L'ITALIA AL BUIO
considerazioni sul sistema energetico italiano (e mondiale)
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Pagina pubblicata il 26 ottobre 2003.
Indice
Blackout in Italia
Il 28 settembre 2003, alle tre e mezza di mattina, è cominciato
il primo blackout nazionale in Italia. L'intera rete elettrica italiana
è collassata, lasciando senza energia l'intero paese. La
rialimentazione è avvenuta con gradualità, a cominciare
dalle regioni settentrionali. A Milano ed a Torino l'energia è
tornata dopo circa quattro ore, nel Sud si è arrivati fino ad
oltre 12 ore per la Puglia e oltre 14 per la Sicilia, ancor di
più in alcune province. La differenza tra Nord e Sud è
stata dunque grande.
Secondo il resoconto del GRTN (il
Gestore della Rete di Trasmissione
Nazionale), la causa scatenante è stata una serie di
interruzioni di linee in Svizzera, che hanno portato all'isolamento di
una parte della rete di alta tensione di quel paese; il carico che vi
transitava si è quindi trasferito sulle linee di connessione
dell'Italia con la Francia, sovraccaricandole. Lo scatto di queste
ultime ha portato alla separazione della rete italiana dal resto
dell'Europa e ad uno sbilanciamento tra potenza generata e domanda di
oltre 6000 MW, pari al 25% circa della domanda in quell'ora notturna di
giorno festivo, con conseguente crollo della frequenza e distacco di
tutti i generatori dalla rete. Questo perché l'Italia importa
costantemente una quota di oltre 6000 MW dall'estero, durante i periodi
di punta per necessità, durante i periodi vuoti come quello che
stiamo considerando, invece, per motivi economici, dato che l'energia
prodotta all'estero costa meno.
Naturalmente gli svizzeri sostengono di aver avvertito in tempo del
problema e che gli italiani avrebbero dovuto premunirsi, mentre gli
italiani affermano che le comunicazioni dalla Svizzera sono state
tardive e parziali, e non hanno quindi consentito loro di prendere i
necessari provvedimenti in tempo per evitare il collasso della rete.
Quest'ultima disputa non ha grande importanza, in realtà. La
vera questione è la condizione del sistema elettrico italiano.
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Una doverosa precisazione
Cari pochi ma affezionati visitatori del sito, molti di voi
penseranno che io sia un insegnante di filosofia o di lettere, o un
giornalista, o chissà che altro. E' vero che ho svariati
interessi culturali, che datano dai tempi del liceo, ma ora devo uscire
allo scoperto e dirvi che sono un ingegnere elettrotecnico, ed il mio
lavoro in questo periodo riguarda la progettazione delle centrali
termoelettriche. Per la prima volta scrivo per questo sito di argomenti
attinenti al mio lavoro, e questo dovrebbe dare una maggiore garanzia
sulla correttezza tecnica dei contenuti (almeno si spera). Comporta
però un'altra difficoltà: io
lavoro, appunto, per una società che progetta e costruisce varie
cose, tra cui le centrali elettriche. Visto che sono il primo a
preoccuparsi dell'influenza degli interessi privati sulle posizioni
pubblicamente espresse, vi segnalo che può esistere un conflitto
d'interessi
su questo tema. Preciso immediatamente che quello che scrivo esprime
unicamente le mie opinioni
personali e non la posizione del mio datore di lavoro. Dovrete
giudicare voi come sempre il valore delle mie opinioni.
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In che situazione siamo
Il sistema elettrico italiano soffre di molti problemi. Secondo le
opinioni e gli interessi in gioco, ciascuno cerca di sottolineare
quelli più consoni alla propria tesi o alla propria ideologia,
creando una grande confusione. Come professionista del settore, sono da
molti anni profondamente amareggiato per l'incredibile
superficialità e gli atteggiamenti ideologici con cui si
trattano questioni così importanti. Cercherò qui di
chiarire alcuni punti fondamentali.
L'Italia ha un sistema di produzione dell'energia elettrica parecchio
diverso da quelli dei vicini, per effetto di scelte effettuate negli
anni ottanta..
Vediamo di dati forniti dal GRTN per il 2001. La produzione nazionale
è stata di 265.965 GWh netti, di cui 53.252 idraulici, 207.274
termici, 4.256 geotermici, 1.177 eolici, circa 5 solari. Inoltre, nel
2001 abbiamo importato dall'estero altri 48.377 GWh. Dal totale
dobbiamo togliere 9.511 GWh utilizzati per i ripompaggi
(vedremo tra poco che cosa sono), portando la produzione effettivamente
consegnata alla rete a 304.831 GWh. Sospendo la valanga di numeri per
dare un po' di spiegazioni.
L'energia idroelettrica è il tipo più importante di
energia rinnovabile ed è stata la prima ad essere utilizzata in
Italia, storicamente. Purtroppo non ci sono grandi possibilità
di ulteriori sviluppi, le risorse disponibili sono già
utilizzate e comunque non vorremmo fare come i cinesi, che stanno
alterando la geografia del paese con i progetti dello Yangtze.
Già da parecchio tempo l'ENEL ha introdotto massicciamente il
metodo del ripompaggio nelle centrali idroelettriche. In
pratica si usa l'energia disponibile da altre fonti durante la notte
per ripompare l'acqua a monte, costituendo una riserva da utilizzare
nelle ore in cui il carico è maggiore. Le centrali a ripompaggio
dell'ENEL sono perfettamente complementari alle esigenze dei francesi,
che hanno tutto l'interesse a venderci energia di notte mantenendo le
centrali nucleari a carico elevato, mentre noi accumuliamo l'energia
nei bacini per utilizzarla di giorno. E' un esempio di uso razionale
dell'energia a vantaggio di tutti.
