LA BANCAROTTA MORALE DELL'OCCIDENTE
Dove sono i fanatici?
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Pagina pubblicata il 19 giugno 2004.
Indice
Alla pagina indice sulla politica
internazionale
Saddam non c'entrava...
Il 16 giugno 2004 si è tenuta l'udienza conclusiva della
commissione d'inchiesta nominata dal governo degli Stati Uniti per
indagare sulle circostanze degli attacchi terroristici dell'11
settembre 2001. Tra i risultati più importanti a cui è
giunta la commissione, vi è l'accertamento
dell'estraneità del regime iracheno di Saddam Hussein rispetto a
quelle azioni terroristiche. Cade quindi definitivamente il più
labile, anche se ampiamente sfruttato nei media, dei motivi
dell'attacco angloamericano all'Iraq. Nonostante il governo americano
continui pervicacemente ad affermare il contrario, l'attacco
all'Iraq non ha niente a che fare con la guerra al terrorismo. E'
vero che il presidente russo Putin è venuto in soccorso degli
americani affermando, senza riscontri, che Saddam Hussein dopo l'11
settembre preparava azioni terroristiche contro gli Stati Uniti, ma
questa uscita inopinata non sembra avere contenuti concreti, né
cambierebbe la situazione: non si tratta di fatti concreti ma di
ipotesi e di presunte intenzioni. Se poi queste intenzioni risalivano a
dopo l'11 settembre, se ne può dedurre semplicemente che Saddam
Hussein aveva compreso che il governo USA avrebbe utilizzato l'attacco
terroristico come giustificazione per una nuova guerra all'Iraq, e
intendeva considerare l'unico tipo di risposta armata che un paese come
il suo, privo di armamenti significativi come ora ben sappiamo, potesse
adottare. Ma non se ne fece nulla, e non vi furono azioni terroristiche
imputabili al deposto governo iracheno. Quanto accaduto dopo la guerra
angloamericana e l'occupazione dell'Iraq è chiaramente un'altra
storia.
Torture in Iraq e non solo
Dal mese di aprile 2004 è giunta notizia ai media "ufficiali"
delle torture inflitte ai
prigionieri del carcere iracheno di Abu Ghraib, da parte dei carcerieri
americani, militari e no. La tempesta mediatica è cominciata il
28 aprile, quando la televisione americana CBS ha mostrato alcune
immagini che rivelavano le umiliazioni e le torture a cui erano
sottoposti i prigionieri. In breve tempo si sono avute numerose
conferme e sono emerse altre immagini e perfino filmati, in cui si
vedeva come i prigionieri fossero sottoposti a sistematiche umiliazioni
e violenze fisiche. Sono state avviate inchieste e il generale
responsabile del carcere è stato sospeso dal servizio. Il
presidente Bush ha pronunciato discorsi, anche ad alcune
televisioni arabe, in cui ha deplorato l'accaduto ed ha affermato che i
colpevoli saranno puniti.
Risulta che nel carcere operassero non solo militari ma anche civili
appartenenti a società private e, presumibilmente, ai servizi
segreti.
Anche in Gran Bretagna è scoppiato un caso analogo. Sembra che
abusi siano stati effettivamente commessi anche da militari britannici,
anche se alcune immagini pubblicate del quotidiano Daily Mirror sono
risultate false, tanto che il direttore del giornale ha presentato le
sue scuse ed ha dato le dimissioni. Non c'è però alcun
dubbio sulle altre immagini, quelle che riguardano gli americani. Anche
i vertici delle forze armate e del governo ne hanno riconosciuto
l'autenticità.
La scandalo sta portando alla luce quanto avviene
nelle carceri di altri paesi occupati da USA ed alleati, come
l'Afghanistan. Il Washington Post ha pubblicato una serie di articoli
in cui si rivelano al grande pubblico le pratiche inumane adottate
sistematicamente dalle forze americane all'estero. Rimane più
scandaloso di tutti il caso del campo
di prigionia di Guantanamo,
tenuto dalle forze armate americane fuori da ogni giurisdizione
ordinaria, nazionale ed internazionale. Ma il coinvolgimento delle
istituzioni degli Stati Uniti in questo genere di attività
è noto e dimostrato da tempo. Basti pensare che le squadre della
morte ed i torturatori latinoamericani sono in gran parte usciti da un
centro di addestramento dell'esercito statunitense chiamato, a noi
sembra ironicamente, Scuola
delle Americhe.
