IRAQ ED ALTRI PERICOLI



Home | Scienza | Filosofia | Politica | Collegamenti | Diritti di copia | Novità ed aggiornamenti | Contatti

Pagina pubblicata il 7 settembre 2002.

Indice

Alla pagina indice sulla politica internazionale

L'Iraq nel mirino

I preparativi per l'attacco degli Stati Uniti d'America e del loro cinquantunesimo stato non ufficiale, la Gran Bretagna, contro l'Iraq procedono rapidamente. L'ultima incursione "difensiva" nella no-fly zone, il 5 settembre sulla località di Rubta, ha coinvolto ufficialmente un gran numero di aerei, anche se il governo britannico nega che fossero addirittura cento. L'azione è stata definita difensiva in quanto sono state attaccate postazioni contraeree. E' chiaro come si stia stravolgendo il linguaggio alla maniera teorizzata da Orwell in 1984: basta un minimo di buon senso per capire che le postazioni contraeree sono installazioni difensive, e che un bombardamento su postazioni del genere è un'azione offensiva. Colpire le difese nemiche serve per preparare un attacco, non per difendersi.

Questo evento, in sé non molto importante, dovrebbe ricordarci che i 51 stati degli USAGB (United States of America and Great Britain) da un decennio abbondante bombardano a loro piacimento l'Iraq, commettendo costanti atti di aggressione non giustificati da alcuna azione dell'Iraq, che si limita a difendere la propria sovranità. L'ONU infatti non ha mai dato mandato di colpire l'Iraq dopo la fine della Guerra del Golfo.

Inizio pagina
 

Quanto è pericoloso Saddam Hussein

Saddam Hussein è uno dei tanti tiranni che sono oggi al potere nel mondo, ma sicuramente è uno dei più crudeli. Se consideriamo la sua politica estera, è stato responsabile di una guerra di aggressione contro l'Iran, nel corso della quale è stato sostenuto, finanziato ed armato anche dall'Occidente, USAGB inclusi. Ha invaso il Kuwait e poi ne è stato ricacciato da un'armata internazionale su mandato dell'ONU. Quando i curdi dell'Iraq settentrionale hanno tentato di rendersi indipendenti, approfittando anche del caos provocato dalla sconfitta nella guerra del Golfo, li ha repressi con l'uso di ogni tipo di armi, incluse quelle chimiche. Non ha mai esistato a colpire gli stessi membri della propria famiglia, quando li ha sospettati di tramare contro di lui.

Possiamo certamente dire che, se si dovesse scegliere un certo numero di capi di stato di cui il mondo vorrebbe fare a meno, Saddam Hussein sarebbe sicuramente nella lista per chiunque.

Se però dobbiamo prendere in considerazione la questione di un eventuale attacco militare all'Iraq, la questione cambia completamente. Oggi Saddam Hussein non è una minaccia per nessuno al di fuori dell'Iraq. Gli unici che avrebbero discrete ragioni di preoccuparsi di lui sono gli iraniani, che però non contano in quanto sono nemici degli USAGB. In realtà è interessante notare che il governo Bush ha messo insieme Iran e Iraq nell'asse del male, quando si tratta di nemici mortali. Anche se dispone ancora di una certa quantità di armi chimiche, difficilmente potrebbe usarle se non appunto contro l'Iran, non si vede come potrebbe pensare di attaccare di nuovo il Kuwait e la Siria non è mai stata sua nemica. Certo potrebbe lanciare qualche missile su Israele, ammesso che abbia ancora missili da lanciare. Anche in questo caso, non si vede il motivo per cui dovrebbe suicidarsi compiendo azioni non più significative di un attacco di terroristi suicidi, attirando però su di sé una reazione che lo annienterebbe.

Il coinvolgimento eventuale di Saddam Hussein nell'attaco di un anno fa a New York non è mai stato dimostrato, né esiste alcun indizio di un suo coinvolgimento. Del resto, Osama bin Laden è sempre stato suo nemico, tanto che in passato sarebbe stato più plausibile un attentato di al-Qa'ida alla vita del dittatore iracheno che una sua partecipazione ad azioni comuni. Naturalmente oggi il mondo arabo evita i conflitti interni e Saddam, che è un laico, originariamente filocomunista, quando venisse colpito risulterebbe agli occhi degli arabi un martire della causa islamica. Non è affatto chiaro che cosa ci sia dietro l'attacco alle Torri Gemelle, ma una delle poche certezze è che fra i tanti delitti di Saddam non dobbiamo comprendere anche quello.