Nel campo delle fonti di energia non convenzionali, l'Italia ha una
posizione di preminenza per l'uso dell'energia geotermica. I
terremoti ed i fenomeni vulcanici fanno parte dello scenario naturale
italiano, creando danni e preoccupazioni (ma anche fornendoci
meraviglie naturali come il Vesuvio e l'Etna). L'attività
geodinamica del nostro territorio ha anche un altro risvolto meno noto:
i campi geotermici, in particolar modi quelli di Larderello in Toscana.
Il vapore prodotto grazie al calore sotterraneo,
sfruttato nelle centrali geotermoelettriche, dà un contributo
significativo al fabbisogno energetico italiano. Viceversa, la
produzione eolica esiste ma è limitata, a causa soprattutto
della carenza di venti intensi e costanti, che sono l'equivalente dei
campi geotermici o dei bacini idraulici. L'energia solare non ha un
peso significativo per ragioni tecnologiche che meritano un discorso a
parte.
Le centrali termoelettriche italiane sono la nota dolente. Molte sono
vecchie ed a basso rendimento; per ridurre l'inquinamento si è
scelto di convertirne una parte alla combustione di gas naturale
anziché olio combustibile o carbone, ma questo ha causato un
notevole aumento dei costi. La disparità delle opinioni
sull'argomento è dovuta in buona parte a questo: in
realtà occorre costruire nuove centrali o ricostruire quelle
esistenti per motivi di pura e semplice obsolescenza degli impianti,
non per carenza di potenza installata. Per molti anni, infatti, si
è notevolmente rallentata la
costruzione di nuovi impianti, mentre quelli in servizio sono andati
soggetti ad un decadimento forse più rapido del dovuto.
Se guardiamo la curva dei consumi annuali, ci accorgiamo che nel 2001
abbiamo consumato il doppio che nel 1976, ma allora le importazioni
erano trascurabili, oggi coprono il 20% del totale. La crescita delle
importazioni è cominciata in modo deciso nel 1983 e non si
è ancora fermata. Il motivo è brutalmente economico:
l'energia acquistata all'estero costa meno.
L'assenza dell'energia nucleare è una caratteristica del
panorama italiano. Il risultato del referendum sui contributi ai comuni
destinati ad ospitare centrali nucleari fu interpretato come un rifiuto
generalizzato dell'energia nucleare, con conseguente arresto non solo
delle nuove realizzazioni, ma anche del funzionamento degli impianti
esistenti e delle attività di ricerca nel campo. La campagna
mondiale contro l'energia nucleare condotta dagli ambientalisti ha
avuto il suo maggior successo proprio in Italia.
La rete nazionale di trasmissione dell'energia ha anch'essa seri
problemi. In particolar modo sono deboli le connessioni con l'estero,
essenziali per le importazioni di energia, e quelle tra Nord e Sud.
Anche qui ha inciso l'opposizione popolare alla costruzione di
elettrodotti, che ha portato all'arresto di molte realizzazioni
importanti.
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Domande e risposte
Il blackout è stato dovuto alla carenza di potenza
disponibile?
La risposta è chiaramente NO. Il consumo di energia elettrica
nella notte tra il sabato e la domenica è il più basso
della settimana, e c'erano ampie riserve disponibili, come del resto
dichiara il GRTN nella sua nota sull'evento. Si importava energia per
ragioni di costo, e se si fossero accorti che stava succedendo qualcosa
di grave avrebbero potuto incrementare la produzione in Italia
evitando, probabilmente, il blackout. Che è stato dovuto a
problemi della rete, non delle centrali. Anche questi, nel caso
specifico, sono stati dovuti a errori di gestione e non a
problemi degli impianti in quanto tali.
In generale, in Italia la potenza installata è insufficiente?
Se ci riportiamo ai momenti di massimo carico, che sono nelle ore della
mattina dei giorni lavorativi invernali ma ormai anche estivi (per
l'uso sempre più esteso dei condizionatori), vediamo che la
potenza massima assorbita dalla rete è pur sempre inferiore alla
potenza efficiente disponibile degli impianti italiani. Anche in quel
caso si importa soprattutto per convenienza. Tuttavia i margini si
stanno sempre più restringendo, e bisogna aver presente che
occorre avere margini adeguati per sopperire agli eventi imprevisti.
Capita ormai diverse volte all'anno che si debba ridurre forzosamente
il carico per non trovarsi in condizioni di rischio. Quindi per la pura
e semplice esigenza di avere più potenza occorre realizzare
un certo numero di nuovi impianti oppure, meglio ancora, ristrutturare
quelli vecchi,
inefficienti ed inquinanti. L'altro aspetto da considerare è che
la costruzione o il rifacimento radicale (indicato col termine inglese
repowering) di una centrale termoelettrica ha tempi di due-tre anni
solo per la realizzazione, una volta definito il sito, ottenute le
approvazioni ed assegnato il lavoro. Quindi occorre calcolare le
esigenze con un quinquennio buono di anticipo per non trovarsi in crisi.
Sono quindi necessarie nuove centrali?
La risposta è sì, ma non così drammaticamente. Il
vero problema del sistema di produzione dell'energia elettrica italiano
è la sua obsolescenza e lo sbilanciamento delle fonti
utilizzate, con conseguenti alti costi di produzione. Abbiamo bisogno
di alcune nuove centrali ma soprattutto di rimettere a nuovo, in genere
con cambiamenti tecnologici, le centrali esistenti. Abbiamo anche
bisogno di rinforzare la rete di trasmissione dell'energia, sia
verso l'estero sia all'interno, per aumentare i margini di sicurezza.
La scelta di importare molta energia dall'estero si può
ampiamente discutere, ma dovrebbe almeno essere perseguita
coerentemente, rinforzando le interconnessioni.
Ha senso riparlare di energia nucleare?
