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Democrazia difficile
Quello che, ormai da un pezzo, capita in Italia mi suggerisce una
riflessione sulla democrazia, non nuova per me, ma di stretta
attualità.
La democrazia può esprimere in pieno i suoi valori in presenza
di due condizioni essenziali: una classe dirigente animata da forti
motivazioni ideologiche ed in grado di trasmettere tali motivazioni
alla maggioranza della popolazione; comportamenti trasparenti di tale
classe dirigente in maniera che essa sia credibile ed affidabile.
Della trasparenza mi occuperò in altra occasione, oggi voglio
esaminare gli inevitabili guasti prodotti alla democrazia dalla
mancanza di forti motivazioni ideologiche alla luce del provvedimento
sull’edilizia annunciato dal presidente del consiglio dei ministri.
Una classe dirigente fortemente motivata elabora i propri piani
strategici per il raggiungimento degli obiettivi previsti ed, anche in
presenza degli inevitabili accorgimenti tattici volti all’ottenimento
del consenso popolare immediato, non perde mai di vista le motivazioni
di fondo della propria azione. In tal modo si ha una trasmissione delle
idee prodotte da chi (per capacità, possibilità,
disponibilità…) è in grado di esaminare la
complessità del sistema sociale alla maggior parte della
popolazione, che ne giudicherà poi liberamente la
validità e l’accettabilità.
Quando la classe dirigente non ha più forti motivazioni
ideologiche, o non sa più trasmettere tali motivazioni al resto
della popolazione, l’egoismo (individuale o di categoria) diventa la
molla che fa muovere il sistema sociale e questo spinge la massima
parte della popolazione alla ricerca dell’interesse immediato, senza
nessuna visione strategica dei destini della società.
In queste condizioni emerge, in maniera che sembra inarrestabile, la
classe dei furbi, di coloro che sfruttano la situazione di debolezza
sociale per piegare le situazioni vigenti al proprio interesse
personale.
Ma come fare ad ottenere il consenso dei cittadini? Ciò non
è difficile se non vi sono motivazioni ideologiche profonde
largamente presenti e se la classe dei furbi può comunicare con
facilità e senza molte smentite con la popolazione, cioè
se esistono dei media che in maggioranza non sono rigorosi nel
controllo della verità ed in qualche modo dipendono dalla stessa
classe dei furbi. Purtroppo queste ultime condizioni sono largamente
presenti in Italia.
La classe dei furbi procede parallelamente su due binari: da una parte
individua non i veri bisogni ma le debolezze della popolazione e da
corso ad un’azione mediatica che tende a far sentire appagate queste
debolezze, dall’altra, in stretta connessione, persegue i propri
privati e pubblici interessi approfittando della distrazione
dell’opinione pubblica.
Non è un modo d’agire né moderno né nuovo, questo:
venti secoli orsono Augusto divenne imperatore andando fra la gente a
sentire quale erano le esigenze più immediate della popolazione
romana (ricordate il famoso panem et circenses?). Nuovi sono, invece, i
mezzi tecnici per sondare ed indirizzare le opinioni popolari.
Ad esempio, i sondaggi d’opinione telefonici consentono di comprendere
con rapidità, semplicità e a costi bassi l’umore della
gente, per assecondarlo con immediatezza; il mezzo televisivo, d’altra
parte, consente di indirizzare il comune sentire in modo a volte assai
subdolo, per esempio proponendo attraverso sceneggiati e filmati dal
contenuto apparentemente innocente dei modelli di riferimento, modelli
di riferimento che vengono assorbiti incoscientemente dalla frazione
della popolazione meno accorta. Gli imperatori romani si dovevano
contentare del Colosseo e del Circo Massimo!
A questo punto c’è da chiedersi come mai la classe dei furbi si
affidi, da sempre, ad un unico esponente, accettandone di fatto non
solo la guida ma anche le imposizioni. Non ho una risposta certa a
questa domanda, ma penso che gli stessi meccanismi che la classe dei
furbi mette in atto nei confronti del resto della popolazione agiscano
al loro interno. Per esempio, la mancanza di valori ideologici certi,
spesso impropriamente definita pragmatismo, porta ad accettare
facilmente favori materiali in cambio dell’abdicazione alla propria
indipendenza; l’accettazione di modelli sociali che esaltano colui che
ottiene posizioni di privilegio a prescindere dai mezzi usati per
ottenerli spingono alla subordinazione incondizionata a un leader con
disponibilità finanziarie enormi che, oltretutto, sono
facilmente utilizzabili per vincere le resistenze interne.