Attaccare militarmente un paese per abbatterne il governo è puramente e semplicemente aggressione, senza scusanti né giustificazioni. Si sta arrivando a dire che oggi la potenza delle armi di distruzione di massa è tale che non si può attendere un attacco per rispondervi, ma è giustificato l'attacco preventivo a chi si sta organizzando per attaccare. Si tratta di una colossale sciocchezza, perché soltanto le azioni sono punibili, mai le intenzioni. La sanzione delle intenzioni costituirebbe il ribaltamento di un fondamento del diritto, concepibile soltanto in un contesto in cui si tollera l'arbitrio più totale. Passando alla realpolitik, è ridicolo affermare che l'Iraq possa mai armarsi in modo tale da minacciare nessuno, salvo i suoi confinanti ed anch'essi solo nel caso in cui non potessero godere dell'aiuto della comunità internazionale. Soltanto gli Stati Uniti hanno la capacità di colpire chi vogliono e quando vogliono con armi di distruzione di massa.

Le affermazioni dei governi degli USAGB a proposito della pericolosità di Saddam Hussein sono palesemente fasulle, tanto che nessun altro governo al mondo ci crede. Germania, Francia, Russia e Cina le hanno rispedite al mittente. Il peso che esse hanno è unicamente dovuto ai rapporti di forza: gli USA (con o senza GB) sono l'unica superpotenza mondiale, e godono del rispetto che tocca a chi dispone del più grande potere (0).

Si sono sempre addotti pretesti per giustificare le aggressioni, e così si continua a fare. Oggi sono sufficienti pretesti da poco. Possa mai venire il giorno in cui gli uomini non crederanno più agli inganni dei potenti!

Inizio pagina
 
 

I veri motivi

Mercoledì 4 settembre 2002 Tuttoscienze della Stampa ha pubblicato un articolo in cui si dice che, all'attuale tasso di consumo, le riserve nazionali di petrolio e di gas degli Stati Uniti finiranno tra nove anni. L'Iran e l'Iraq, due paesi che fanno parte dell'asse del male, tuttora detengono quote fra le più grandi delle riserve mondiali. Le maggiori sono sempre quelle dell'Arabia Saudita, amica degli USA ma anche patria di bin Laden e della maggioranza dei terroristi dell'11 settembre. Riserve forse anche maggiori si trovano in Asia centrale, negli stati ex sovietici oltre che nella Russia stessa.

A questo proposito, l'importanza di avere basi militari in Asia centrale è ovvia, e spiega bene perché ci si sia affrettati ad attaccare l'Afghanistan. Del resto, i talebani e lo stesso bin Laden facevano parte del programma congiunto di Arabia Saudita, Pakistan e USA per indebolire l'influenza russa e pacificare la regione. Il progetto è andato piuttosto male, i cattivi soggetti utilizzati per compierlo sono sfuggiti al controllo ed è stato necessario eliminarli. Si è comunque avuto l'effetto non sgradito di giustificare l'installazione di basi americane in Uzbekistan e Kirghizistan oltre che nello stesso Afghanistan. Tagikistan e Kazakistan restano per ora nella sfera d'influenza russa, e probabilmente esiste un accordo segreto tra Russia e USA al proposito. Il Turkmenistan è in mano al presidente Niyazov detto Turkmenbashi, che somiglia più ad un Grande Fratello orwelliano che ad un sovrano asiatico, e che sta facendo affari con gli americani pur non ammettendo estranei nel suo territorio (1).

Gli ultimi sviluppi in Afghanistan, con gli attentati di Kabul e Qandahar, dove il presidente Karzai ha sfiorato la morte ed è stato salvato dalla sua scorta di soldati americani, mostrano che la situazione non è ancora sotto controllo in Asia centrale. Sono anche utili, però, per giustificare il prolungamento delle azioni contro al-Qa'ida anche oggi, che bin Laden comincia ad essere dato per morto. Del resto, se si dà la caccia ad un singolo uomo con i bombardieri B-52, ammesso che si riesca a colpirlo diventa poi difficile riconoscerne i resti.

E' evidente che l'importanza dell'Iraq dipende dalle sue riserve di petrolio e dalla sua posizione strategica, vicino ad altri paesi ricchi di petrolio. Il presidente Bush, per conto dei suoi amici e colleghi petrolieri, vuole prendere il controllo dell'Iraq usando per il potenziale militare USAGB (il contributo GB è importante perché per qualche motivo gli inglesi gradiscono fornire carne da cannone, mentre gli americani sganciano volentieri bombe da alta quota ma non vogliono rischiare la pelle scendendo a terra). L'instabilità dell'Arabia Saudita contribuisce a rendere necessaria quest'azione. La famiglia reale rimane amica dei petrolieri americani, ma il suo potere non è affatto saldo. Secondo varie fonti, il 95% della popolazione dell'Arabia Saudita considera bin Laden un eroe, anche se non tutti approvano l'attentato dell'11 settembre.

