanta. Visto quello che sta accadendo,
sembra credibile la stima più pessimistica: gli ottimisti non
tenevano conto dell'effetto micidiale dello sviluppo accelerato della
Cina e forse anche dell'India, mentre l'accanimento nella conquista
delle risorse note fa sospettare che le prospettive di trovarne altre
non siano buone.
Dobbiamo assolutamente cominciare a prepararci, perché si tratta
di sostituire la fonte energetica fondamentale della nostra
civiltà, ricostruendo una quantità impressionante di
infrastrutture. Il mondo non sarà più come prima.
Dobbiamo scegliere se attendere il momento in cui il prezzo del
petrolio salirà a valori impossibili, affidandoci agli
economisti, oppure agire da persone previdenti e cominciare fin d'ora a
cercare le alternative, in modo che non si abbia una crisi ma una
transizione indolore. La situazione politica attuale non induce
all'ottimismo, il mondo è dominato dai petrolieri (vedi Bush) e
dai loro amici (vedi Berlusconi). Questi personaggi lotteranno fino
all'ultima goccia di petrolio per conservare la loro egemonia.
Perché la fine del petrolio segnerà anche la fine di un
sistema economico basato su determinati equilibri di potere. Le fonti
alternative non saranno probabilmente così centralizzate e
controllabili come il petrolio: l'energia solare e le biomasse, ad
esempio, si producono e si consumano su scala locale e non possono dar
luogo ad un'industria mondiale centralizzata in poche grandi
società. Tenteranno ogni trucco, a partire da un possibile ritorno
al carbone, che precipiterebbe la crisi ecologica mondiale.
La favola dell'idrogeno è uno di questi tentativi di
depistaggio: l'idrogeno
non è una fonte energetica! Occorre produrlo da altre fonti,
e provate ad indovinare qual è la fonte che lorsignori hanno in
mente - si tratta di sostanze ricche di idrogeno che a loro piacciono
molto, dette dai chimici idrocarburi, volgarmente... petrolio e gas!
Se si ricorrerà a nuove fonti di energia, c'è il rischio
che nasca un mondo più democratico... Per questo i signori
dell'oro nero lotteranno disperatamente fino all'ultimo per conservare
il loro potere. Questo fattore non rientra nei conti degli economisti,
che parlano di un mercato astratto che non esiste e non è
mai esistito. I mercati veri sono dominati da altri fattori, come
l'ambizione e la sete di potere, per i quali il denaro è un
mezzo e non un fine, e dall'altro lato la sottomissione e l'ignoranza
della maggior parte delle persone, che non possono far altro che
chinare il capo e cercare di sopravvivere alle crisi politiche ed
economiche come se fossero disastri naturali.
In un contesto neoliberista, nessuno si impegna a fare investimenti
significativi, necessariamente a lungo termine in nuove fonti
energetiche; d'altro canto, chi ci ha provato finora è stato
stroncato con tutti i mezzi leciti ed illeciti dalla lobby che
controlla l'industria del petrolio. Qualche volta per effettiva
applicazione del neoliberismo, spesso usandolo come pretesto
ideologico, ci hanno messi in un vicolo cieco.
Verrà il giorno della resa dei conti petrolifera, senza dubbio.
C'è il rischio serio che sia un giorno di violenza e miseria. Ma
verrà il giorno in cui l'umanità saprà prendere il
destino nelle proprie mani e non dovrà più dipendere da
dominatori tanto sciocchi quanto avidi, capaci solo di causare disastri?
Alberto Cavallo
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Bibliografia
Elenco qui i libri citati, per facilitare il lettore.
GALLINO, LUCIANO, La scomparsa dell'Italia industriale,
Einaudi, Torino 2003.
Un'analisi impietosa del declino industriale dell'Italia, con il ruolo
dei politici e degli imprenditori nella deindustrializzazione del paese.
GOODSTEIN, DAVID, Out of gas: The End of the Age of Oil,
W.W.Norton & C, 2004, trad. it. Il mondo in riserva,
Università Bocconi Editore, Milano 2004.
Un'ottima introduzione generale al problema della politica energetica,
rivolto anche e soprattutto a chi non è un tecnico del settore
energetico.
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