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18 novembre 2001
Alla pagina indice sulla politica
internazionale
Era sempre più evidente, negli ultimi giorni prima dell'offensiva, che gli angloamericani esitavano a dare un appoggio deciso all'Alleanza del Nord, non riponendo fiducia in essa e temendo le reazioni del Pakistan, suo nemico di sempre. Alcuni giornali riportano che a Kabul si accogliessero i soldati del Nord al grido: "Morte ai Taliban" ma anche "Morte al Pakistan". Evidentemente il governo ed i comandi militari americani hanno compreso che la strategia seguita fino a quel momento poteva avere le conseguenze tragiche.
L'azione delle forze aeree angloamericane evidentemente è stata quindi orientata, negli ultimi giorni, contro le truppe talibane schierate a difesa di Mazar-i-Sharif e poi anche di Kabul. E' stato infine consentito all'Alleanza di sferrare il suo attacco, che ha avuto un successo superiore ad ogni aspettativa. La mancanza di informazioni ha reso difficile prevedere questi sviluppi come rende difficile ancor ora l'interpretazione dei fatti.
Non sembra, comunque, che il governo americano abbia il controllo completo degli avvenimenti. Lo dimostra la richiesta che l'Alleanza non entrasse nella capitale, poi disattesa. Ora l'Alleanza del Nord ha espresso chiaramente l'intenzione di rifiutare una significativa presenza militare straniera, in particolare ha chiesto che le forze speciali inglesi lascino il controllo dell'aeroporto militare di Bagram, limitandosi ad un presidio simbolico. Si ha l'idea che gli USA abbiano dovuto accettare la prospettiva di un successo dell'Alleanza del Nord come unica alternativa ad una campagna interminabile attraverso il Ramadan e poi fino alla prossima primavera. Se infatti non si fosse consentito l'attacco ora, il prolungamento del conflitto sarebbe stato certo, con le conseguenze che avevamo prospettato.
La popolazione ha accolto con favore i mujahiddin, probabilmente perché il loro arrivo prelude alla fine del conflitto. Gli abitanti di Kabul conoscono già questi uomini, protagonisti di violenze e saccheggi durante la guerra civile, eppure si sono convinti, forse a ragione, che il loro arrivo faccia rinascere una speranza di pace.
Dietro le quinte, vedo un grande vincitore: il presidente russo Putin, che ha armato l'Alleanza vittoriosa e costretto l'America ad accettare il suo aiuto ed alle sue condizioni. La minaccia islamista si allontana dalle repubbliche ex sovietiche dell'Asia Centrale, i tagiki amici dei russi hanno conquistato Kabul. Il tutto con il contributo dell'America, costretta ad accettare la rinascita dell'influenza russa in Asia per la necessità del momento e la sua debolezza attuale.
Sì, l'America è debole. Non è in grado di fare guerra se non dall'aria, ha bisogno assoluto che le truppe a terra siano fornite da altri. Questo è un segno di debolezza gravissimo: dipendendo dall'alleato del momento, l'America corre il rischio di ritrovarsi ogni volta da capo, a dover combattere contro i propri stessi alleati appoggiandosi ai nemici di prima. Dopo aver fomentato l'islamismo in funzione antisovietica, ora se lo ritrova come minaccia, ma per combatterlo deve ricorrere a truppe islamiche ed all'aiuto della Russia. Avendo affidato la campagna terrestre all'Alleanza del NOrd, dovrà pagarne il prezzo politico.
E' presto per trarre conclusioni. Speriamo comunque che questi sviluppi portino rapidamente alla fine del conflitto armato, consentendo alle organizzazioni umanitarie di fornire a milioni di afghani stremati gli aiuti di cui hanno estremo bisogno per sopravvivere a quest'inverno.
Alberto Cavallo, 18 novembre 2001
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