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Considerazioni sui motivi della guerra in Iraq
La situazione
Ricapitoliamo: nello scorso mese di marzo gli Stati Uniti d'America e
la Gran Bretagna hanno unilateralmente attaccato ed invaso l'Iraq, al
di fuori di qualunque legittimazione formale dell'ONU o di altri
organismi internazionali. La fase del conflitto convenzionale si
è rapidamente conclusa con la conquista del paese e
l'abbattimento del governo del presidente Saddam Hussein. Il presidente
stesso è stato poi catturato ed imprigionato ad opera delle
forze di occupazione.
In merito allo status legale della situazione, si può far
riferimento alle risoluzioni più significative dell'ONU.
La risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU n. 1483 del 22
maggio 2003 definisce Stati Uniti d'America e Regno Unito di Gran
Bretagna e Irlanda del Nord come potenze occupanti in base alla
legislazione internazionale vigente. Quindi sancisce che c'è
stata una guerra ed i vincitori hanno occupato il paese sconfitto.
La risoluzione 1546 dell'8 giugno 2004 stabilisce che l'occupazione
militare dell'Iraq cesserà il 30 giugno e che la
sovranità sarà assunta dal nuovo governo ad interim; la
risoluzione definisce i rapporti con le forze straniere che rimarranno
sul territorio, inclusi i termini in cui il governo iracheno
potrà chiederne l'allontanamento.
Le motivazioni della guerra
Le motivazioni addotte per l'invasione si possono riassumere in tre
punti:
- l'Iraq disponeva di armi di distruzione di massa ed aveva un
programma per dotarsene in grande quantità, rendendo possibile
un attacco diretto all'Occidente;
- l'Iraq era coinvolto in attività terroristiche
internazionali;
- Saddam Hussein era un dittatore sanguinario, responsabile di
innumerevoli delitti, ed il suo governo costituiva una minaccia per il
suo popolo e per il mondo intero.
Analizziamo la validità di questi punti.
Primo punto: armi di distruzione di massa
Il primo punto è stato
clamorosamente smentito dal mancato ritrovamento di armi di distruzione
di massa o di centri per la loro produzione. E' risultato al di
là di ogni dubbio che gli ispettori dell'ONU avevano fatto un
ottimo lavoro e che le armi e le fabbriche erano state distrutte
completamente dopo la prima guerra del Golfo. I rapporti presentati
dai governi americano e britannico per giustificare la guerra erano
basati su informazioni non semplicemente esagerate, ma addirittura
completamente prive di contenuto. In italiano corrente si dice
false.
Secondo punto: terrorismo
Il secondo punto è stato
problematico fin dall'inizio, perché per quanto si lavorasse
risultava difficile trovare indicazioni su eventuali legami del governo
iracheno con organizzazioni come al Qa'ida. Saddam Hussein era un
dittatore laico, personalmente è probabile che sia ateo anche se
dichiara la propria fede mussulmana per ovvie ragioni di
opportunità. Tra lui e gli estremisti religiosi non c'è
mai stato alcun legame se non quello di avere importanti nemici in
comune. Risulta che organizzazioni terroristiche islamiche fossero
presenti in Iraq soltanto in zone al di fuori del controllo del
governo. I governi USA e UK non hanno quindi addotto questa motivazione
in modo formale, anche se l'hanno lasciata intendere attraverso accenni
ed allusioni; del resto, il sostegno ad azioni terroristiche
poteva essere l'unico mezzo per portare un efficace attacco diretto ai
paesi occidentali, dato che nessuno ha mai potuto affermare che l'Iraq
disponesse di missili intercontinentali. Ora (16 giugno 2004)
la commissione d'inchiesta del governo americano ha sancito che non vi
fu alcun coinvolgimento diretto del governo iracheno, e che i contatti
tra il regime di Saddam Hussein e al-Qa'ida erano sostanzialmente nulli.
A proposito, è interessante notare come allusioni e mezze
affermazioni siano più importanti dei fatti per smuovere
l'opinione pubblica: quanti si sono posti esplicitamente la domanda di
come, concretamente Saddam potesse realizzare la sua eventuale minaccia
all'Occidente? E' evidente che l'unico paese potenzialmente in
pericolo di attacco diretto era Israele, tutti gli altri alleati degli
USA sono troppo lontani per poter essere colpiti da missili anche "a
medio raggio". Quindi si trattava di proteggere Israele dai missili e
gli altri soltanto dal terrorismo. Ma non ci sono mai state azioni
terroristiche in paesi occidentali ricollegabili all'Iraq. E' vero che
molti americani pensano che Saddam Hussein sia stato tra gli artefici
dell'attacco a New York e Washington dell'11 settembre, ma si tratta di
una convinzione immotivata. Per quanto ne sappiamo, i paesi di
provenienza dei terroristi erano Arabia Saudita ed Egitto, la loro base
logistica in Afghanistan, con collegamenti da chiarire col Pakistan.
