CONTRO L'ELEZIONE DIRETTA DEI PRESIDENTI



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Indice

  1. Parliamo ancora di sistemi elettorali
  2. Vantaggi teorici dell'elezione diretta
  3. La mediazione non si può eliminare
  4. Il mandato popolare non è democratico
  5. Per i sindaci funziona
  6. Conclusione: difendiamo la Costituzione!
Alla pagina generale sulla politica italiana


Parliamo ancora di sistemi elettorali

Quest'anno si elegge il nuovo presidente degli Stati Uniti d'America; frattanto, in Italia, si discute di leggi elettrorali e riforme costituzionali. Mi sembra l'occasione giusta per ragionare non soltanto su come eleggere il Parlamento, ma anche sul metodo per l'elezione delle cariche supreme dello Stato.

E' importante riflettere anche su quest'argomento in modo pacato e senza lasciarsi influenzare dalle circostanze politiche attuali.

Indubbiamente è comune l'idea che sia preferibile eleggere direttamente il capo dello Stato o quello del governo, o entrambi, senza far ricorso ai metodi indiretti in vigore nella nostra Repubblica. Cercherò di spiegare perché, a mio parere, è meglio non modificare nulla.

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Vantaggi teorici dell'elezione diretta del capo del governo

Le motivazioni addotte per il passaggio all'elezione diretta delle cariche supreme dello Stato sono simili a quelle per l'adozione di un sistema elettorale uninominale. In effetti si deve riconoscere la coerenza tra i due principi, che trovano la loro applicazione nel modo più compiuto nella costituzione e nelle leggi elettorali degli Stati Uniti d'America.

Prima di tutto vorrei sottolineare che la costituzione italiana è sostanzialmente diversa dall'americana: l'Italia è una repubblica unitaria di tipo parlamentare, gli USA sono una repubblica federale di tipo presidenziale. Il paragone dei sistemi elettorali, se riferito in particolare alla carica del presidente, deve essere fatto con cautela, dato che il presidente americano, ad esempio, assomma le funzioni che in Italia toccano al presidente della repubblica ed al presidente del consiglio. Per chiarezza tratteremo della nomina del capo del governo; gran parte di quello che diremo si può applicare anche al capo dello Stato.

L'assegnazione della carica di presidente del consiglio dei ministri (anche chiamato presidente del consiglio, primo ministro, premier, o capo del governo) in Italia non avviene tramite elezione popolare ma per nomina da parte del presidente della repubblica (anche definito capo dello Stato), sulla base della presunta esistenza di una maggioranza parlamentare favorevole. La prassi vuole che il presidente della repubblica  consulti i rappresentanti dei partiti e dei gruppi parlamentari per verificare l'esistenza di tale maggioranza.

Una volta nominato, il presidente del consiglio sottopone al presidente della repubblica l'elenco dei ministri che quest'ultimo provvede a nominare a loro volta. Dopo l'insediamento, il nuovo governo si presenta in parlamento per il voto di fiducia: in pratica la conferma della nomina del governo da parte dell'organo che, nella repubblica italiana, ha il compito di rappresentare la volontà popolare.

In qualsiasi momento il parlamento può essere chiamato, con procedure dettate dal suo regolamento, ad esprimere nuovamente la sua fiducia al governo o a sottrargliela.

Si sostiene da più parti che questa procedura si presta eccessivamente ai giochi di potere ed ai più svariati compromessi, in quanto il governo scaturisce sostanzialmente dai partiti e dai gruppi parlamentari, mentre la volontà popolare risulta rappresentata solo in modo indiretto tramite il voto di fiducia del parlamento, che può solo approvare o disapprovare in toto il governo. Inoltre il governo è eccessivamente esposto al rischio di un voto di sfiducia da parte del parlamento, normalmente dovuto a disaccordi tra i partiti della coalizione di maggioranza.

L'elezione diretta del capo del governo consentirebbe invece agli elettori di indicare un personaggio di loro scelta, che grazie al mandato popolare potrebbe anche sfuggire alla necessità di costanti mediazioni ed alle trappole parlamentari, che causano la nota instabilità dei governi in Italia.

