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Le intercettazioni telefoniche ed altro
Pare che il problema attuale più grave ed impellente per la
nostra povera Repubblica sia costituito dalla mancanza di privacy che
deriva al cittadino dalle intercettazioni disposte dalla magistratura,
e pare anche che tali intercettazioni siano un costo insostenibile per
la comunità. Così il nostro presidente del consiglio dei
ministri se ne occupa assiduamente, insieme a molti esponenti della sua
maggioranza.
Trovo veramente pregevole tale interessamento in difesa della privacy
del comune cittadino, ma forse sarebbe meglio indirizzarlo in altri
ambiti.
Sarà forse perché sono uno dei pochi cittadini italiani,
pochi almeno a dire di Berlusconi, che non ha mai avuto alcun sentore
di
essere intercettato dalla magistratura, sarà forse perché
le continue giornaliere violazioni della mia privacy vengono da fonte
ben diversa da quella della magistratura (telefonate, e-mail,
abbordaggi stradali diretti, suonate al campanello di casa), ma ad ogni
modo non riesco a preoccuparmi delle eventuali intercettazioni a mio
carico disposte dall’autorità giudiziaria e vorrei sapere quanti
comuni cittadini sono realmente preoccupati da questo presunto
problema; in fondo, queste di cui si tratta sono le uniche acquisizioni
di dati personali sottoposte ad un controllo pubblico vero.
Mi sono spesso, al contrario, chiesto che garanzie ho che i miei dati
in possesso di organismi privati, spesso non nazionali, vengano gestiti
correttamente: la risposta è, purtroppo ovviamente, nessuna
garanzia. L’altra sera ho sentito il garante della privacy ammettere
candidamente che anche lui è vittima di telefonate non
autorizzate e non gradite!
A prescindere da enti di spionaggio che tutto possono e vogliono
registrare ( nel recente passato molto si è parlato di Echelon),
i gestori dei più comuni servizi hanno in loro possesso una
quantità di informazioni enorme e, in pratica, incontrollata e
incontrollabile, poiché sono essi a tenere in mano il bandolo
della matassa. Basta pensare ai gestori di carte di credito e bancomat
(che tutto sanno ad elaborano su nostri gusti e movimenti), o ai
gestori telefonici, che hanno in loro possesso l’elenco di tutte le
nostre telefonate.
A proposito di quest’ultimi, una cosa che mi ha sempre meravigliato
è che essi possano consentire (generalmente a pagamento!) la
possibilità dell’anonimato agli utenti che ne fanno richiesta,
di fatto favorendo telefonate varie non gradite; ma di questo non si
occupa nessuno.
In quanto ai costi è certo giusto razionalizzare tutte le spese
della pubblica amministrazione, ma tenendo sempre ben presente il
rapporto costi / benefici di tali spese. Non sono certo un esperto di
indagini giudiziarie, ma, a lume di naso, è molto meno costoso e
più semplice individuare e colpire autori di reati attraverso
l’uso di intercettazioni, sia telefoniche che ambientali, che
attraverso indagini di altro tipo: basta pensare, per esempio, ai costi
ed alle difficoltà di un pedinamento tradizionale.
Ma non è che dietro questo interessamento per la privacy dei
cittadini c’è qualcosa che invece riguarda i promotori
dell’azione? Ho il sospetto di si.
Quando è scattata questa campagna anti-intercettazioni? Quando
la pubblicazione di alcune intercettazioni ha dato fastidio a politici
potenti (per la verità appartenenti a partiti diversi, anche
molto lontani fra di loro).
Allora si è cominciato ad agire come in altri casi di "disturbo
ai manovratori". Partendo dalla constatazione e diffusione mediatica di
disfunzioni e inefficienze effettive, purtroppo troppo diffuse in
Italia, si tenta di eliminare la possibilità di un efficiente
controllo da parte della pubblica opinione sull’operato di
rappresentanti del popolo ed amministratori pubblici, senza nessun
reale attenzione al buon funzionamento delle indagini giudiziarie.
Nel caso specifico, i mass media cominciano a bombardare l’opinione
pubblica con cifre e notizie (in qualche caso con bufale) che danno un
quadro terrificante del sistema intercettazioni. A questo punto si
presenta una legge che, di fatto, annulla o, comunque, riduce
moltissimo la possibilità di intercettare o, meglio ancora, di
pubblicare le intercettazioni.
E qui vorrei tornare su un punto che ho già toccato più
volte in altri scritti.
Chi intraprende la carriera pubblica, sia egli dirigente di partito o
amministratore, deve mettere in conto che questa attività
comporta la rinuncia a gran parte del diritto alla privacy di cui
dovrebbero godere i comuni cittadini. E’ il prezzo che egli deve pagare
per potere intraprendere questa attività, affinché il
cittadino possa essere pienamente consapevole delle qualità
della persona a cui delega la conduzione della cosa pubblica e, in
definitiva, il proprio destino.
Pare che in Italia la classe politica sia di parere esattamente
opposto: il politico deve essere protetto da ingerenze nella sua
attività e nella sua vita privata più e meglio del comune
cittadino!
A tale proposito, una delle cose che trovo più assurde è
il divieto legislativo di indagare sui parlamentari senza il consenso
del parlamento. A parte il fatto che questo rende di fatto
difficilissime le indagini, in quanto l’indagato in questi casi
è persona che in genere riesce a sollevare notevoli barriere di
ostruzione alle indagini una volta avvertito, mi chiedo quali siano i
motivi per i quali non si debba indagare su un parlamentare. Egli
infatti è persona in grado di difendersi da eventuali
imputazione, che eventualmente gli fossero mosse, meglio di un
cittadino comune. Ben altra cosa, invece, è la prerogativa del
parlamentare di non potere essere soggetti ad arresto, e ciò al
solo scopo di evitare turbamento e indirizzo dell’attività delle
assemblee attraverso eventuali arresti pilotati.
Non amo "i lanci di monetine", ma sarebbe meglio riflettere che la
lunga sopportazione di situazioni non corrette in certi momenti porta
la gente a reagire in maniera inconsulta.
Pietro Immordino
Pagina pubblicata il 2 febbraio 2009
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