Abbiamo pagato pesantemente l'abbandono del programma nucleare. La
scelta di non fare nuove centrali, tra l'altro, non comportava
necessariamente la chiusura istantanea di quelle esistenti. L'ENEL, che
era un ente pubblico, si è dovuto accollare un onere economico
enorme per lo smantellamento di impianti efficienti, ed ha dovuto
cambiare i suoi piani di sviluppo. Quest'onere l'abbiamo pagato e
ancora lo paghiamo noi cittadini italiani. Se guardiamo i dati storici
dei consumi di energia, scopriamo un fatto singolare: la scelta di rinunciare
totalmente al nucleare ha portato ad un maggiore ricorso
all'energia nucleare, prodotta però all'estero. I paesi da
cui importiamo energia sono i nostri confinanti, tra cui soprattutto
Francia, Svizzera e Slovenia, che fanno ampio ricorso all'energia
nucleare. C'è da osservare che non solo abbiamo fermato i nuovi
progetti, e questo sarebbe stato coerente con i contenuti del
referendum, ma abbiamo chiuso gli impianti esistenti allora e abbiamo
fermato totalmente la ricerca nel settore. Abbiamo dunque chiuso un
intero settore tecnologico. L'intera questione è stata
trattata in modo isterico e disinformato, sull'onda dell'incidente di
Chernobyl. Oggi sarebbe difficile tornare indietro, perché
è stata fatta tabula rasa. I rischi di cui tanto si ha paura li
corriamo lo stesso, perché tutti i nostri confinanti tranne la
sola Austria hanno molte centrali nucleari; semplicemente compriamo
l'energia nucleare da loro invece di produrla da noi.
L'abbandono della produzione nucleare in Italia ci ha portato a
comprare energia dall'estero e presto ci porterà indietro al
carbone e agli idrocarburi pesanti. Già si sente affermare che
è possibile utilizzare il carbone senza inquinare, cosa
veramente assurda: anche depurando i fumi da tutti i componenti
inquinanti, resterebbe sempre l'anidride carbonica, che è causa
dell'effetto serra e quindi dei cambiamenti climatici (anche se il
governo Bush lo nega). Si parla di metodi per intrappolarla ed
eliminarla sotto forma di carbonato, ma non mi sembra che si possa
sperare di vedere presto impianti del genere, che comunque avrebbero
costi elevatissimi e non sarebbero competitivi sul piano economico.
E' vero che il risparmio è la maggior fonte di energia?
L'Italia ha già una produzione di energia elettrica per abitante
tra le più basse del mondo sviluppato. Se confrontiamo la nostra
produzione di energia elettrica per abitante con quelli di altri paesi,
vediamo che Spagna e Grecia sono più o meno allineate a noi
attorno ai 4,5 MWh/abitante/anno, la Spagna produce un po' più
di noi e la Grecia un po' meno; la Francia produce 1,9 volte la nostra
quota, la Germania 1,5. Gli Stati Uniti d'America sono su un altro
pianeta, con una produzione pro capite che è quasi tre volte
la nostra. Non è vero, quindi, che l'economia e lo stile di vita
italiano sono particolarmente dispendiosi, rispetto a paesi
paragonabili. Anzi, siamo vicini ai dati di Spagna e Grecia, il cui
livello di industrializzazione è più basso del nostro.
Riduzioni sostanziose dei consumi non si ottengono spegnendo le
lampadine in casa, certe affermazioni che sono comparse sui media sono
alquanto ridicole. Sicuramente dobbiamo prendere in considerazione il
consumo energetico quando compriamo un elettrodomestico o un
lampadario, ma questo va più sul nostro bilancio domestico che
sul bilancio energetico nazionale. Certo la politica dell'energia a
basso costo per l'uso domestico ha inciso. L'Italia è l'unico
paese al mondo dove gli utenti privati pagano l'energia meno cara dei
grandi utenti, per via della "fascia sociale", che in realtà
copre la totalità della popolazione. Se pagassimo l'energia
quello che costa, forse la risparmieremmo di più. Il costo
elevato dell'energia sta già da tempo spingendo l'industria a
ridurre i consumi, ed ha spinto le industrie a maggior intensità
energetica a chiudere o a trasferirsi altrove.
Ci sono altre fonti di energia concretamente utilizzabili?
In Italia è già molto diffusa la cogenerazione di
energia elettrica e termica presso la grande e media industria, con
notevoli risultati di efficienza. Questo è stato reso possibile
dal costo elevato dell'energia e da iniziative di vari governi, che
consentivano vari tipi di agevolazione per questi impianti.
Occorre ricordare che se si produce energia pregiata (meccanica e poi
da quella l'elettrica) da energia termica, per il secondo principio
della termodinamica non si può evitare di disperdere una
parte dell'energia iniziale ancora in forma termica. I cicli combinati
gas/vapore oggi producono energia elettrica con un rendimento che
è almeno del 55-56%, ma questo significa che il 44-45%
dell'energia rimane sotto forma termica. Questo calore però
può essere sfruttato come tale, se no viene disperso
nell'ambiente. L'industria cartaria, zuccheriera ed anche quella
automobilistica (e parlo solo di casi che conosco per esperienza
diretta)
riescono ad utilizzare il calore prodotto da impianti cogenerativi per
i loro processi di produzione, con risparmio di combustibile e notevoli
vantaggi economici.
Purtroppo la piccola industria, che ha un peso enorme nel nostro paese,
non può dotarsi individualmente di impianti cogenerativi.
Occorrerebbero iniziative per indurre i piccoli industriali a
consorziarsi in bacini di utenza per sfruttare queste
opportunità. La sempre maggiore frammentazione dell'industria
italiana, purtroppo, non facilita il compito.