Nulla a che vedere con l'Iraq baathista, nemicissimo degli integralisti
wahhabiti
come Osama bin Laden. Le conclusioni della commissione d'inchiesta
americana confermano tutto questo.
Terzo punto: rimuovere Saddam Hussein
Il terzo punto, l'unico a cui i
due governi responsabili si appellano oggi, dopo che gli altri si sono
rivelati inconsistenti, è crollato ora. A parte la sua
impresentabilità in senso generale, dato che non sembra in
nessun caso accettabile che un paio di governi decidano di propria
iniziativa che il governo di un terzo paese secondo loro è
indegno e deve essere rimosso, possiamo oggi dire che ha perduto anche
l'ultima sua giustificazione, la presunta superiorità morale di
coloro che hanno pronunciato il giudizio su Saddam Hussein.
Certo, i governi chiamati in causa stanno scaricando la colpa sui
soldati semplici e sui caporali, ma esiste perlomeno una colpa per
omissione: non è pensabile che simili abusi avvengano in un
carcere controllato da una forza armata regolare, senza che la
struttura gerarchica ne sia minimamente a conoscenza. Ma la
questione è ben più grave: già nel mese di luglio
del 2003 Amnesty International presentò un rapporto ai
governi di Stati Uniti e Gran Bretagna, riferendo di torture e
maltrattamenti ai prigionieri e chiedendo un'indagine. L'appello cadde
nel vuoto. Il 7 maggio 2004 Amnesty ha scritto una lettera aperta al
presidente Bush, in cui lo chiama in causa chiedendo un'investigazione
indipendente sull'accaduto. Vedere l'articolo originale
sul sito di Amnesty. Non si è trattato di episodi isolati ma
dell'applicazione di metodi sistematici per fiaccare la resistenza dei
prigionieri. La responsabilità dei vertici militari e
governativi è indiscutibile, non è pensabile che nessun
ufficiale sapesse nulla fin dall'inizio, di quello che accadeva nel
principale carcere dell'Iraq. E la responsabilità morale e
politica giunge almeno fino al ministro responsabile, cioè
Donald Rumsfeld, indipendentemente dal fatto che fosse informato o no.
Ma lo era, perché se non altro gliel'aveva detto Amnesty l'anno
scorso!
Occorre essere molto chiari e precisi: chi si arroga il compito di
giudicare gli altri deve accettare di essere giudicato. Perché
si possa considerare indegno un terzo, occorre essere immacolati da
parte propria, altrimenti si deve ammettere che si tratta semplicemente
di una questione di potere e di conquista.
Conclusione: una guerra di conquista
La guerra è un atto di forza che ha lo scopo di
costringere l'avversario a sottomettersi alla nostra volontà
ci dice Karl von Clausewitz nella prima pagina del "Della guerra". I
governi di Stati Uniti e Regno Unito hanno imposto con la forza la loro
volontà di estromettere Saddam Hussein dal governo, puramente e
semplicemente, allo scopo di prendere il controllo politico ed
economico dell'Iraq. Abbiamo visto che si sono serviti e si servono di
mezzi analoghi ai suoi: bombe e carri armati prima, poi carceri e
torture. Non dimentichiamo che la cosiddetta ricostruzione
dell'Iraq è stata assegnata a società private americane e
inglesi, con subappalti a società di alcuni altri paesi. Il
criterio di scelta è stata la vicinanza al governo americano: il
principale contrattista, ad esempio, è la Halliburton, di cui il
vicepresidente americano Cheney è stato a lungo amministratore.
Ecco il punto: non c'è nulla di umanitario, non c'è la
volontà di portare la democrazia a chi non ce l'ha. C'è
soltanto il gioco del potere, politico ed economico. L'imperatore
è nudo.
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Il ruolo dell'Italia
Il governo italiano sostiene che i militari italiani in Iraq stanno
svolgendo una missione umanitaria e non di guerra. Tecnicamente non
è vero e non lo sarà fino al 30 giugno, in base alle
risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, per le quali
c'è un'occupazione militare e non una missione di pace. Da quel
momento in avanti si tratterà di una missione di mantenimento
dell'ordine e della sicurezza, nell'ambito della risoluzione 1546.