I petrolieri in ogni caso non vogliono un Iraq indipendente ed incontrollabile, pronto ad immettere petrolio sul mercato a proprio piacimento. Ci sarebbe il rischio di ridurre il prezzo del petrolio! Vogliono che tutte le risorse del mondo siano nelle mani di un unico cartello, senza più soggetti pericolosi come Iraq e Iran, e con un'Arabia docile, disponibile e sufficientemente riempita di soldati americani.

Inizio pagina
 

I veri pericoli

Dal punto di vista della legalità e della moralità, non c'è discussione: l'attacco all'Iraq è illecito, in quanto pura aggressione ad uno Stato sovrano, in violazione della Carta delle Nazioni Unite, e disumano in quanto infliggerebbe ulteriori sofferenze alla popolazione irachena, già duramente provata da anni di embargo e di ostilità striscianti.

Ci sono altri paesi dove la situazione è assolutamente inaccettabile. In Colombia, come segnala Amnesty International,ogni anno la violenza politica provoca 3000 morti, sono rapite 2500 persone e 300 semplicemente "spariscono". Nel 2001 ci sono stati 92 massacri di inermi, dal 1985 2 milioni di persone hanno dovuto fuggire dalla violenza. La situazione è più grave di quella della Jugoslavia negli anni peggiori. Applicando il principio dell'ingerenza umanitaria, si dovrebbe immediatamente organizzare una spedizione militare ONU che occupi il paese e disarmi le fazioni, come si è intervenuti in Jugoslavia ed in Afghanistan. Ma la Colombia fa parte della sfera d'influenza americana, quindi non sono permesse iniziative internazionali. Gli USA forniscono armi al governo e addestrano militari e paramilitari, sostenendo che con questo contribuiscono a tentare di pacificare il paese.

Ma consideriamo le possibili conseguenze dell'azione contro l'Iraq. La popolazione dei paesi arabi è in prevalenza antiamericana e simpatizza con l'Iraq, mentre i governi filooccidentali sono in seria difficoltà. Non esiste alcun candidato alla sostituzione di Saddam Hussein, l'unica alternativa sarebbe un'occupazione militare permanente, dato che l'opposizione democratica è stata distrutta anni fa. Allora Saddam era alleato dell'America contro l'Iran, quindi era lasciato libero di eliminare i suoi oppositori, anche quelli, ed erano molti, che si ispiravano agli ideali occidentali di democrazia. L'Iraq era un paese civile, laico, ordinato e sulla via della modernizzazione, prima che le guerre esterne ed interne, poi anche le sanzioni ed i bombardamenti, lo riducessero in rovina. Non si può far conto né sugli sciiti del sud né sui curdi al nord: essi mirano a spartire il paese, non a cambiare il regime. I leader curdi appena si allenta la pressione irachena o turca si mettono a massacrarsi tra loro; la formazione di uno stato curdo destabilizzerebbe poi la stessa Turchia, paese della NATO con una forte minoranza curda perennemente in rivolta. Gli sciiti mirano anch'essi a separarsi dall'Iraq, e non c'è interesse a frammentare ulteriormente il paese. Si creerebbe un caso Jugoslavia ancora più tragico. Il governo militare imposto dagli USAGB dovrebbe usare costantemente la forza per mantenere il controllo, il che non è proponibile a lungo termine. E l'unica forma di reazione sarebbe il terrorismo, visto che il potenziale militare angloamericano è oggi invincibile. Ci dovremmo aspettare attentati contro gli interessi americani in tutto il mondo, molto più dopo l'attacco e l'eventuale occupazione dell'Iraq che prima.

Rischiamo dunque la destabilizzazione dell'area ed un aumento delle azioni terroristiche nel mondo. Che cosa accadrebbe in Arabia? La stessa famiglia reale potrebbe stancarsi di appoggiare gli interessi dei petrolieri americani, o potrebbe essere rovesciata, rendendo necessario un nuovo intervento aglosassone. Il Kuwait è sempre uno stato da operetta. Chi ci assicura poi che Siria e Giordania resterebbero stabili? e l'Egitto?

Ricordiamo poi che in Palestina la situazione resta drammatica. Questo è un grave motivo di malcontento per tutti gli arabi, oltre che un'immane tragedia per le vittime di quella situazione. Il principio di ingerenza umanitaria, tra l'altro, imporrebbe non di attaccare l'Iraq, ma di intervenire a separare i contendenti in Palestina. Israele dispone di armi di distruzione di massa e potrebbe usarle, in una situazione critica; sappiamo che il governo israeliano non intende fare concessioni ai palestinesi, e che gli eventi hanno indebolito i moderati in entrambi i campi, tanto che ora Hamas è l'organizzazione palestinese con maggior seguito.