Il calore di scarto delle centrali può anche essere usato per il
riscaldamento di case private ed edifici pubblici. Le città di
Torino e di Brescia già oggi hanno grandi impianti di teleriscaldamento
che utilizzano il calore delle centrali a questo scopo. Devo osservare
qui, però, che il teleriscaldamento incontra una forte
resistenza alla sua diffusione, perché va contro l'ordine di
idee dell'italiano medio. Oggi l'Italia è caratterizzata
dall'esistenza di condomini in cui ogni appartamento ha la propria
caldaietta di riscaldamento, perché ogni utente vuole essere
indipendente nella gestione. Qui invece parliamo di avere una "caldaia"
unica non per un condominio, ma per un quartiere o un'intera
città. La diffidenza contro questi impianti, che sono la norma
in tutto il nord Europa, rimane forte e deve essere superata in qualche
modo.
Come si vede, il problema principale è quello di indurre le
persone a considerare un interesse collettivo e non solo quello
individuale.
In Italia, poi, è scarsamente diffusa la produzione di energia
dai rifiuti, che invece è comunissima in altri paesi europei
come Francia, Germania e Svizzera. Il motivo è semplice:
c'è un'opposizione strenua alla realizzazione di impianti per la
produzione di energia dai rifiuti, per il timore che siano inquinanti.
E' inutile dire che i paesi che ho citato hanno fior di esempi di
impianti di questo tipo che non danno problemi. Ancora una volta il
problema sta nella
mentalità italiana: si dà per scontata la cattiva
gestione dei sistemi di pubblico interesse, ma non si è capaci
di organizzarsi per evitarla. Il motivo per cui in Germania gli
impianti sono gestiti bene è che i cittadini sono pronti a
prendere l'iniziativa collettivamente in caso contrario, ma non si
oppongono pregudizialmente alle realizzazioni, perché appunto
sono consapevoli della possibilità di farle andare a buon fine.
Gli italiani prendono l'iniziativa per dire NO a questo o a
quello, mai per costringere gli amministratori a comportarsi meglio.
E le fonti rinnovabili come il vento e il sole?
L'energia eolica ha già un discreto peso nel mondo, ma purtroppo
l'Italia non ha grandi risorse da sfruttare in questo campo. Si deve
anche notare che lo sfruttamento dell'energia eolica ha un impatto
ambientale non trascurabile per via dell'ingombro e del rumore degli
aerogeneratori. Nulla è gratis: non esistono fonti
perfettamente pulite o sporche, si deve sempre fare un bilancio di
vantaggi e svantaggi. Quello che gli ambientalisti rifiutano sempre di
fare.
L'energia solare non è oggi considerabile come un possibile
rimpiazzo per una parte significativa della produzione di energia
elettrica. E' utile in casi particolari, dove altre fonti non sono
disponibili. In realtà il modo più efficiente di
sfruttare l'energia solare è servirsi di quei dispositivi
naturali che sanno raccoglierla e concentrarla nel modo migliore: le
piante. L'uso di combustibili derivati dall'agricoltura
consentirebbe una drastica riduzione della dipendenza dai combustibili
fossili, con notevoli vantaggi dal punto di vista ambuientale ed anche
politico. Infatti ridurrebbe l'importanza geopolitica del petrolio,
togliendo letteralmente il combustibile ad alcune delle peggiori crisi
internazionali. E' evidente, però, che questo danneggerebbe una
delle più potenti lobby mondiali, quella dei petrolieri, che ha
espresso nientemeno che l'attuale presidente USA George W. Bush, il
Conquistatore dell'Iraq (paese secondo al mondo per riserve petrolifere
accertate).
Si parla molto anche dell'idrogeno, che prospettive ci sono? Ci sono
altri combustibili veramente "puliti"?
L'idrogeno non è una fonte di energia, ma un vettore energetico.
Sul pianeta Terra non esiste idrogeno libero in quantità
significative, anche se è l'elemento più diffuso
nell'universo. L'idrogeno è tutto legato chimicamente nei
composti, dall'acqua agli idrocarburi ai componenti dei nostri stessi
organismi. Può essere usato come vettore, proprio come
l'elettricità: bisogna produrlo, per poterlo poi utilizzare.
L'idrogeno gassoso è una sostanza estremamente pericolosa e
difficile da maneggiare, a causa dei gravissimi rischi di incendio e di
esplosione. Avendo una densità bassissima, tanto che viene usato
per gonfiare i palloni e farli volare, deve essere immagazzinato a
pressione altissima in bombole pesanti e ingombranti. Non vorrei mai
guidare un'automobile carica di bombole di idrogeno, in caso di
incidente i rischi sarebbero gravissimi. Le operazioni di rifornimento,
poi, sarebbero altamente pericolose, dato che il gas estremamente
infiammabile deve essere trasferito a pressioni altissime, di centinaia
di bar. Gli idrogenodotti di cui qualcuno parla sarebbero enormemente
più pericolosi dei metanodotti. Il metano ha un intervallo di
infiammabilità molto più ristretto di quello
dell'idrogeno. Questo significa in parole povere che il metano
può incendiarsi ed esplodere soltanto se la sua percentuale
nell'aria rientra in un intervallo ristretto di valori, mentre
l'idrogeno lo fa quasi sempre. Per fortuna entrambi i gas sono
più leggeri del'aria e sfuggono rapidamente verso l'alto quando
si liberano (se la via di fuga è libera); comunque provate a
chiedere qualcosa a chi ha visto un'esplosione di metano, poi
considerate che l'idrogeno scoppia molto più facilmente. Tra
l'altro, ironicamente l'incidente nucleare di Three Mile Island fu
dovuto all'esplosione di una bolla di idrogeno prodotta dal reattore
guasto e intrappolata sotto la cupola dell'edificio di contenimento.
Ma soprattutto, l'idrogeno bisogna produrlo. E come si pensa di fare?
La realtà, al di là di tutte le mistificazioni, è
che si finirebbe col
produrlo dagli idrocarburi, cioè dal petrolio, in impianti
comunque
inquinanti. Non ci libereremmo affatto dal petrolio e da tutte le
conseguenze del suo uso. L'intera faccenda dell'idrogeno mi sembra una
colossale mistificazione, finalizzata a conservare l'attuale dipendenza
dal petrolio e quindi dagli amici di Mr. Bush.
