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Alla pagina indice sulla politica internazionale
(22 aprile 2003). Aggiungo il riferimento ad alcuni degli ultimi messaggi di Rachel Corrie (tradotti in italiano da Traduttori per la pace), la sua testimonianza su quanto accadeva ed accade in Palestina, ed al sito della sua organizzazione. Altri due attivisti sono stati gravemente feriti. Brian Avery, americano, è ferito al volto per gli effetti della raffica di mitragliatrice di un carro armato che ha colpito il muro vicino a lui. Tom Hurndall, inglese, è in coma in ospedale per un colpo alla testa, sparato da un cecchino. Quando gli hanno sparato stava portando in salvo alcuni bambini palestinesi. Entrambi indossavano le "divise" arancioni dell'ISM quando sono stati colpiti dal fuoco dell'esercito israeliano.
Oggi, 16 marzo 2003, nella cittadina di Rafah ed in altre località della striscia di Gaza, le forze israeliane hanno ucciso tre persone, che si aggiungono alle migliaia di vittime di un conflitto insensato ed orribile. Ma c'è una novità: una delle vittime di Rafah è americana. Si chiamava Rachel Corrie, una giovane di 23 anni, schiacciata da un bulldozer corazzato israeliano mentre cercava, opponendo al mostro meccanico il proprio coraggio disarmato, di impedire la distruzione dell'ennesima povera casa di profughi.
Nel giorno in cui i capi dei governi favorevoli alla guerra in Iraq si riunivano in un'amena località di vacanza sull'Atlantico, preparandosi a decidere della vita e della morte di milioni di persone, una fragile ragazza si faceva uccidere per amore della pace. Questo sacrificio prova come i pacifisti possano essere più coraggiosi dei guerrafondai, soprattutto di quelli da poltrona, che non capiscono la differenza fra un videogioco e la guerra vera. E' anche una lezione per quelli che si sacrificano, ma per uccidere altri innocenti. Si può dare la propria vita per una causa in modo assolutamente non violento, ma assai più efficace di un attentato.
I giovani palestinesi che affrontano i carri armati con i lanci di sassi sono spinti da motivi molto concreti e comprensibili: la situazione in cui vivono non offre loro alcuna possibilità, alcuna prospettiva di vita. Ma Rachel poteva rimanere in America a godersi i benefici che le derivavano dall'essere cittadina della capitale dell'Impero. Invece ha scelto di andare in Palestina ad affrontare i carri senza neanche usare i sassi. Altri come lei l'hanno fatto e continuano a farlo, provenienti da tutte le nazioni più ricche e fortunate. Qualche tempo fa chi scrive ha potuto ascoltare direttamente da David Hartsough, uno dei fondatori, i programmi dalla forza di pace nonviolenta. Stanno formando una forza di interposizione disarmata, capace di intervenire ovunque ci sia un conflitto.
Tutti dovrebbero fermarsi ora a riflettere sulla morte di Rachel. Lei sapeva di correre gravi rischi, forse non pensava di morire, ma sicuramente era consapevole di quello che stava facendo: lo sono tutte le persone come lei di cui ho notizia. Esistono dunque oggi, in questo mondo, persone disposte a rischiare la propria vita per motivi altamente morali. La società in cui viviamo è secolarizzata, consumistica, cerca di convincerci che conta soltanto essere belli e sani e ricchi, ma una ragazza di 23 anni sceglie di rischiare la vita ed infine la sacrifica, per difendere persone che forse non conosceva neanche, diverse da lei per fede, lingua, usanze, stato sociale. Ho sentito il dovere di scrivere questa pagina per rispetto di lei, per fare una qualche cosa, pur così infinitamente piccola al confronto di quella che ha fatto lei, per la causa che tentava di difendere, che anzi ha difeso così bene. Perché un'azione buona resta tale, anche se non ha successo materiale diretto. Nessuno può cancellare ciò che Rachel ha fatto, anche se la denigreranno, anche se diranno che è stata una pazza, e tenteranno di farla dimenticare presto. La vittoria e la sconfitta sono cose effimere, ciò che è buono resta buono ed ha valore per sempre.
Duemila anni fa in Palestina un uomo morì, abbandonato dai suoi discepoli, deriso, umiliato, torturato ed infine sottoposto ad un supplizio infamante. Proviamo a pensare se sappiamo ancora comprendere il significato di quell'evento.
Il Papa oggi si è espresso in modo molto forte, ripetendo ancora una volta quello che ogni essere umano dotato di ragione e buon senso, la fede non è necessaria, non può non pensare: la guerra deve sempre essere l'ultima risorsa, prima occorre tentare tutte le altre possibilità. Io non sono un fedele cattolico e spesso sono in disaccordo con il Papa, ma non è per caso che ora sono d'accordo con lui: oggi non ci sono dubbi su quale sia la parte da prendere, dal punto di vista etico. Qualcuno dirà che ci sono leder "islamici" che incitano alla guerra contro l'Occidente, ma è anche vero che Bush si richiama spesso al cristianesimo. In entrambi i casi si tratta di riferimenti falsi ed inaccettabili: nessuna religione predica la guerra aggressiva. Il cristianesimo di Bush è distorto come l'islam di bin Laden.
Oggi, che non vi sono altre superpotenze oltre agli USA, soltanto da loro dipende la scelta tra pace e guerra. Per questo ci opponiamo a quanto sta facendo il loro governo attuale. L'accusa di essere "antiamericani" dimostra soltanto che chi la muove è antidemocratico. E' esattamente il tipo di accusa che un totalitario rivolge agli oppositori: l'essere contro un governo o un regime si configura come colpa in sé, senza guardare ai contenuti. Io auguro ogni bene all'America, perché da lì veniva Rachel, lì ci sono i suoi parenti ed i suoi amici che ora la piangono. Auguro loro, tra le altre cose, che possano liberarsi di George Bush e dei suoi compari. Abbiamo tutti bisogno che l'America ci aiuti ancora una volta, liberando se stessa da quelle persone.
Si parla tanto spesso a sproposito degli americani che sono morti per noi in passato. Oggi Rachel Corrie è morta per noi, facendoci vedere che adesso occorre morire per la pace, non per la guerra. Facciamo in modo che non sia più necessario morire per nessuna causa, che non ci sia più bisogno di eroi.
Alberto Cavallo, 16 marzo 2003
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