L'opposizione italiana, a differenza di quanto accaduto in altri paesi,
non ha avuto il coraggio di dire la verità ed affrontare la
situazione reale dell'Iraq, offrendo al governo la scappatoia della
risoluzione dell'ONU come giustificazione per la permanenza delle
truppe. Basti notare che le nazioni che fin dall'inizio si sono opposte
alla guerra non invieranno truppe nemmeno dopo il 30 giugno. Se sono
stati fatti passi avanti per la restaurazione della sovranità
dell'Iraq, non è certo merito di chi ha assecondato in tutto gli
angloamericani, ma al contrario di chi si è fermamente opposto e
poi ha potuto trattare i contenuti della risoluzione.
Abbiamo
visto che i motivi "umanitari" della guerra si sono rivelati tutti,
senza eccezioni, inconsistenti. Ora l'esercito italiano ha anche deciso
di inviare carri
armati pesanti modello Ariete (La Repubblica del 30 maggio) per
aumentare le capacità di combattimento delle proprie forze in
Iraq. Al di là delle parole, resta la
sostanza: i carri amati pesanti sono mezzi da guerra, non da
"peacekeeping", e giustamente i comandi militari italiani li ritengono
necessari. Dal punto di vista tecnico, hanno perfettamente ragione, i
nostri soldati hanno bisogno di quel tipo di mezzi nella situazione in
cui si trovano. I militari italiani, che pure non hanno finora
partecipato a missioni di attacco vere e proprie ma si sono limitati al
controllo del territorio e ad azioni difensive, sono infatti
oggettivamente coinvolti in una guerra. La risoluzione 1546 ha salvato
in extremis il governo Berlusconi, soprattutto grazie all'insipienza
dell'opposizione. Ma la situazione sul terreno resta difficile, e
soprattutto il ruolo svolto dall'Italia rimane assolutamente
criticabile: non lo si vuole ammettere, ma abbiamo partecipato ad una occupazione
militare, non ad una missione di pace, come ribadisce anche
la 1546 con estrema chiarezza.
Non dobbiamo mai dimenticare che ci sono italiani presenti in Iraq per autentici
motivi umanitari: sono le associazioni Un ponte per... e Emergency. Che non hanno portato
armi ma medicine, e agiscono senza alcun collegamento con la missione
militare. Il governo italiano ha preferito impegnare denaro e personale
in azioni militari anziché in autentiche attività
umanitarie, in una situazione di occupazione in cui appoggiare le forze
occupanti significava condividere gravi responsabilità; tutto
questo accadeva mentre altri italiani, con i pochi mezzi messi a
disposizione da benefattori privati, si adoperavano autenticamente per
il popolo iracheno. Queste associazioni per la loro natura evitano
eccessive polemiche, ma questa riflessione secondo me è
assolutamente necessaria. Parallelamente, non dimentichiamo il ruolo
degli archeologi e dei restauratori che stanno aiutando a rimettere
insieme i cocci del patrimonio culturale iracheno, uno dei più
importanti del mondo, devastato per colpa degli invasori che non
l'hanno salvaguardato e si sono resi complici del saccheggio compiuto
da privati.
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Dove sono i fanatici?
La rivelazione al grande pubblico del trattamento riservato ai
prigionieri da parte delle forze americane in Iraq segna un cambiamento
epocale, in un certo senso si potrebbe considerare l'inizio geopolitico
del XXI secolo.
Come sempre accade in questi casi, non è cambiato nulla di
sostanziale: l'uso sistematico della tortura da parte delle forze
americane risale con certezza almeno alla guerra del Vietnam; negli
ultimi
anni gli Stati Uniti hanno sistematicamente rigettato gli accordi e le
iniziative per l'introduzione di regole ed organismi sovrannazionali
sul tema del rispetto dei diritti umani e del rispetto delle
convenzioni internazionali. In particolare, si sono attivamente
adoperati contro il Tribunale Penale Internazionale,
inducendo molti paesi a firmare accordi bilaterali allo scopo di
rendere impossibile il ricorso a tale organo contro esponenti USA. A
tutti gli effetti, gli Stati Uniti d'America si considerano legibus
soluti e unici giudici del rispetto dei diritti umani da parte di
chiunque, se stessi compresi ovviamente. Si tratta di una concezione
filosofica profondamente radicata, non soltanto di una prassi politica:
discende dal concetto dell'unicità degli USA come nazione eletta
da Dio e differente da tutte le altre nazioni del mondo, largamente
diffusa nella società americana. E' chiaro che questa concezione
non caratterizza l'intera nazione in modo assoluto, ma purtroppo ispira
largamente i principali esponenti dell'attuale governo.