Soltanto il rapporto diretto tra elettori e capo del governo consentirebbe di garantire la democraticità e la trasparenza della sua nomina, mettendo da parte le mediazioni richieste dalla procedura parlamentare. Le oscure trame delle segreterie di partito sarebbero sostituite da un meccanismo elettorale chiaro e semplice.

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La mediazione non si può eliminare

Con grande rincrescimento devo ora cominciare a smontare il mito della democraticità dell'elezione diretta.

Gli autori della costituzione italiana non erano cospiratori dediti alla creazione di complicati meccanismi istuzionali, con lo scopo di allontanare il governo dalla volontà popolare. La loro prima preoccupazione erano le derive totalitarie, che avevano appena vissuto sulla loro pelle. D'altro canto essi tennero conto della tradizione politica della democrazia europea, che discende in primo luogo dall'esperienza dell'Inghilterra, dove è nato il primo sistema parlamentare moderno.

Il primo punto da considerare è che le forze politiche, economiche e sociali esistono, mentre la volontà popolare immediata (nel senso di non mediata) non esiste. Chi ha partecipato ad una riunione di condominio sa quanto sia difficile mettere d'accordo qualche decina di persone, che per di più sono vicine di casa. Pensare che queste stesse persone, entrando in una cabina elettorale, divengano magicamente capaci di esprimere una coerente volontà collettiva insieme con milioni di altri elettori è evidententemente ridicolo.

La politica nazionale non può che essere il risultato di aggregazioni basate su convinzioni politiche o religiose, interessi economici, appartenenza a categorie sociali e altro ancora. Aspetto fondamentale delle istituzioni democratiche è la difesa della libertà di associazione, che consente a qualunque gruppo, legato dalle più svariate motivazioni, di organizzarsi in modo da poter esprimere la propria posizione influendo anche sulle istituzioni dello Stato. Queste ultime devono essere organizzate in modo da tenere conto di ciò che viene richiesto dalla cosiddetta società civile, che qui possiamo intendere come l'insieme delle strutture non incorporate entro lo Stato stesso.

Il singolo cittadino può influenzare il comportamento dello Stato, esercitando così la sovranità popolare, soltanto servendosi di opportune strutture di mediazione che gli consentano di associarsi a coloro che la pensano in modo simile o che hanno interessi comuni con lui. Tali strutture devono potersi formare ed organizzare liberamente, entro un solo limite: devono accettare le regole costituzionali e quindi rinunciare alla violenza, ricercare il consenso attraverso la libera diffusione delle proprie tesi e partecipare alla vita delle istituzioni dello Stato. Ad esempio, presentando liste di candidati alle elezioni amministrative e politiche.

L'elezione diretta mette il singolo cittadino solo e nudo di fronte all'istituzione centrale. La mediazione di cui abbiamo parlato non scompare, ma diventa invisibile: risiede infatti nella scelta dei candidati. L'elettore trova, infatti, sulla sua scheda pochi nomi, dei quali generalmente solo due corrispondono a candidati con probabilità concrete di essere eletti. Tutte le scelte sono già state fatte, senza il suo controllo. E' altamente probabile che nessuno dei candidati rappresenti adeguatamente il cittadino, tanto probabile da essere certo.

In un sistema elettorale proporzionale, il cittadino ha un minimo di possibilità di scelta coerente con le sue convinzioni ed i suoi interessi. I candidati al parlamento non devono avere necessariamente grandi mezzi personali o il sostegno di organizzazioni molto potenti per avere la possibilità di essere eletti; sia pure con gravi limiti e difficoltà, l'accesso alla candidatura non è impossibile per nessuno.

I candidati ad un'elezione presidenziale diretta, invece, devono necessariamente avere i mezzi per rivolgersi all'intero elettorato nazionale. Mezzi personali o mezzi forniti da qualche organizzazione, che può anche essere un partito o meglio una coalizione. Ma in questo modo abbiamo semplicemente aumentato il potere delle grandi organizzazioni politiche ed economiche, anziché diminuirlo.