Divagazione sui combustibili per i mezzi di trasporto
Insomma, dovendo scegliere un vettore energetico, non sarebbe
l'idrogeno la migliore delle opportunità. Considerate questo: i
motori a benzina con modifiche trascurabili possono essere adattati per
funzionare ad alcool. Oggi mentre scrivo in Brasile sono in
commercio automobili che possono funzionare indifferentemente a benzina
o ad alcool etilico, intendo dire che il motore è dotato di un
sistema di iniezione che può gestire entrambi i combustibili in
qualsiasi proporzione. L'alcool etilico si può produrre da molte
fonti vegetali diverse, e la sua combustione produce anidride carbonica
e acqua. In realtà produce anche un po' di NOx, dovuti non al
combustibile ma all'azoto contenuto nell'aria stessa; li produrrebbe
anche la combustione dell'idrogeno, cosa che i sostenitori del gas
miracoloso non dicono. Attenzione, che l'anidride carbonica così
prodotta non ha effetto sull'altmosfera, perché le piante da cui
si ricava l'alcool (come tutte le piante) assorbono anidride carbonica
dall'aria per crescere, ed il bilancio finale è pari.
Perché dobbiamo spendere cifre favolose per usare un gas
pericoloso e non disponibile in natura, quando c'è già
oggi disponibile e funzionante una tecnologia a basso costo che
consente di andare in automobile con emissioni inquinanti bassissime e
senza usare il petrolio? Ancora una nota: anche le celle a
combustibile, candidate per utilizzare l'idrogeno senza combustione,
possono funzionare anche ad alcool etilico.
Torniamo a noi
Le celle a combustibile sono dispositivi elettrochimici che producono
energia elettrica direttamente dalla combinazione di un combustibile e
di un ossidante, senza una combustione vera e propria. Sono ampiamente
utilizzate a bordo dei veicoli spaziali, e comnciano a diffondersi per
altri usi. Sono state proposte come utilizzatori tipici dell'idrogeno,
per consentire la produzione diretta non inquinante di energia
elettrica. Come ho spiegato, il problema è come produrre
l'idrogeno; e anche come immagazzinarlo, date le sue caratteristiche
fisiche. A questo proposito, ricordo che la piccolezza della molecola
dell'idrogeno rende inevitabili le perdite e le infiltrazioni di gas.
Ma le celle a combustibile possono utilizzare appunto altri
combustibili, come l'alcool etilico. Che è un liquido molto meno
tossico (siamo in molti a berlo per diletto sotto forma di birra, vino,
grappa... e sappiamo che per ridursi male ci vuole un certo abuso) e un
po' meno infiammabile della benzina. E perché non usarlo,
allora? Forse perché qualunque paese potrebbe produrlo da
sé con sottoprodotti dell'agricoltura, rompendo l'oligopolio dei
petrolieri?
La teconologia dell'idrogeno sarebbe complessa, costosa ed adatta ai
grandi monopoli. La tecnologia dei combustibili derivati
dall'agricoltura
sarebbe economica, semplice, già nota e
disponibile, e poco adatta ai monopoli. A voi la scelta.
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Proposte per il sistema energetico italiano
Dalle risposte che ho dato possiamo cercare di ricavare sinteticamente
una linea d'azione che una persona ragionevole possa sostenere, per
l'intera questione dell'energia, non soltanto elettrica.
Certamente occorre rimodernare il parco delle centrali termoelettriche
italiane, chiudendo o ricostruendo quelle obsolete, inefficienti ed
inquinanti, sostituendole quindi con impianti nuovi a maggiore
rendimento e con minori emissioni in ambiente. La carenza di
investimenti dell'ultimo decennio ha reso necessario questo tipo di
intervento. Le centrali a ciclo combinato gas/vapore alimentate a gas
naturale (metano) hanno alti rendimenti e basse emissioni, e la
maggioranza dei nuovi progetti si basa su questa soluzione. Ma occorre
anche diversificare
le fonti energetiche e cercare altre soluzioni, evitando per quanto
possibile di ritornare a combustibili altamente inquinanti come il
carbone e l'olio pesante. Questi, pur costando meno del gas, richiedono
impianti complessi e difficili da gestire per l'abbattimento delle
emissioni che, in ogni caso, non possono essere ridotte a valori
realmente accettabili, soprattutto per l'anidride carbonica, che non
è tossica ma altera il clima.
Si dovrebbe ad esempio incrementare la produzione di energia dai
rifiuti, che in Italia è minima. Certo occorre tenere sotto
controllo gli impianti in modo attento, ma a questo dovrebbero pensare
le organizzazioni dei cittadini: invece di manifestare con cartelli NO
ALL'INCENERITORE,
dovrebbero pretendere verifiche degli impianti ed organizzarsi per
ricondurre i gestori alle loro responsabilità. E senza dubbio
è preferibile che questo genere di impianti sia gestito da enti
pubblici e non da privati che cercano solo il profitto immediato.
Esistono anche grandi opportunità di produzione di energia da
scarti agricoli ed industriali, ancora non sfruttate.
Si deve continuare con decisione a sviluppare la cogenerazione, sia in
campo industriale sia in quello del teleriscaldamento. Queste sono
tecnologie già presenti ed affermate in Italia, basta seguire
l'esempio delle industrie e dei comuni che già vi hanno fatto
ricorso con ottimi risultati. Lo Stato dovrebbe adeguatamente sostenere
ed incentivare questi sviluppi.
Occorre poi sicuramente potenziare la rete di trasmissione dell'energia
elettrica, soprattutto i collegamenti con l'estero. Non c'è
nulla di
male ad importare energia, se lo si fa in modo tecnicamente valido e si
gestisce correttamente la rete. In realtà questo è il
provvedimento più importante ed urgente per evitare i blackout.