Da questa concezione discende anche la legittimità dell'attacco
preventivo contro qualsiasi stato che sia considerato "canaglia" dagli
Stati Uniti: la terza motivazione dell'attacco all'Iraq, l'unica
peraltro che stia ancora in piedi, è di questo tipo. Si deve
notare, però, che la concezione dell'unicità degli Stati
Uniti ha in realtà due radici ben distinte, legate all'origine
stessa della nazione: l'illuministica e la religiosa
fondamentalista. Pensiamo alla singolarità delle istituzioni
americane: vige una drastica separazione tra stato e chiesa, tanto che
l'unica festività religiosa che sia anche festività
civile è il Natale, ma sulle banconote c'è scritto "In
God we trust", ed i politici cominciano sempre i discorsi con appelli a
Dio. Per contrasto, in Italia abbiamo il concordato, la Santa Sede
interviene costantemente in politica, abbiamo partiti che si
definiscono cristiani, ma nessun politico pronuncia mai gli appelli a
Dio così comuni in America.
Quello che è accaduto negli ultimi anni è la presa di
potere da parte di personaggi che filosoficamente si ispirano alla
corrente religiosa piuttosto che a quella laica. Invece
dell'universalità si stampo illuministico, in base alla quale la
diversità americana si giustifica per la rispondenza delle
istituzioni politiche e civili ai dettami della ragione, si afferma un
ruolo messianico, per cui agli Stati Uniti tutto è concesso per
particolare dispensa divina. Lo stesso presidente George W. Bush
è un ex gaudente convertito e divenuto un reborn Christian,
un
cristiano rinato; i neoconservatori che prevalgono nel governo sono
tutti religiosamente ispirati. Il modo di pensare di Bush e di alcuni
suoi ministri, insomma, non è dissimile da quello dei
fondamentalisti islamici come quel bin Laden, peraltro ex socio in
affari del presidente stesso (si veda il documentario Fahrenheit
9/11 di Michael Moore, vincitore della Palma d'Oro a Cannes).
Ritenersi al di sopra di qualsiasi regola per un mandato divino
è tipico dei fanatici in generale. Purtroppo è sotto gli
occhi del mondo che gli Stati Uniti d'America hanno un buon numero di
fanatici al governo. Come sempre accade, i loro metodi alla fine sono
stati resi pubblici. Era già ovvio per chi volesse usare un
minimo di raizocinio che la pervicacia con cui gli Stati Uniti
combattevano il Tribunale Internazionale doveva avere un motivo; del
resto, non è mancato chi segnalasse le violazioni delle
convenzioni internazionali, ed in particolare delle convenzioni di
Ginevra sulla condotta in tempo di guerra, commesse dagli USA. Tra le
più comuni, il bombardamento di obiettivi civili, l'uso di armi
particolarmente crudeli come le bombe a grappolo, nel caso dell'Iraq il
mancato rispetto delle regole che responsabilizzano l'occupante per
l'ordine pubblico e la salvaguardia dei beni privati e pubblici del
paese occupato. Ma si è andati oltre.
Pensiamo al caso di Guantanamo: i
detenuti di quel campo di
prigionia sono privi di qualsiasi diritto. Secondo il governo
americano, non sono soggetti alle leggi USA in quanto al di fuori del
loro territorio; non viene riconosciuto loro il diritto a conoscere le
accuse, essere portati davanti ad un giudice legittimo ed essere
giudicati in base ad una legge ben definita. Dobbiamo stupirci allora
che si sia giunti all'abiezione di Abu Ghraib?
Non solo: anche sul proprio territorio gli USA stanno minando i diritti
umani. Il Patriot Act consente la detenzione
indeterminata, al di fuori dei diritti previsti in base al Primo
Emendamento, per gli stranieri accusati di terrorismo nel territorio
stesso degli Stati Uniti. In pratica, per gli stranieri sottoposti a
tali accuse i diritti previsti dalla costituzione americana non
sussistono. Per gli stessi cittadini americani è prevista la
possibilità di intercettazioni della corrispondenza e delle
comunicazioni, nonché perquisizioni ed indagini sulla vita
privata, senza mandato della magistratura e senza accuse precise.