Chiudo qui questo argomento, ma mi piacerebbe che gli amici che mi
leggono contribuissero a chiarirmelo, e passo a parlare
dell’accadimento da cui questa nota ha preso spunto: l’annunciato
provvedimento sull’edilizia.
Sulla capacità (furberia) di Berlusconi di individuare i punti
deboli degli Italiani non credo ci possano essere dubbi, oltretutto ha
a disposizione tutti i mezzi di indagine per coglierli; la casa di
proprietà è certamente uno dei punti che più
interessano la popolazione. A tale proposito vorrei dire qualcosa che
forse è politically incorrect, ma che ritengo molto
interessante: quando si parla di casa spesso ci si riferisce alla
mancanza di case per la parte più debole della popolazione, ma
si trascura l’esistenza in Italia di un vasto patrimonio edilizio,
praticamente inutilizzato e ciò nonostante in continua crescita;
mi riferisco alle seconde e terze case presenti in ogni parte del paese
ed inabitate per lunghi periodi. Io stesso posso testimoniare di case
che vengono utilizzate per una o due settimane l’anno e basta viaggiare
attraverso questo nostro paese per trovare una grande quantità
di fabbricati in evidente stato di abbandono, con, in qualche caso, un
vicino edificio in costruzione.
Inoltre le abitazioni hanno in larga misura una densità
abitativa che è decresciuta sensibilmente negli ultimi decenni:
anche nelle città con maggiori richieste di alloggi sono
frequentissimi gli appartamenti abitati da una sola persona, spesso
anziana che ha continuato ad abitare la stessa casa, nonostante nel
corso degli anni il suo nucleo familiare, magari in origine numeroso,
si sia dissolto; la richiesta abitativa, inoltre, si accompagna alla
presenza contemporanea di un congruo numero di alloggi sfitti. Certo
è il discorso statistico del mezzo pollo a testa, per cui non
bisogna dimenticare coloro che hanno un disagio abitativo, ma è
una situazione di cui si dovrebbe tenere conto.
La proposta di Berlusconi di consentire liberamente l’ampliamento delle
case esistenti servirà prevalentemente, nelle condizioni
succitate, a favorire la crescita di un patrimonio edilizio
inutilizzato o non necessario, senza di fatto dare una risposta alle
esigenze di chi una casa, in affitto o di proprietà, non
può permettersela. Tale proposta ha, contemporaneamente, un
contenuto demagogico fortissimo: la maggior parte degli Italiani
possessori di una casa ha pensato subito alla possibilità di
ricavare una stanzetta per lo studiolo o per il figlio, di chiudere il
balcone per farne un locale per il cane, di ampliare la casa
inutilizzata al paese per aumentarne il valore, ecc.. In pochi,
pochissimi, hanno pensato all’aumento del degrado territoriale, al
fatto che accanto alla piccola proprietà esiste anche la grande
proprietà che, con gli ampliamenti effettuabili,
appesantirà notevolmente la situazione dei servizi, ecc.
L’idea del provvedimento è nata certamente anche questa volta
dalla necessità per il governo di distrarre l’attenzione
dell’opinione pubblica da altri fatti politici o contingenti, quali la
mancanza di una linea d’intervento globale ed efficace sulla crisi in
atto, i tentativi di svuotare di ogni potere il parlamento, gli
annunciati interventi sulla Costituzione, ecc..
Il meccanismo demagogico in atto sembra, come ho già detto,
inarrestabile; o meglio, se ricorriamo alla memoria storica, si arresta
solo in presenza di eventi di forte impatto sociale, che facciano
riemergere una classe dirigente decisa e capace.
Non credo, però, che sia necessario aspettare la caduta
dell’Impero o la seconda guerra mondiale, spero che oggi basti la crisi
economica in atto.
Pietro Immordino
Pagina pubblicata il 28 marzo 2009
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