Può sembrare un paradosso, ma si dovrebbe anche incrementare
l'uso dell'energia elettrica nel campo dei trasporti, specialmente
quelli urbani. Parlo in primo luogo di tram e filobus, non di veicoli
ibridi o altre meraviglie della tecnica che servono più che
altro a fini pubblicitari. Il ricorso alla trazione elettrica, unito al
teleriscaldamento, consentirebbe di ridurre l'inquinamento delle
città senza mirabolanti ristrutturazioni del modo di vivere.
Si dovrebbe anche riprendere la ricerca sull'energia nucleare. Visto
che ripartiamo quasi da zero, potremmo fare di necessità
virtù incamminandoci su soluzioni innovative, non più
legate alle tecnologie militari ma decisamente alle applicazioni
civili, con tutto quello che comporta dal punto di vista della
sicurezza e della getione del combustibile e delle scorie.
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Gli ostacoli: il neoliberismo
Se sono tante le difficoltà che si incontrano per adottare una
politica energetica coerente, lo si deve a cause politiche ed
economiche molto evidenti.
L'Italia, come tutto il mondo industrializzato, sta concludendo una
fase di privatizzazione e apertura al libero mercato del mondo
delle infrastrutture, incluse quelle dell'energia. Si tratta di una
scelta fondamentalmente sbagliata, fortemente voluta dagli ideologi del
neoliberismo, la corrente ideologica oggi prevalente.
Chiunque provi a visitare i paesi in cui il sistema elettrico è
sempre stato privato, non può fare a meno di notare come gli
impianti siano tecnologicamente arretrati, realizzati in modo
approssimativo e poco affidabili. Negli Stati Uniti gli impianti
elettrici, anche nelle città, sono quasi esclusivamente di tipo
aereo su pali di legno, con trasformatori a palo. Impianti così
in Italia non se ne vedono più nemmeno delle più sperdute
località di campagna (qualcuno potrà forse trovare un
controesempio, attenzione però che i pali di legno che vedete
ancora in Italia per lo più sono quelli del telefono).
Ovviamente una società privata
tende a massimizzare il profitto, quindi non investirà mai su
ciò che non può dare un ritorno economico in tempi brevi.
L'interesse della cittadinanza non viene preso in considerazione, se
non entra in gioco un'autorità pubblica ad imporlo.
Lo smantellamento dell'ENEL e la gestione di tipo privatistico di quel
che resta ha già portato gravi conseguenze. Ad esempio, la
riparazione dei guasti è ora affidata a imprese private invece
che a personale della società elettrica. Il risultato è
che non ci sono mezzi né uomini per fronteggiare le emergenze
serie, ed anche il guasto più banale richiede ora un tempo assai
più lungo per essere riparato. Non è pensabile che una
gestione di tipo privato affronti in modo adeguato la gestione di una
grande infrastruttura pubblica: la massimizzazione del profitto
accompagnata dalla minimizzazione dei tempi di ritorno degli
investimenti impedisce una gestione a favore dell'utenza. Il "libero
mercato" non può esistere nel campo della distribuzione
dell'energia, perché non ci saranno mai più reti
alternative tra cui l'utente possa scegliere. Certo, può
esistere invece per la produzione. Ma anche qui nascono problemi:
evitare i blackout, ad esempio, vuol dire anche avere impianti di
riserva, tenuti
deliberatamente a bassi valori di produzione per essere disponibili in
caso di necessità. Questo ha un alto costo, perché gli
impianti di produzione richiedono investimenti ingenti che una
società privata cerca di ammortare rapidamente producendo e
vendendo il più possibile. La riserva deve essere quindi
fortemente remunerata, da parte dell'ente pubblico che gestisce la
rete. Inoltre, gli investimenti per la realizzazione delle centrali
sono ingenti e sono remunerati solo in tempi lunghi, il che richiede
una struttura finanziaria molto robusta, tagliando fuori i soggetti
minori e quindi limitando di nuovo l'effettiva concorrenza tra i
soggetti economici. Non si crea quindi un libero mercato ma un
oligopolio. E la scelta delle soluzioni tecniche dipenderà
sempre fortemente da fattori puramente economici, per cui soluzioni che
possono essere vantaggiose dal punto di vista ambientale e sociale
passeranno in secondo piano rispetto a quelle che consentono di
remunerare il capitale in tempi più brevi.
Gli economisti sostengono che questo fa semplicemente emergere un costo
che prima esisteva ed era pagato dalla collettività, ma
qui si
nascondono vari errori. In primo luogo i costi sostenuti da soggetti
terzi, che non siano il costruttore ed il gestore dell'impianto, sono
considerati soltanto se qualcuno impone d'autorità che lo si
faccia. Se la centrale inquina e fa ammalare la popolazione, il costo
ricade sul servizio sanitario, e per evitarlo occorrono leggi
sull'inquinamento che qualcuno poi deve far rispettare. Il fatto, poi,
che ogni soggetto debba guadagnare, fa
sì che i ricarichi a scopo di profitto arrivino a valori
cumulativi più alti del (presunto) costo di inefficienza di una
struttura pubblica. L'ENEL dava un buon servizio a costo ragionevole e
socialmente giustificato; i privati daranno sempre il meno possibile al
prezzo più caro, frenati solo dalla legge (quando c'è e
viene fatta rispettare) e dalla concorrenza, che come abbiamo visto
è da inesistente a simbolica, in quanto oligopolistica.
La presunta spinta all'efficienza propria del libero mercato viene
facilmente a
mancare in settori dove il mercato fisicamente non può esistere.