Insomma, gli Stati Uniti stanno cercando di somigliare alla Cina
Popolare, o alla vecchia Unione Sovietica. O forse al nuovo nemico
assoluto, al-Qa'ida. Questa bancarotta morale è
evidentissima agli occhi di tutti, al di fuori degli Stati Uniti e di
una parte degli europei.
Il fatto è che il grande pubblico, anestetizzato dalla
televisione, non se n'era accorto. Ora elementi importanti della
verità sono venuti a galla, sono entrati a forza nel mondo
virtuale dei media. L'Occidente può forse ignorarli e continuare
a vivere nel mondo dei sogni creato dai suoi mezzi di comunicazione, ma
tutto il resto del mondo conosce la verità e non può
più credere alle favole sulla democrazia e la libertà che
esso afferma di portare.
La propaganda cerca di ricuperare terreno esaltando la seconda guerra
mondiale, la lotta collettiva contro il nazismo. Si tratta appunto di
propaganda: i valori della libertà, della democrazia, dei
diritti umani sono oggi calpestati soprattutto dagli Stati Uniti e dai
loro alleati. Le stesse istituzioni americane si stanno involvendo, e
cominciano a somigliare a quelle di un paese totalitario.
Recentemente è asceso all'onore delle cronache il caso del
professore Steven Kurtz dell'Università di Buffalo. Il
professore è stato sottoposto a vessazioni incredibili per
un'accusa di terrorismo, basata sul fatto che era in possesso di
apparecchiature per l'analisi del DNA e di campioni di batteri, trovati
in casa sua in occasione della morte improvvisa della moglie. In
realtà si tratta di apparecchi e campioni innocui, usati da
Kurtz per manifestazioni pubbliche contro l'uso di organismi
geneticamente modificati, nell'ambito dell'associazione da lui fondata,
Critical Art Ensemble. Essendo docente universitario di biologia
e persona pubblica, è riuscito ad ottenere aiuto, ma non ad
evitare che gli sequestrassero la casa e interrogassero tutti i suoi
conoscenti. Il caso è ancora aperto, per l'FBI Kurtz resta un
potenziale terrorista. Forse a causa delle sue idee?
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L'Impero avanza
Il cerchio si è chiuso: l'ultima giustificazione è
caduta, gli Stati Uniti si stanno trasformando in un Impero, dedito al
dominio per il dominio. La loro tradizione umanitaria ed illuministica
è soltanto, ormai, un pretesto ed una vetrina, ma se n'è
perduta la sostanza. Chi ci può difendere? Prima di tutto gli
americani stessi: tutti coloro che ancora credono nei loro stessi
valori tradizionali, se potranno aprire gli occhi, dovranno schierarsi
contro la banda di fanatici e affaristi senza scrupoli attualmente al
governo. Tenendo conto che anche il candidato democratico alla
presidenza, il nebuloso Kerry, non sembra diverso, le prospettive non
sono buone, ma la vittoria di Michael Moore a
Cannes (voluta, si badi bene, da una giuria presieduta da un americano
e comprendente altri tre americani e un solo francese) almeno ha
consentito di superare la vigliaccheria della Disney e far uscire
comunque il film anche in patria. Mi auguro che molti vedano il film di
Michael, che è l'incarnazione, adeguatamente voluminosa,
dell'americano tipico, e tirino fuori quella carica di individualismo
anarchico che è la vera radice della grandezza americana e il
miglior antidoto all'imperialismo, nonché l'unico presidio della
democrazia contro il potere del denaro e delle armi.
Poco possiamo sperare dall'Europa. Anche coloro che si sono opposti
alla guerra in Iraq l'hanno fatto per interesse, anche se comunque
hanno fatto bene ad opporsi. L'Unione Europea è un'entità
evanescente, assolutamente priva di peso politico. Il progetto della
costituzione europea, che pure sarebbe necessaria per dare volto e
sostanza a questa ameba politica, sembra un'accozzaglia
di compromessi, cedimenti su principi fondamentali e falsi storici
(forse dalla versione approvata hanno però tolto la citazione di
Tucidide la cui falsità è stata denunciata da Luciano
Canfora nel suo ultimo libro, La democrazia, storia di un'ideologia,
ed. Laterza). Il suo contenuto democratico è ancora molto
scadente, perché il Parlamento Europeo non acquisisce pienamente
il potere legislativo, che resta in parte mescolato all'esecutivo, con
buona pace dei veri padri della democrazia moderna, gli illuministi del
'700. Ne parleremo un'altra volta.
Alberto Cavallo, 19 giugno 2004
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