In un sistema parlamentare, le minoranze riescono comunque a manifestare la propria presenza; in un sistema basato sull'elezione diretta, soltanto le grandi organizzazioni riescono a partecipare alla competizione elettorale.

Il rapporto personale con l'eletto diventa poi totalmente fittizio. L'elezione di un parlamentare con metodo uninominale potrebbe prestarsi al rapporto diretto con l'elettore, anche se così non avviene in Italia; ma evidentemente l'elezione del capo del governo consente all'elettore di conoscere i candidati soltanto attraverso i media.

L'esperienza americana ha ampiamente dimostrato che in un sistema di elezione diretta la qualità principale del candidato è la telegenicità. I candidati alle elezioni devono essere uomini di spettacolo, non chiaramente grandi attori di teatro ma personaggi televisivi, di bella presenza e con una sufficiente capacità istrionica; il mezzo televisivo poi, fornendo un contatto apparentemente diretto ma totalmente unidirezionale, fa il resto.

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Il mandato popolare non è democratico

Uno degli errori più frequenti commessi dai coloro che sostengono ingenuamente la democrazia consiste nel credere che i tiranni non godano del consenso popolare. In realtà, neppure un tiranno può mantenere il potere a lungo senza un sostanziale consenso dei suoi soggetti, ottenuto con la propaganda. Uno dei meccanismi tipici della propaganda dei regimi dittatoriali consiste nella mitizzazione della figura del capo, al quale si attribuiscono qualità eccezionali. I mali quotidiani che la popolazione deve sopportare sono attribuiti ad opportuni capri espiatori: nemici esterni, oppositori interni, perfino i gerarchi stessi del regime. Un abile dittatore cerca sempre, ad esempio, di far svolgere ad alcuni dei suoi gerarchi il ruolo di oppressori diretti, apparentemente (o anche realmente) responsabili dei provvedimenti impopolari. In questo modo può sempre riguadagnare il favore del popolo facendo cadere in disgrazia un personaggio odiato, al quale attribuisce i più grossi errori del regime.

I dittatori, dunque, godono in genere di un consenso, presunto o effettivo: il mandato popolare! Quasi tutti i colpi di stato antidemocratici vengono presentati come la presa del potere da parte di colui che rappresenta la reale volontà del popolo, contrapponendosi ai rappresentanti del sistema democratico, presentati come deboli e corrotti. Fu il caso del medesimo Benito Mussolini.

Non per niente l'assemblea costituente cercò di inserire nelle istituzioni repubblicane meccanismi di difesa contro questo tipo di personaggi. Ma nel 1946 non esisteva la televisione.

Come abbiamo cercato di analizzare poco sopra, la democrazia si fonda sulla mediazione di opinioni e di interessi. La dittatura si fonda sul consenso diretto ed immediato ad una figura carismatica. Il sostegno politico diretto di milioni di persone ad un singolo uomo, senza alcun tipo di mediazione, è necessariamente irrazionale e può essere basato solo su un'abile propaganda. Oggi il mezzo principale di questa propaganda è appunto la televisione. Le adunate oceaniche esistono ancora, ma come eventi televisivi, e spesso comprendono un concerto rock. Del resto, Mussolini non aveva la televisione ma faceva buon uso del mezzo tecnico analogo allora disponibile, la radio.

Mi rendo conto, a questo punto, di aver dato un quadro fin troppo chiaro del tipo di politico che può chiedere l'elezione diretta del capo del governo (o anche dello Stato), sostenendo l'importanza del mandato popolare. Ogni riferimento a persone reali è tutt'altro che casuale.

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Per i sindaci funziona

I sostenitori dell'elezione diretta spesso adducono un argomento pratico, basato sulla positiva esperienza dell'elezione diretta dei sindaci. Non si può fare a meno di ammettere che, per parecchi aspetti, la riforma che ha portato all'elezione diretta dei sindaci di tutte le città ha vauto successo.