E' possibile che la soluzione migliore sia una privatizzazione
fortemente regolamentata, insomma il regime che c'era in Italia prima
della creazione dell'ENEL, negli anni sessanta del secolo scorso:
società private con estensione regionale, sottoposte a regole
ferree per garantire il servizio. Lo stesso modello che si applicava
negli USA prima della "deregulation", come descrive l'insospettabile
Edward Luttwak in Turbo Capitalism: winners and losers in the
global economy (l'edizione italiana esiste ma è esaurita, si
intitola La dittatura del capitalismo ed è edita da
Mondadori). Luttwak è considerato un ideologo del neoliberismo,
ma la sua lucida analisi ne descrive in realtà i terribili
difetti in modo impietoso e ben documentato. Il neoliberismo si basa
sull'assunto che tutto esiste in funzione dell'economia, e sentiamo
enunciare questo principio ogni giorno sui media: ogni evento viene
ricondotto al fattore economico, ed il telegiornale si conclude con la
lettura dell'andamento delle borse. Mai come oggi l'analisi marxista
viene confermata proprio da coloro che si professano suoi avversari
irriducibili. Se crediamo che gli esseri umani non siano
soltanto soggetti economici, ma che esistano anche altri
aspetti, come l'altruismo, la bellezza, la solidarietà, la
sapienza, l'amore allora non possiamo che rifiutare questa visione del
mondo. Dobbiamo affermare con la massima decisione, parafrasando
il Vangelo, che l'economia è fatta per l'uomo, non l'uomo
per l'economia.
Già ora sono fortissime le spinte per il ritorno a combustibili
inquinanti e per l'abbandono del protocollo di Kyoto, a cui gli Stati
Uniti non hanno aderito. Il governo Bush ha dichiarato ufficialmente
che l'anidride carbonica non inquina (il che è vero, se ci
riferiamo alla tossicità, ma non è questo il punto). La
protezione dell'ambiente è l'altro risvolto della politica
energetica. Anche qui, gli ideologi non mancano.
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Gli ostacoli: l'ambientalismo
Gli interessi dei soggetti privati e della lobby del petrolio si
servono dell'ideologia neoliberista per propugnare soluzioni che
possono portare a peggioramenti del servizio e danni all'ambiente ed
alle persone. Ma chi difende l'ambiente non è certo esente da
pecche.
In realtà, il movimento ambientalista è ancora più
ideologico dei suoi avversari. Le sue posizioni sono sempre di
principio e spesso prive di qualsiasi ragionevolezza. La battaglia
ferocissima combattuta per anni contro l'energia nucleare ne è
un esempio. L'uso dell'energia nucleare consente di ridurre le
emissioni di gas serra ed inquinanti in modo decisivo, oltre che di
ridurre sostanzialmente l'uso dei combustibili fossili. Gli
ambientalisti però non hanno mai consentito di porre la
questione su un piano di bilancio tra vantaggi e svantaggi, opponendo
un rifiuto totale ed
assoluto a qualunque uso dell'energia nucleare. L'Italia ha messo in
atto la politica da loro voluta, rinunciando perfino alla ricerca.
Eppure ci sarebbero opportunità serie, rivolgendosi ad esempio a
filoni nuovi slegati dalla tecnologia militare. Anche le
centrali tradizionali, come quelle francesi, non sono quei mostri che
dipingono i verdi: producono l'energia, che noi stessi consumiamo
importandola,
in modo affidabile e senza emissioni inquinanti. I vari problemi
sollevati dagli oppositori dell'energia nucleare non sono da
sottovalutare, ma nemmeno da sopravvalutare. La Francia produce il 75%
dell'energia con le centrali nucleari e, io ne ho visti parecchi, i
francesi
non sono tutti fosforescenti e malati di cancro. Quando si fa una
scelta, si devono confrontare alternative con pro e contro, cosa che
gli ambientalisti non fanno mai: dicono NO e se propongono alternative
sono impraticabili.
Perché, ad esempio, si sostiene tanto il solare e non il
teleriscaldamento? Ogni impianto nuovo di teleriscaldamento migliora la
qualità della vita di migliaia di persone, eppure non vedo un
impegno
dei verdi in tal senso. Ho letto invece esempi agghiaccianti di casi di
realizzazione di impianti
solari che vengono presentati come convenienti, quando in realtà
i loro
costi sono stati interamente scaricati sulla collettività
tramite
incentivi e non saranno mai ripagati nella vita dell'impianto.
Perché
non si fa una battaglia contro le caldaiette autonome, che stanno
all'impianto centralizzato come l'automobile sta all'autobus?
Perché si
organizza l'opposizione agli impianti per la termodistruzione dei
rifiuti, che sono invece una soluzione razionale per ricavare anche
energia, quando invece bisognerebbe organizzarsi per farli realizzare e
sorvegliarne una costruzione ed una gestione corretta? Perché ci
si
oppone perfino alla ricerca
in campo nucleare? Invece di sprecare denaro in sovvenzioni a minuscoli
impianti solari la cui incidenza sul piano generale è nulla, si
dovrebbe ad esempio imporre uno standard di riduzione del consumo
energetico degli
elettrodomestici, magari riducendo l'IVA sugli elettrodomestici a
più basso consumo.
Perché, soprattutto, con i disastri immani che l'industria del
petrolio ha causato, non c'è un impegno sistematico ed
implacabile contro di essa, come c'è contro l'industria
nucleare? Perché, semplicemente un altro esempio, non si
considera ogni petroliera per quello che è, una bomba ecologica
per di più spesso gestita da un equipaggio raccogliticcio sotto
una bandiera di comodo?
Dagli ideologi verdi si sente parlare di energia rinnovabile, ma
dev'essere solare o eolica, se no non va bene. Si
oppongono invece al geotermico e all'idroelettrico, che sono fonti
rinnovabili e praticabili. Peccato che le soluzioni a loro care abbiano
carenze di base: il fotovoltaico richiede un consumo di energia
altissimo per la produzione delle celle, e l'uso di solventi chimici
altamente tossici ed inquinanti. L'eolico, dove è praticabile,
causa inquinamento acustico e danneggia il paesaggio e la fauna. L'idrogeno
non è una fonte di energia ma un vettore, come
ho spiegato, con buona pace di Mr. Rifkin. Con questo non voglio dire
che solare ed eolico non si debbano usare, al contrario sono io il
primo a suggerirne l'uso dove è appropriato, ma sottolineo la
natura ideologica e non razionale di certi atteggiamenti. In
realtà l'ambientalismo è una specie di religione
fondamentalista,
come il neoliberismo. La natura incontaminata è un
feticcio come il libero mercato.