Insomma, i rischi per la stabilità mondiale e la probabilità di campagne terroristiche crescerebbero molto con un attacco USAGB all'Iraq. Certamente il prezzo del petrolio non scenderebbe: non c'è interesse a farlo scendere da parte di nessuno dei contendenti. Il vero rischio, per i petrolieri, sarebbe quello di un Iraq libero di immettere greggio sul mercato in quantità, quello che vogliono assolutamente evitare.

Il vero rischio, per noi comuni mortali, è che si consolidi un cartello mondiale del petrolio, coincidente con ogni probabilità con una specie di supergoverno mondiale a prevalente guida americana. Non c'è da meravigliarsi che in America si sia fatto perfin ricorso ai brogli per far vincere le elezioni a Bush: il suo oppositore Gore non sarebbe stato altrettanto sollecito nel difendere il cartello. Oggi avrebbe potuto limitarsi alle sanzioni, invece di attaccare l'Iraq.

Inizio pagina
 
 

Conclusione

Per sconfiggere il terrorismo nel mondo a lungo termine esiste solo un metodo valido: combattere la miseria, la disuguaglianza, l'ingiustizia. Ed a breve termine si devono usare le polizie ed i servizi segreti, non i bombardieri ed i carri armati.

L'Europa, e l'Italia più di altri paesi, non è odiata, anzi in buona misura è considerata amica dai popoli del vicino e medio oriente. Stabilire rapporti pacifici, organizzare progetti comuni per lo sviluppo economico ed il progresso culturale, queste sono le iniziative che l'Europa ha già in parte adottato e può perseguire sempre più. I conflitti devono essere risolti nelle dovute sedi internazionali: l'ONU non è ancora morta, il Segretario Kofi Annan gode ancora di un certo prestigio. L'Europa, intesa come Unione Europea ma con il possibile contributo della Russia, può assumere il ruolo di mediatore nei conflitti e promotore dello sviluppo, e può anche adooperarsi per rivitalizzare l'ONU.

Le velleità belliche di Bush e Blair non sono soltanto moralmente spregevoli, se vogliamo guardare esclusivamente all'interesse sono anche nocive per noi europei in primo luogo. Sono semplicemente espressione degli interessi della lobby mondiale del petrolio e di quella delle armi. Il popolo americano e quello inglese per primi dovrebbero opporsi, ma non lo fanno a sufficienza perché disinformati e fuorviati da una propaganda martellante, resa possibile dal  fatto che i media sono ormai tutti nelle mani delle grandi società. Eppure da quei due grandi paesi continuano a giungere segnali che esistono altre opinioni, altre idee, una forma di resistenza al monopolio del potere da parte delle lobby transnazionali.

La recente conferenza di Johannesburg ha mostrato che i grandi del mondo sono sensibili ai problemi ambientali soltanto a parole, non sono state prese decisioni significative. La lobby del petrolio, ad esempio,  non vuole certo che si sviluppino fonti di energia alternative! Personalmente mi dispiace che i fischi giustamente destinati al governo americano se li sia presi Colin Powell, che in quel governo è uno dei pochi individui moralmente integri. E' stato già attaccato in America perché, come i suoi ex colleghi dello Stato Maggiore, non è affatto entusiasta dell'idea di cominciare una guerra. Come Peres in Israele, deve inghiottire rospi a ripetizione mentre tenta di mantenere un minimo di moderazione nelle azioni del governo a cui appartiene.

Tutto è legato: il modello di sviluppo voluto dai gruppi di pressione internazionali porta alla distruzione dell'ambiente, all'omologazione culturale ed all'ingiustizia sociale. Coloro che vogliono la guerra in Iraq sono gli stessi che vedono con indifferenza i disastri ecologici ed il dilagare della miseria. Quelli sono i nostri nemici, non Saddam Hussein. Noi europei più di chiunque altro dobbiamo svegliarci, unirci, promuovere un modello differente, perché ancora ne abbiamo la possibilità, l'Europa ancora non ha ceduto completamente al modello anglosassone dell'individualismo sfrenato e del liberismo senza limiti.

Cominciamo intanto ad opporci inflessibilmente alla guerra contro l'Iraq!

Inizio pagina

Alberto Cavallo, 7 settembre 2002
 
 

Note

(0) Per aggiungere un'ulteriore dose di dovuto rispetto sto quasi pensando di nominare i due capi di governo in traduzione, come i re e le regine. Se la regina Elizabeth II è per noi Elisabetta II, allora George Bush e Tony Blair dovrebbero essere Giorgio Cespuglio e Antonio (detto Toni) Strombazzo. Anzi, Giorgio II, naturalmente.

(1) Per il quadro della situazione in Asia centrale, si veda ad esempio il quaderno speciale di Limes Nel mondo di bin Laden, supplemento al n. 4/2001.
 
  Creative Commons License
Tutti i contenuti del sito Eurinome.it sono pubblicati sotto una Licenza Creative Commons, salvo diversa indicazione.