Dobbiamo però richiamare un aspetto fondamentale: l'amministrazione locale e la politica nazionale sono molto differenti.

Prima di tutto, l'amministrazione locale è dedicata a funzioni eminentemente pratiche: far funzionare l'anagrafe piuttosto che la raccolta dei rifiuti o i trasporti pubblici. Il comune non legifera su argomenti di interesse generale, ma prende provvedimenti operativi in ambito locale. E' vero che spesso i comuni italiani emanano direttive su temi generali, ma si tratta di un vero e proprio abuso, spesso caratterizzato da risvolti comici: la provincia italiana è ricca di comuni "denuclearizzati" e sciocchezze simili.

Le funzioni del comune sono tali che la governabilità, dato il suo ambito limitato, può essere ed anzi deve essere privilegiata rispetto alla rappresentatività: rappresentando tutte le opinioni su questioni come i percorsi dei tram si ottiene solo la paralisi, non la democrazia. Il momento di controllo da parte dei cittadini è rappresentato dalle elezioni quadriennali, nelle quali il sindaco dovrebbe essere giudicato in base ai risultati pratici del suo operato e non al suo colore politico. Dove questo non accade la qualità dell'amministrazione degenera.

Anche le dimensioni limitate del territorio amministrato hanno importanza, consentendo un reale contatto tra cittadini e sindaco e riducendo la necessità di mediazione di cui abbiamo trattato in precedenza. Non per niente nelle grandi città possono a volte ripresentarsi i problemi di scarsa rappresentatività dei candidati che sono emersi parlando di capi del governo.

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Conclusione: difendiamo la Costituzione!

Nonostante alcuni innegabili difetti, la Costituzione della Repubblica Italiana è ancora fondamentalmente valida, ed ha svolto la sua funzione per più di cinquant'anni dimostrando di lasciare poco spazio alle derive antidemocratiche. Molti mali della politica italiana non sono dovuti a difetti della costituzione, ma alla sua applicazione parziale e distorta.

Perché esistono le costituzioni? La costituzione è semplicemente l'insieme delle regole fondamentali della vita dello Stato, che si considerano per definizione quasi immodificabili a causa appunto della loro natura basilare, fondante. Oggi si sente spesso parlare di riforma costituzionale, di assemblea costituente: è la dimostrazione che i politici di oggi non hanno alcuna reale sensibilità democratica né senso dell'istituzione. Confondono la gestione dell'istituzione con i suoi principi di base. Alcune affermazioni, come quelle sul mandato popolare che citavo prima, mostrano l'assenza di qualsiasi sensibilità e rispetto per la sostanza della democrazia.

Chi mira a modificare le nostre istituzioni sulla base del modello americano sta scegliendo un riferimento sbagliato perché, purtroppo, la democrazia americana sta degenerando da parecchio tempo. Le istituzioni pensate dai grandi democratici del Settecento sono state svuotate da una forma di capitalismo finanziario che ha imposto il governo del big business. Ad ogni elezione gli americani sono costretti a scegliere tra due marionette, quasi perfettamente intercambiabili tra loro, i cui fili stanno nelle mani dei consigli di amministrazione delle società transnazionali e delle associazioni di interessi economici, mentre gran parte della popolazione è esclusa dal meccanismo della mediazione democratica.

Ci si deve rassegnare al fatto che ciascun momento della vita di una nazione (come di una persona) offre opportunità limitate. Oggi non ci sono le condizioni per migliorare la Costituzione: dobbiamo limitarci a difenderla così com'è, lavorando per far sì che le circostanze cambino e, con la dovuta prudenza, si possa pensare in futuro ai miglioramenti necessari.

La legge che definisce le modalità di elezione del parlamento, invece, deve essere corretta, ma nutro timori sul tipo di riforma che si sta preparando. Ne tratto nella pagina su proporzionale e maggioritario, aggiornata oggi stesso.
 

Alberto Cavallo, 17 giugno 2000

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