Il vero problema è che l'umanità esiste e gli esseri
umani vogliono vivere e star bene. Il capitalismo sfrutta la naturale
ricerca del benessere materiale per scatenare la macchina del profitto,
che si nutre del consumismo. Questo tipo di struttura economica deve
sempre crescere e consumare sempre più risorse per funzionare,
altrimenti va in crisi; questo è incompatibile col fatto che il
pianeta Terra ha superficie e risorse limitate fisicamente, e
cominciamo ad accorgercene. Col termine risorse intendo anche la
possibilità di smaltire rifiuti e sostanze inquinanti,
naturalmente. Dovremmo dunque cominciare ad usare ad un livello
più alto le nostre facoltà intellettive per evitare di
esaurire le risorse del pianeta senza compromettere la nostra
esistenza, oppure scomparire. Questo è ambientalismo nel senso
ragionevole.
Se ci pensiamo bene, però, noi non possiamo danneggiare
la natura,
perché ne siamo parte. La Terra è sopravvissuta
all'estinzione del Mesozoico, che fece sparire i dinosauri e la grande
maggioranza delle specie allora viventi, e sopravviverà anche
alle estinzioni che stiamo causando ora, inclusa la nostra. Il
problema è che dobbiamo evitare di estinguerci noi, in primo
luogo, e dobbiamo poi cercare di vivere una vita degna di persone
razionali, come ci insegna l'etica. Gli ambientalisti ideologici
ritengono che esista un ordine naturale che l'umanità
sta violando, con gravi conseguenze. Si tratta di una visione
prettamente religiosa, perché l'ordine naturale non esiste,
oppure se esiste per definizione non può essere violato. Tutto
ciò che accade è naturale, anche l'effetto serra causato
da noi che può ucciderci tutti (forse); rovesciando la visione,
non esiste un ordine naturale perfetto ma un mondo fenomenico in
perenne trasformazione, di cui noi siamo parte. Per il puro fatto di
esistere noi influenziamo l'ambiente, non c'è modo
di evitarlo. E non si può trovare un equilibrio perpetuo. L'equilibrio
naturale
non esiste e non è mai esistito, la natura è in costante
squilibrio e
trasformazione. La staticità è una pura illusione, e
l'ambiente si
modifica costantemente per cause dovute a noi e altre cause non dovute
a noi. La natura non è una divinità benevola,
è un demone insensibile che ha
già estinto milioni di specie viventi prima di noi e altrettanto
farà
in futuro. Non è una delicata creatura che noi
stiamo ferendo a morte, è un
mostro immane a cui stiamo solleticando la coda, e
ci può schiacciare in qualsiasi momento.
Le società del passato, che vivevano in armonia con la natura,
secondo gli ideologi, semplicemente alteravano meno l'ambiente per la
scarsità della popolazione presente sul territorio. E la vita
delle persone era dura, crudele e breve, tranne che per pochi
privilegiati che, allora come oggi, riuscivano a vivere a spese della
maggioranza. Non esiste un passato ideale a cui tornare, il nostro
mondo è questo e da qui dobbiamo ripartire, riconoscendo che
oggi, grazie alla scienza ed alla tecnica, abbiamo i mezzi per vivere
meglio tutti. Basta usarli a tale scopo, anziché per alimentare
il turbocapitalismo. Non si deve però rifiutare la tecnica, come
vorrebbero i fondamentalisti, al contrario occorre usarla meglio.
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Abbandonare le ideologie
Quello che dobbiamo fare è scordarci le ideologie e tornare alla
ragione e all'etica, studiare soluzioni per preservare l'ambiente
allo scopo di preservare le persone, consentendo nello stesso
tempo alla nostra società, imperfetta ma reale, di continuare a
funzionare. Dobbiamo porci la domanda etica: come possiamo agire
trattando
tutte le persone come fini e non soltanto come mezzi? Ad esempio, non
consegnando ciò che è un importante interesse
collettivo a soggetti privati, come vorrebbe il
neoliberismo.
Cercando soluzioni ai problemi di oggi, che rispettino in
primo luogo le persone, senza rivoluzionare il mondo alla ricerca di
una utopistica società in armonia con la natura, come vorrebbero
gli ambientalisti. E' possibile produrre in modo abbastanza, anche
se non perfettamente pulito l'energia per scaldarci, illuminarci e far
funzionare le industrie, e anche far marciare i veicoli. La chiave sta
nel non perfettamente: soltanto un ideologo fondamentalista
può pensare che esistano soluzioni perfette. Quello che dobbiamo
fare è valutare le conseguenze delle nostre azioni, senza usare
i metodi del capitalismo neoliberista, per il quale esiste soltanto il
fattore economico, ma neanche pretendendo di trovare un accordo con la
natura che non è mai esistito. Abbiamo un'opportunità
grandissima: esistono i mezzi tecnici per stare tutti meglio, tutti noi
per quanto ci è possibile dobbiamo cercare di capirli e di
usarli nel modo migliore.
Sul problema dell'energia ho dato alcune indicazioni che mi sembrano
ragionevoli e praticabili, il che non vuol dire che
siano esattamente quelle giuste. Dobbiamo soltanto discuterne
apertamente e
pacatamente, valutando pregi e difetti di ogni soluzione. Sembra ovvio
e naturale, tanto che ci si sente un po' sciocchi a dirlo, ma nella
pratica si trova che non è facile.
Alberto Cavallo, 26 ottobre 2003
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